Il video di Zelensky sulla guerra e la pornografia del dolore

Il video sulla guerra del presidente dell'Ucraina sta scatenando una pioggia infinita di polemiche. Il filmato, pubblicato sulla sua bacheca social, mette in scena una trasposizione mediatica del conflitto.

Melissa Matiddi
Melissa Matiddi
Esperta in comunicazione e digital marketing, studia lo yoga e le discipline orientali. Ama creare, leggere e viaggiare. Silenziosa ma rumorosa, è sempre pronta a varcare nuovi orizzonti.
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Il video di Zelensky sulla guerra, pubblicato sui social, ha fatto il giro del mondo ed è tornato. Ci ha turbato e ci ha lasciato quel senso di vuoto che solo un film violento ci può provocare.

L’ex attore comico ha messo in piedi un’abilissima strategia mediatica, degna delle migliori scenografie hollywoodiane, per descrivere gli sviluppi della guerra. Ha letteralmente trasformato un conflitto in una rappresentazione concreta e teatrale.

Il video, a metà strada tra spettacolarizzazione e manifestazione del dolore, racconta, attraverso un particolare montaggio, dotato di un tono ampiamente pubblicistico e propagandistico, gli esiti della drammatica situazione che sta subendo Kiev in questi ultimi giorni.

Le immagini, montate ad hoc, riescono a provocarci turbamento, dolore e stupore per quella riproduzione tanto plateale quanto melodrammatica della situazione ucraina. Che Zelensky fosse un istrionico ce ne eravamo già accorti dalle innumerevoli condivisioni avvenute durante tutta l’invasione russa. Post dopo post, respiro dopo respiro, il presidente, con una sorta di foto-racconto vivente, ci ha narrato ogni fase dello scontro, curando tutti i particolari del caso e mettendosi sul naso di chi ha legittimamente pensato, “ma il presidente ucraino e il suo team, tra un bombardamento e l’altro, riescono pure a ideare, montare e condividere un video in stile Netflix sul conflitto?

Il contenuto del video di Zelensky

Il video di Zelensky che sta letteralmente spopolando in rete, inizia con la voce narrante del presidente ucraino che racconta, attraverso la concatenazione di scene, i momenti di terrore vissuti dai suoi cittadini.

Il cortometraggio spacca in due la realtà: la prima parte viene chiamata Was, il passato del verbo essere in inglese, si riferisce a quello che è successo nel paese, la seconda, invece, viene nominata Will, il futuro del verbo essere e condivide davanti alle nazioni di tutto il mondo, il messaggio della vittoria futura dell’Ucraina.

Con una musica tenebrosa, cupa e tremendamente patriottica, quelle immagini intrise di dolore, angoscia e infine di speranza ci accompagnano per tutto il tempo. Il presidente ci fa strada durante il trailer con la sua voce calda, confortevole e fiduciosa. Sembra quasi che ci prenda per mano, come un padre ci conduce sulla strada e ci protegge dai pericoli circostanti.

Il tono drammatico e nazionalistico prepara il terreno per confessare tutto quello che la guerra ha portato via.

Questa era la mia casa, questi erano i miei amici, questi erano i miei cani, questo era il mio lavoro, questo era mio padre e questa era mia figlia.

Il filmato, impostato in modalità slow motion, riprende il presidente e i suoi collaboratori mentre camminano per le strade distrutte dalle bombe lanciate dalla Russia. Una dopo l’altra le esplosioni vengono mostrate agli occhi di chi, intento a guardare e a provare quel dolore, non riesce a staccarsi da quella disperazione.

Dopo pochi secondi, veniamo immediatamente trascinati dall’esasperazione e dalla crudità che solo la perdita di vite innocenti può causare. Di colpo, le sequenze minacciose e malinconiche vengono sostituite da immagini serene, speranzose e ottimiste in cui il beneamato Zelensky promette, non solo ai cittadini della madrepatria, ma a quelli di tutto il mondo che l’Ucraina ce la farà.

Felicità e celebrazioni sorridono alla nuova era. Ed infine, come per le migliori storie, il video si conclude con il volto innocente di una bambina che corre felice sotto la bandiera dell’Ucraina.

Zelensky: il truman show della guerra

Dall’inizio del conflitto Zelensky è andato alla ricerca della popolarità social per spiegare con le parole struggenti della guerra, la situazione provata dai cittadini.

Dalia Al-Aqidi, Senior Fellow presso il Center for security police ha dichiarato:

Zelensky si è letteralmente trasformato davanti ai nostri occhi quasi come se, in un mondo la cui realtà è fortemente plasmata da YouTube, TikTok, Twitter, Instagram, Facebook e tutto il resto, il presidente ucraino abbia passato gran parte della sua vita a fare le prove generali proprio per questo momento.

L’ex attore, infatti, si sta affidando ad un gruppo di collaboratori che si occupano di politica sui social, tra cui spicca il nome di Yuriy Kostyuk.

Tre settimane dopo le sue telecronache, i numeri dei follower sono improvvisamente aumentati e diventati 5,5 milioni su twitter. Su instagram, invece, i suoi seguaci si sono allargati fino ad arrivare a 16,1 milioni. I profili che segue sono 196 e tra questi figurano importanti leader istituzionali: Macron, Scholz, Trudeau, Biden, Merkel e pure Trump.

Difficile da credere ma sembrerebbe che Zelensky si sia lasciato ispirare dalla politica social dall’ex numero uno della Casa Bianca. In un colloquio telefonico del 25 luglio 2019, il presidente dell’Ucraina ha riferito a Trump di aver imparato l’arte della condivisione da Donald in persona.

La spettacolarizzazione del dolore è cosa buona e giusta?

Se i social sono l’unica via percorribile per condividere l’effetto devastante della guerra, perché davanti al video propagandistico del presidente ucraino siamo rimasti di stucco?

Innanzitutto bisogna dire che la strategia messa in atto da Zelensky non è nulla di nuovo, già Aristotele nel 334 a.C. aveva sottolineato l’effetto catartico delle tragedie sugli spettatori. Il filosofo esaltava la pubblicazione della disgrazia come strumento terapeutico. Riproducendo fatti gravi e sanguinolenti, si mette l’individuo nella condizione di provare certi sentimenti di terrore per placare, porre rimedio e allontanare le persone dalle proprie angosce quotidiane.

La rappresentazione del dolore può infatti creare nell’essere umano due diverse reazioni: la curiosità nel vedere o sentire particolari raccapriccianti e l’empatia causata dalla pietà per le sofferenze altrui.

Mediatizzare e spettacolarizzare una tragedia non è mai cosa buona e giusta. L’uso di immagini e video forti portano gli utenti ad immedesimarsi in una realtà distante a cui, però, non riescono a sottrarsi. Possono finire per cadere nella cosiddetta pornografia del dolore ovvero quando la visione del male crea piacere e dipendenza.

Con la pubblicizzazione della guerra, il dolore delle vittime finisce per essere invalidato. I soggetti ripresi, nel video di Zelensky, si trovano ad essere privati di un momento di profonda intimità e ad essere allontanati dalla compassione e dall’umanità di chi, abituato alle narrazioni cinematografiche, finisce col dimenticare la tragedia una volta spento il cellulare.

Leggi anche: Come le notizie sul conflitto russo-ucraino stanno traumatizzando il nostro cervello

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