Come le notizie sul conflitto russo-ucraino stanno traumatizzando il nostro cervello

Il consumo costante di notizie negative sugli sviluppi dello scontro tra Ucraina e Russia sta devastando la salute mentale del nostro cervello, provocando il trauma vicario.

Melissa Matiddi
Melissa Matiddi
Esperta in comunicazione e digital marketing, studia lo yoga e le discipline orientali. Ama creare, leggere e viaggiare. Silenziosa ma rumorosa, è sempre pronta a varcare nuovi orizzonti.
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Il conflitto russo-ucraino ci sta divorando vivi. Sono passati solo sei giorni dall’avanzata russa, ma le nostre bacheche social sono tempestate da comunicazioni riguardanti gli scontri. Facebook, Twitter, Instagram, Tik tok e Youtube sono detonatori di contenuti. Informano gli utenti di tutto il mondo con informazioni, immagini, dirette e messaggi politici.

Ricorriamo all’utilizzo ossessivo dei social per andare a caccia di informazioni che ci tengono gli occhi incollati agli schermi. Il consumo eccessivo di notizie che ingurgitiamo giornalmente, ci sta provocando una terribile indigestione con gravi conseguenze sulla nostra alterazione psicofisica. Da un lato siamo attratti dal continuo bombardamento di comunicazioni riguardanti l’evoluzione della guerra, dall’altro, l’esagerato impiego del doomscrolling sta contribuendo alla desensibilizzazione dell’essere umano rispetto a certi temi.

Tale esaurimento emotivo sta attivando il trauma del vicario. Quali sono gli effetti sul cervello e come possiamo tenere a bada la nostra curiosità?

Conflitto russo-ucraino: l’utilizzo dei social durante la guerra

In questi giorni di rabbia, tristezza e disperazione non possiamo evitare di andare alla morbosa ricerca di notizie sul destino del conflitto russo-ucraino. La voglia irrefrenabile di leggere e rileggere contenuti riguardanti gli sviluppi della guerra, sta logorando e consumando silenziosamente la nostra mente. In un momento di confusione e disorientamento totali, internet rappresenta un caposaldo, un punto di riferimento e un pilastro per gli utenti del web.

La lotta armata sta subendo l’impatto della comunicazione digitale, si sta sottomettendo alle sue dinamiche e a suoi influssi, sta rispettando gli ordini impartiti dallo sviluppo tecnologico, decretandone una doppia modalità di svolgimento. Da un lato reale, le truppe russe stanno avanzando sul suolo ucraino e dall’altro virtuale, mediante l’utilizzo delle piattaforme social.

Il binomio guerra social rappresenta un mix perfetto di dramma e di speranza, a cui non riusciamo a sottrarci. Mentre il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha costruito una comunicazione ad hoc fatta di video selfie, magliette mimetiche, messaggi impavidi e patriottici, il leader russo Vladimir Putin ha deciso di oscurare e limitare l’accesso ai social network, primo fra tutti Facebook. In questo clima incerto e oscuro, costituito dall’imprevedibilità dello zar del Cremlino, si sono insidiati pure gli hacker di Anonymus che hanno minacciano pubblicamente la Russia.

In questo martellamento di notizie, sul conflitto russo-ucraino, i bersagli principali siamo noi. Prima catturati dalla tragedia, poi rapiti dalla ricerca esagerata dei contenuti online ed infine depredati dell’equilibrio interiore. Consumare una quantità simile di notizie può essere traumatizzante per il corpo e per la mente e può innescare il trauma del vicario.

Che cos’è il trauma vicario

Da quando è iniziata il conflitto russo-ucraino, siamo continuamente esposti al bombardamento di notizie. Controlliamo e crolliamo davanti alla potenza del web. Chi di noi non si è lasciato coinvolgere da questi eventi così brutali, al punto da provare disperazione e angoscia?

La ripetizione dei contenuti, causata dalla costante ricerca di informazioni, danneggia il nostro equilibrio mentale attraverso il trauma del vicario. Si tratta dell’esaurimento emotivo provocato dal contatto prolungato con le emozioni e le tragedie vissute dagli altri. Essere un vicario significa vivere ed entrare nelle sensazioni di altri soggetti. Il dissolvimento mentale deriva dall’osservare e dall’essere coinvolti da persone che si trovano in un momento molto difficile.

Il concetto di traumatizzazione vicaria è stato elaborato, nel 1990, da Lisa McCann e Anne Pearlman nell’ambito della Teoria Costruttivista dello Sviluppo del Sé. Lo scopo di tale studio era incrociare le teorie psicoanalitiche con le teorie cognitive della psicologia sociale per comprendere meglio le esperienze dei sopravvissuti agli eventi traumatici. Questo costrutto si basa sul presupposto che ogni individuo modifichi la propria struttura cognitiva per capire gli eventi che lo colpiscono direttamente. Nonostante l’esposizione all’evento sia indiretta, la traumatologia può provocare dei sintomi come tristezza, rabbia, ansia, paura e sbalzi d’umore.

Quindi tutte le situazioni che attirano l’attenzione, influenzando negativamente il benessere della nostra salute, attivano inconsciamente il meccanismo di vivere nei panni dell’altro. Infatti l’empatia costituisce l’asse centrale del trauma vicario, immedesimandoci in un altro soggetto manifestiamo e ci esponiamo a situazioni di stress e depressione. Il cervello, riproiettando le stesse sensazioni di pericolo che sta vivendo la persona, attiva dei meccanismi di difesa. I recettori del nostro sistema di controllo avvisano il corpo della minaccia imminente rilasciando l’ormone dello stress, il cortisolo.

Il problema della desensibilizzazione dei contenuti web

La professoressa di comunicazione strategica presso l’Università di Miami, Katie Day Good, ha affermato:

I social media possono essere un’arma a doppio taglio quando si tratta di capire tragedia o crisi umanitarie. Mentre queste piattaforme possono aiutarci a comprendere meglio i problemi che affliggono gli altri e spingerci ad adottare comportamenti e sostenere soluzioni politiche che portino cambiamenti positivi, c’è anche il problema di diventare impermeabili alla tragedia perché ne vediamo così tanto.

I contenuti diffusi online possono anche causare il distacco e la desensibilizzazione di fronte alle tragedie. Le notizie ci masticano, ci inghiottono, finendo per farci sentire emotivamente instabili, impotenti e catatonici. Il potere dell’informazione social è proprio questo, il continuo accesso ai contenuti del web provoca in noi uno stato di imperturbabilità, in cui quello che normalmente sarebbe considerato oltraggioso, diventa normale.

Distesi sui nostri divani, non ci saziamo mai di leggere e ascoltare nuove news o sviluppi sul conflitto russo-ucraino. Questo atteggiamento è definito doomscrolling, ovvero una pratica che intreccia curiosità ed empatia. Viene identificato con lo scorrere e il consumare una dopo l’altra le notizie drammatiche, costringendo le persone a vivere in un circolo vizioso di negatività da cui non possono uscire. La scoperta continua di minacce e pericoli porta i soggetti a controllare continuamente gli sviluppi delle notizie. Come possiamo contenere questo comportamento negativo?

Come frenare la voglia morbosa di notizie

Viviamo in una società in cui l’informazione passa attraverso i social. Fino a qualche tempo fa, i telegiornali trasmettevano le notizie in determinate fasce orarie per garantire al telespettatore il rispetto di una periodicità. Tale abitudine ha lasciato il posto alla raffica di news disponibili a qualsiasi ora e in qualunque canale. Stabilire i confini con questa modalità di divulgazione può essere abbastanza complesso, ma possiamo iniziare a seguire degli accorgimenti.

Innanzitutto per limitare l’utilizzo dei social, è necessario riconoscere di avere un problema. La consapevolezza costituisce il primo passo verso la guarigione. La limitazione dell’uso massiccio di internet ci permette di impegnare il nostro tempo in maniera diversa, distraendoci dall’ossessione maniacale per le notizie. In un mondo in cui le notizie sono disponibili h24, spetta a noi stabilire lo spessore di tali confini.

Riempire il proprio feed con storie a lieto a fine che possano regalare al cervello una pausa dalle problematiche del mondo reale, può tenere a freno la voglia morbosa di essere sempre informati. Ciò non significa non concedersi la lettura di contenuti che ci interessano, ma destinare la ricerca delle notizie ad un limite temporale ben circoscritto.

Leggi anche: Così l’ansia per il futuro sta divorando la vita dei giovani

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