30 anni senza Freddie Mercury: quello che di lui non si dice

Freddie Mercury ci aveva adottato, fino a lasciarci orfani in quel 24 novembre del 1991 in balia della nostalgia. Oggi non lo vogliamo ricordare come il frontman dei Queen, ma come antieroe diviso tra due mete.

Silvia Buffo
Silvia Buffo
Silvia Buffo, 1985, giornalista. Ha fondato e dirige Il Digitale. Formazione classica e filologica, un dottorato di ricerca in Letteratura italiana, sui legami tra scrittura e nuovi media. “La bellezza è promessa di felicità” è il suo motto, che ha delicatamente rubato a Stendhal.
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Freddie Mercury in quel 24 novembre del 1991 è uscito dalla grande scena, una scena che ha calcato con quella sua ‘spettacolarità’ talmente irripetibile. E poi la morte non ha fatto altro che consegnarlo definitivamente al mito. Ma oggi non ricorderemo il cantante, anzi il venditore della propria voce, come diceva la sua cara amica Montserrat Viviana Concepción Caballé, il mitico frontman dei Queen. Vogliamo parlare della persona.

Cosa c’è dietro la quinta di Freddie Mercury? Vogliamo parlare di quella lotta ambiziosa, determinata nella costruzione del suo impero parallelo allo showbiz, di un progetto alternativo all’egemonia culturale del mainstream.

Più le radio venivano a dirgli come presentare le sue canzoni, più lui le voleva scrivere e cantare a modo suo. Ed è un fatto che non può essere commentato: la sua voce per ispirazione e per imitazione ha conquistato con la sua irriverenza, tracotanza, persino i moralisti, nelle cui orecchie ancora oggi risuona la sua eco. E questo è l’antieroe che surclassa il canone. “La nostra musica è fatta per essere comprata”, provocava un giornalista italiano, quando a parlare era il businessman.

Eppure questo prodotto commerciale, frutto del suo talento musicale sopraffino, presentava il grande conto: arriva nella testa dell’ascoltatore senza che nessuno lo voglia. È entrato nei mangianastri di una generazione intera con la sola forza sue idee. Una rivoluzione.

Freddie Mercury, contro l’egemonia, contro l’ipocrisia

Lui zoroastriano di stirpe, come uno Zarathustra dispettoso, ha invertito gli idoli, ha giocato, rovesciato, masticato, stravolto, e anche irriso il canone per imporne uno suo, via via più semplice, via via più riconoscibile, scuotendo la macchina del pop governata dall’ipocrisia dei cattivi maestri: l’impossibile redenzione dell’easy listening, in mostra di uno spettacolo sonoro che è un burlesque del suo disagio, un profilo barocco del suo conflitto interiore.

Tanto più aumenta il disincanto, gli cede il passo la rivolta, tanto più le canzoni dei Queen appaiono superficiali, quanto più aspra diventa la sua scommessa con la vita. E cosa sarebbe la storia dell’Aids senza Freddie Mercury?

E se di contro fosse stato Freddy ad ammazzare la musica pop? In opposizione alla società e ai suoi diktat Freddie Mercury porta avanti in modo parodistico la sua battaglia personale contro l’Ipocrisia fatta Verità, e così in I want to break free si presenta vestito da donna…

Le sue canzoni, pedagogia pura

Questa onda musicale è tesa tra due mete, da una parte urlare la grandiosità del successo, sbattere in faccia al mondo la realtà straripante della propria ambizione personale, la capiamo in Prophet’s Song, la vediamo condurre il nome dei Queen al “top of the bill”, e dall’altra abbiamo il suo argomento privato, intimo, il privilegio con chi ascolta la sua voce, prima di ascoltare le sue parole, prima ancora di interpretarle.

La prima meta è il destino della celebrità, assoluta, globale di canzoni che sono diventate inni da stadio, We are the champions, mentre con la seconda guardiamo attraverso questa pietra preziosa vivente, così atipica rispetto ai diamanti che nascono dall’isola di Zanzibar.

Potrebbe sembrare troppo poco fantasioso dire che abbiamo trovato un altro Peter Pan, quello che non ha mai trovato l’isola che non c’è. E siamo davanti a una forma d’arte che non si piega ai clichés imposti alla produzione dalle trasmissioni radiofoniche.

Perché allora non c’era internet, né video musicali, non c’era Youtube, né Spotify: le radio erano il braccio armato dell’industria musicale. Freddie Mercury non si piega per rinunciare al fenomeno essenziale della creatività. Per sfuggire ai diktat ci rinuncia prima, coniando i suoi.

Leggi anche: “Diventerò una leggenda”, la storia di Freddie Mercury

Quando Freddie Mercury ci ha adottato

È così che Freddie voleva fare qualcosa di buono, lui che sognava di aver ricevuto un messaggio da consegnare all’umanità e aveva qualcosa di buono da dire e da fare. La sua musica semplicemente ci adotta.

Lo strano è che l’interlocutore privilegiato in quei testi dove Freddie Mercury urla al mondo il suo personale “Come Together” è lui stesso. Così la musica pop dei Queen, che è un pop-rock, e quindi ancora un po’ blues, ritorna alla sua matrice: quella di un canto di libertà in cui la voce si rivolge all’ascoltatore come fosse se stesso. Si rivolge all’ascoltatore e al suo simile. E infatti Lennon disse “Se vuoi diventare un eroe, seguimi”.

Nella musica degli esordi Mr. Bulsara ci intrattiene con la baldoria, la religione, con sogni lisergici, con manifesti di pura irriverenza contro il conformismo dei costumi e la banalità degli stili.

Mentre un passo dopo l’altro, nel procedere della discografia, da quella rassegnazione che vince anche il senso di colpa – come si racconta il protagonista di Bohemian Rhapsody– viene alla luce un percorso edificante di scoperta del sé, in cui il viaggio verso l’Amore, dapprima è un razzo diretto verso un orgasmo pazzesco, “Don’t stop me now”, e già l’estasi lascia il posto all’abbandono, “You take breath away”.

Leggi anche: Ennio Morricone e quell’attimo di eternità su Piazza Navona deserta durante il lockdonw

Freddie Mercury, è un treno che corre verso un sorriso

Freddie è un treno che corre verso un sorriso, il quale durante la corsa diventa un sogno, il sogno di una svolta, “Breakthru”, è un’anima, un premio, un obiettivo, e allora un bagliore dorato, ed ecco una magia: “It’s kind of magic”. E così questo viaggio giunge a destinazione.

È stato un viaggio stancante, il respiro del nostro uomo si fa pesante, ma It’s a Beautiful Day. E lo sguardo è rimasto quello di un bambino che giunge a vedere ciò che non ha mai potuto vedere. Vede i gabbiani che volano, i cigni che scivolano sull’acqua, i comignoli che fumano nell’aria. Ma non era il sogno di un bambino, era solo il mondo roteante di Freddie.

La canzone è A Winter Tale.

freddie mercury

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