Wanna Marchi vendeva illusioni agli italiani: arriva la docu-serie su Netflix

Dal 21 settembre, sulla piattaforma streaming di Netflix si potrà guardare la docu-serie sulla regina delle televendite, Wanna e capire come la donna dai capelli rossi truffò 132 persone.

Melissa Matiddi
Melissa Matiddi
Esperta in comunicazione e digital marketing, studia lo yoga e le discipline orientali. Ama creare, leggere e viaggiare. Silenziosa ma rumorosa, è sempre pronta a varcare nuovi orizzonti.
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Wanna Marchi: regina delle televendite o maga delle truffe? Molti si ricorderanno della signora con i cappelli rossi che tra un urlo isterico ed una risata stridula sapeva intrattenere, persuadere e truffare i telespettatori.

Vendeva illusioni, fortuna e buoni auspici, insomma il nulla. Ma come è riuscita una donna con toni accesi e aggressivi a costringere le persone a comprare qualcosa che non esiste?

Wanna Marchi: la realizzazione della docu-serie di Netflix

La famosissima venditrice che negli anni ’80 fece la fortuna, è la protagonista della nuova docu-serie realizzata da Netflix, prodotta per raccontare la vicenda che l’ha battezzata la donna più truffaldina d’Italia, insieme alla sua partner in crime, la figlia, Stefania Nobile e al santone Do Nascimiento.

La rappresentazioni mediatica su Wanna Marchi è stata scritta da Alessandro Garramone e Davide Bandiera, diretta da Nicola Prosatore, è stata realizzata attraverso 22 testimonianze, suddivise in circa 60 ore di interviste e di immagini d’archivio.

Il racconto che fece scalpore negli anni ’90 si è costruito praticamente da solo. Il fenomeno Wanna, incarnato da una donna minuta, dai tratti somatici molto forti, è riuscito con il suo fare aggressivo e deciso a persuadere un numero importante di telespettatrici attraverso il commercio, prima di creme dimagranti, e poi tramite la truffa della fortuna.

Il raggiro, articolato dalla Marchi e dalla figlia, faceva guadagnare alle due anche 12 miliardi di lire in un solo mese. Le clienti malcapitate cadevano nella trappola della fortuna venduta sotto forma di amuleti e numeri del lotto.

Il fenomeno Wanna Marchi: quando il nulla viene venduto per fortuna

La carriera di Wanna cominciò negli anni ’80 quando la donna provò a vendere dei prodotti dimagranti attraverso delle televendite. La figlia Stefania, considerata l’unico e solo braccio destro, ha saputo spalleggiare la madre in quello che si sarebbe rivelato il meccanismo ingannatorio più intrigante della tv italiana.

La docu-serie racconta con 180 minuti il periodo d’oro delle due più temute e odiate di sempre. Realizzata in circa due anni, ha rappresentato lo show truffaldino più onesto di sempre.

La formula di Wanna era semplice: prendeva una donna qualunque, la spronava con discutibili corbellerie che puntavano a rivendicare il diritto di rivalsa della donna e poi la invitava, con tono pacato, ma incisivo a versare la somma di denaro richiesta per attirare nella sua vita fortuna, fama e ricchezza.

Il boom economico delle due comincia infatti a prendere forma nel momento in cui le creme antirughe lasciano il posto al prodotto più bramato di sempre: la fortuna.

Ma come ha fatto Wanna a vedere qualcosa che non è tangibile?

Wanna Marchi: “The show must go on”

L’intento studiato da Wanna è stato un vero e proprio show mediatico, capace di analizzare, manipolare e persuadere ogni vittima.

La rossa ha giocato molto sulla comunicazione persuasiva: è stata in grado di mettere in atto uno schema fatto di elaborazione e convincimento, definito dal sociologo William McGuire come un processo costituito da sei fasi:

  1. La presentazione del messaggio: Wanna durante la sua trasmissione iniziava con l’articolazione di una frase, scandita da toni selvaggi e perentori, che puntava alla sensibilità della vittima.
  2. L’attenzione richiesta: la Marchi, dopo aver colpito, cercava di capire se effettivamente la persona avesse recepito o no il messaggio.
  3. La comprensione dei contenuti: avveniva tramite un linguaggio semplice e crudo, percepito da tutti.
  4. L’accettazione da parte del ricevente: in questa fase si instaurava un rapporto di sintonia con la malcapitata in cui a volte si scherzava e si rideva insieme.
  5. La memorizzazione della nuova opinione: per rafforzare maggiormente il bias di conferma introdotto nella coscienza della persona.
  6. Il conseguente comportamento: questa tappa si concludeva con l’accettazione di tutti i codici imposti dalla venditrice e con l’effettivo acquisto della merce da parte della cliente che aveva ormai introiettato il punto di vista della Marchi.

Queste tecniche cercavano di portare il ricevente ad acconsentire ad una determinata proposta, facendo leva, inizialmente, su alcuni vantaggi, influenzati dal principio di reciprocità, ovvero il sentimento d’obbligo che percepiamo quando qualcuno cerca di venderci un prodotto.

Wanna Marchi ha saputo appannare con un fare decisamente trash l’opinione primordiale di tutte le sue martiri attraverso slogan, aforismi, motti ironici, frasi volgari che finivano sempre con il fondere ragione, emozione e potere.

Leggi anche: Yara Gambirasio, il delitto della 13enne diventa un film: sarà su Netflix dal 5 novembre

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