Perché l’Agcom vuole considerare gli influencer come canali tv?

L'Agcom è pronta a inquadrare il mestiere di influencer in una nuova rete di regole e di norme: ecco perché.

Asia Buconi
Asia Buconi
Classe 1998, romana. Laureata in Scienze politiche e relazioni internazionali, ama l’attualità e la letteratura, ma la sua passione più grande è la sociologia, soprattutto se applicata a tematiche attuali. Nel tempo libero divora film e serie tv.
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Negli ultimi anni, la figura dell’influencer è andata affermandosi sempre di più. E, in barba a chi considera i creators del web come degli eterni fannulloni, di fatto la loro attività online sta assumendo sempre più le caratteristiche di un vero e proprio lavoro. Si tratta infatti di persone che creano trend, cambiano il mercato, fanno sponsorizzazioni e che spesso si arricchiscono con queste attività.

Va detto che – finora – gli influencer hanno agito nella massima libertà, in una dimensione poco trasparente, anche perché non del tutto regolarizzata. Motivo per cui adesso il Consiglio dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (Agcom) ha deciso all’unanimità di indire una consultazione pubblica della durata di 60 giorni “per garantire il rispetto da parte degli influencer delle disposizioni del Testo unico sui servizi di media audiovisivi”.

Influencer, l’Agcom si muove dopo la direttiva Ue

Insomma: l’Agcom è pronta a inquadrare il mestiere di influencer in una nuova rete di regole e di norme. Già il Parlamento Ue aveva fatto un passo in questo senso, approvando il cosiddetto “decreto influencer”, la direttiva volta a proteggere i consumatori dalla pubblicità ingannevole e a mettere dei paletti alle sponsorizzazioni selvagge dei creators del web.

Oggi anche l’Italia si muove in questo senso, con l’Agcom che ha motivato questa scelta sottolineando come l’attività degli influencer stia acquistando una sempre maggiore rilevanza e diffusione.

L’Agcom e la regolarizzazione del mestiere di influencer: “Per una maggiore trasparenza”

L'Agcom e la regolarizzazione del mestiere di influencer: "Per una maggiore trasparenza"

L’Agcom ha pure spiegato i motivi della scelta di regolarizzare la figura dell’influencer, voluta soprattutto per “favorire una maggiore trasparenza e consapevolezza nei confronti degli stakeholder e del pubblico”, anche riconoscendo che “il lavoro dell’influencer funziona in modo analogo a quello dei fornitori di servizi di media audiovisivi”.

I creatori digitali dovranno quindi rispettare le misure previste dal Testo unico, nel quale, spiega l’Agcom, “ricorrano i requisiti evidenziati nel documento sottoposto a consultazione”.

L’autorità ha infatti suddiviso gli influencer tra chi “propone contenuti audiovisivi in modo continuo, tale da renderli sovrapponibili a un catalogo di un servizio di media on-demand (ad esempio, i canali YouTube)”, e chi invece “opera in maniera meno continuativa e strutturata”.

In breve, i primi dovranno aderire a tutti gli obblighi previsti dal Testo Unico, ovvero l’iscrizione al Roc (il registro degli operatori di comunicazione), la disciplina in materie di opere europee e indipendenti, e la Scia (segnalazione certificata di inizio attività). Per tutti gli altri, invece, non è prevista “l’applicazione nella sua interezza del regime giuridico dei servizi di media audiovisivi”.

La regolarizzazione degli influencer è anche una forma di tutela

Ma l’azione di regolarizzazione voluta dall’Agcom non servirà soltanto a imporre obblighi agli influencer, ma pure a tutelarli. La mancanza di norme precise, infatti, è stata spesso anche molto nociva per i creatori del web, che in alcuni casi non hanno ricevuto i pagamenti pattuiti per le loro attività online. Molti giovanissimi di successo, infatti, lavoravano per la stessa agenzia di management, dimostratasi poco affidabile in alcune occasioni.

Sulla questione, Luca Lattanzio, che ha un canale da 1,7 milioni di iscritti attivo da dieci anni, aveva spiegato a Fanpage.it: “All’inizio è andato tutto bene. L’agenzia faceva da tramite tra noi e i brand. I clienti pagavano e noi prendevamo i compensi. Poi i pagamenti hanno cominciato a non arrivare. Il problema era anche che nessuno dei creator parlava con gli altri. Pensavamo tutti che questa situazione riguardasse soltanto noi. Un po’ ti vergogni a dire di essere stato truffato”.

Leggi anche: Perché Jane Birkin è l’anti Brigitte Bardot: due dive a confronto


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Classe 1998, romana. Laureata in Scienze politiche e relazioni internazionali, ama l’attualità e la letteratura, ma la sua passione più grande è la sociologia, soprattutto se applicata a tematiche attuali. Nel tempo libero divora film e serie tv.
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