Ansia da prestazione, cos’è esattamente?

Tonia Samela
Tonia Samela
Tonia Samela, nata a Potenza nel 1994. Psicologa Clinica e Dottoranda di Psicopatologia del Comportamento, attualmente conduce la sua attività di ricerca a Roma. È attiva nella promozione della salute e nella divulgazione scientifica del sapere psicologico.
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Che cosa succede realmente al nostro cervello nel momento in cui ci sediamo di fronte all’esaminatore per un colloquio di lavoro? Quale tipo di meccanismo causa la sensazione di vuoto mentale che accompagna i primi istanti di una performance? Di cosa stiamo davvero parlando quando ci riferiamo ad uno stato di ansia? Se leggiamo i manuali diagnostici sono molte le patologie che presentano come caratteristica principale lo stato d’ansia nelle sue forme più disparate e con diversi livelli di intralcio al normale svolgimento della vita quotidiana. La maggior parte delle volte però, prima di un esame, di un colloquio o di una qualsiasi performance la nostra ansia è traducibile con: attivazione fisiologica intensa di risposta a uno stimolo esterno o interno percepito come rilevante e potenzialmente lesivo o pericoloso. In parole povere vuol dire che il nostro cervello processa le informazioni provenienti dall’esterno ─ ad esempio la stanza dove si svolge il colloquio, lo sguardo dell’esaminatrice, il curriculum sul tavolo ─ e poi le confronta con i ricordi dei nostri colloqui di lavoro passati, le passa in rassegna rispetto ai brutti sogni della notte prima e le unisce alle facce da funerale delle persone che quel colloquio non lo hanno passato.

Adrenalina e cortisolo salgono, così l’ansia annebbia il cervello

In contemporanea, il cervello controlla attraverso i nervi lo stato del nostro corpo, che di solito è già predisposto all’attacco: “Ma no dai figurati, quello lì non è cattivo, vado lì e lo stendo!” o alla fuga: “ No, no, no io me ne torno a casa”. Risultato? L’adrenalina sale, il livello di cortisolo ─ chiamato anche ormone dello stress ─ nel plasma schizza alle stelle, aumenta la pressione sanguigna, ci sudano le mani e c’è vasocostrizione viscerale, quindi minor apporto di ossigeno al cervello. L’esaminatore ci chiama e, più che un colloquio di lavoro, ci sembra di stare affrontando un leone affamato. La sensazione che proviamo è di non essere presenti a noi stessi: in quel momento non siamo la nostra testa, ma le nostre gambe, le quali vorrebbero scappar via all’istante. Ovviamente, invece che fuggire, ci dirigiamo comunque verso la prova. Ma una gazzella non si dirigerebbe mai verso il leone, come è possibile che noi sì? La risposta risiede ancora una volta nel nostro cervello. Leggi anche: Andare dallo psicologo è ancora un tabù: 5 miti da sfatare

Ecco come il nostro cervello contrasta l’istinto primordiale di pericolo

L’essere umano ha sviluppato nel corso dell’evoluzione una porzione molto più grande, densa e complessa di cervello che gli altri mammiferi non hanno modificato in egual misura. Questa parte di encefalo prende il nome di corteccia prefrontale e tra i suoi compiti c’è quello di ridimensionare l’allarmismo innescato da altre aree come l’amigdala, che invece condividiamo con il resto dei mammiferi e che si attiva in maniera automatica appena rileva qualcosa che non va nell’ambiente intorno, soprattutto se si tratta di eventi percepiti come negativi. Quindi, riassumendo, possiamo affermare che lo stato di attivazione generalizzata che chiamiamo ansia è un normale meccanismo difensivo messo in atto dal nostro sistema limbico e dal nostro sistema nervoso autonomo.

Elimina la paura per vivere serenamente ogni giorno

Il ruolo di questi due sistemi per migliaia di anni è stato difenderci dai predatori, quindi non stupiamoci della reazione esagerata, a quei tempi era questione di vita o di morte! Tuttavia l’evoluzione, dopo anni ed anni di civilizzazione, ha favorito lo sviluppo di altri sistemi pronti a fronteggiare queste reazioni primitive di paura quando non siamo davvero in pericolo di vita. Insomma, è anche attraverso le connessioni cerebrali bilaterali tra l’amigdala e la corteccia prefrontale che riusciamo a ridimensionare la paura e affrontare in maniera dignitosa le nostre performance quotidiane. È importante quindi ascoltare e accettare queste sensazioni, anche se sgradevoli, perché solo in questo modo possiamo trasformare l’ansia nociva in una spinta di coraggio produttiva. Leggi anche: Giornata mondiale per la prevenzione del suicidio: salvare una vita è possibile   di Tonia Samela  

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