Zalone divide gli italiani, la sua satira scambiata per razzismo

Marianna Chiuchiolo
Marianna Chiuchiolo
Giornalista con studi in Mediazione Linguistica, una formazione da teatrante e una generale tendenza a perdersi nei vicoli di una fervida immaginazione. Ama in egual misura la scienza e la poesia e si spende da tempo per la crociata della Mental Health Awareness come missione di vita.
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Nell’era delle fazioni a tutti i costi, del con me o contro, l’ironia è una dote rara e preziosa. Ancor più quando a esprimere un giudizio anche solo minimamente opinionato si rischia di essere attaccati ─ spesso gratuitamente ─ sulla base di qualche parola chiave captata da un interlocutore troppo impegnato a rispondere per ascoltare.

È così che le moralità grigie vengono fagocitate dai propri estremi e cercare quella virtù che sta nel mezzo diventa difficile se non impossibile: durante un dialogo basta divergere un pochetto da uno dei due pensieri dominanti per venire automaticamente bollati come membri della categoria opposta.

In questo scenario in cui la libertà di opinione viene drammaticamente scalzata da un bispensiero del politically correct, vince chi riesce a ritrovare la leggerezza calviniana del planare sulle cose dall’alto e a fare ironia prendendo in giro entrambe le fazioni. E da entrambe venire acclamato.

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Checco Zalone e la capacità di mettere d’accordo tutti

Nei suoi 10 anni di carriera, Checco Zalone ha dimostrato in più occasioni di essere in grado di riuscire nell’impresa. C’è chi di lui ha detto che non è populista ma nazionalpopolare, per la sua capacità di mettere d’accordo le fazioni sfruttando in maniera per nulla scontata la potenza del mezzo satira, vale a dire ponendosi in una zona franca dalla quale riesce a colpire tutti e nessuno e a muoversi con la necessaria spettacolarità su quel campo minato che è la condizione dell’Italia attuale.

E, se starsene seduti a cavallo del recinto senza prendere posizione, per dirla all’inglese, è spesso peggio che fare del male, in alcuni casi è un bene smorzare i toni e ricordare a tutti che a volte vale la pena di non prendersi troppo sul serio.

Lo aveva già fatto in maniera evidente nel 2013 con “Sole a catinelle”, quello in cui il protagonista riusciva ─ senza avere egli stesso idea di cosa e come ─ in una scalata alle alte sfere sociali dai sapori radical chic, contro l’approvazione della ex moglie che invece lottava per i diritti delle operaie. Alcuni si risentirono, offesi dal tono leggero con cui trattava l’argomento cassa integrazione. Altri, al contrario, lo presero fin troppo sul serio, considerando “Sole a catinelle” un film di denuncia sociale.

In ogni caso, ma del resto è sempre stato così, Zalone aveva ben chiaro di cosa parlare e di come farlo. Zalone è un comico vecchio stile che sfrutta i canali moderni. Uno che gioca sullo stereotipo perché lo ha studiato con occhio clinico, che si finge ignorante ma ignorante non lo è affatto.

E questo è un dettaglio fondamentale perché si riesca nell’impresa di colpire tutti con un singolo dardo di irriverente ─ e assolutamente politically incorrect ─ ironia. Perché in tempi di lotta è solo chi riesce a ridere dei problemi più seri che lo spirito del tempo lo ha colto davvero.

“Tolo tolo”, a un mese dall’uscita è già un caso cinematografico

Con “Tolo Tolo”, il film in uscita nelle sale il 1° gennaio, Zalone mette a segno un’operazione di marketing da manuale: il trailer della pellicola è in realtà il videoclip di un tormentone confezionato ad arte.

A quattro giorni dalla pubblicazione su YouTube, “Immigrato”, questo il titolo della canzone, conta oltre un milione di visualizzazioni solo sul canale ufficiale e si è insediato prepotentemente nella Top3 delle tendenze per l’Italia. E, neanche a dirlo, sta spopolando tra opinionisti e recensori più o meno illuminati ─ non ultima la sottoscritta ─ anche se di trama e personaggi del film è stato rivelato poco quanto nulla.

Immigrato, Quanti spiccioli ti avrò già dato. Immigrato, mi prosciughi tutto il fatturato Poi la sera la sorpresa a casa Al mio ritorno Ti ritrovo senza permesso nel soggiorno Ma mia moglie non è spaventata Anzi, sembra molto rilassata

Questo uno stralcio del testo della canzone, che si diverte in più punti a capovolgere fasi, slogan e tormentoni politici dell’ultimo anno, dall’evidente “prima gli italiani” a un più sottile “ti ritrovo senza permesso nel soggiorno”, per finire con una posa in stile Duce a Piazza Venezia sottolineata da qualche secondo di bianco e nero.

Zalone si mette nei panni dell’italiano medio e lo fa anche musicalmente: evidenti nell’arrangiamento, nelle linee melodiche e nell’impostazione vocale i richiami a Toto Cutugno, quello che chiedeva al mondo di lasciarlo cantare perché era un italiano vero.

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Razzismo oppure no? Il pubblico si divide

Le reazioni di pubblico? Esilaranti come sempre, e come sempre specchio della società.

C’è l’italiano che vorrebbe chiusi i porti che non coglie il sarcasmo e applaude al razzismo ─ se di razzismo si può parlare ─ di uno sfinito Zalone perseguitato dall’immigrato del titolo fin dentro il letto di casa, if you know what I mean, mentre nel quartiere i palazzi sono invasi da extracomunitari.

C’è l’italiano che i porti li vorrebbe aperti e che vede, al contrario, una sapiente critica alla chiusura mentale della paura, coronata dal suddetto frammento mussoliniano.

C’è anche l’italiano SJW per partito preso, che l’ironia non la coglie e parte in quarta contro Zalone ─ eccolo il bispensiero di cui parlavo all’inizio ─ tacciandolo del razzismo di cui molti si fanno fieramente bandiera.

In tutto questo marasma a vincere è sempre lei: madama satira, quell’ironia che dice il vero e il suo contrario insieme, perché è così che funziona. Alla fine dei conti, forse mai come in questo caso, nelle contrastanti interpretazioni hanno ragione tutti e nessuno. Lui, Zalone, questa volta più delle altre ha fatto centro.

di Marianna Chiuchiolo

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