Gli USA censurano i classici greci e romani: è la “cancel culture” che sta per sferrare il suo ennesimo attacco

Se la cancel culture dimentica che le radici sono importanti, l'Europa ha il dovere morale di difendersi e proteggere la propria identità.

Asia Solfanelli
Asia Solfanelli
Intraprendente e instancabile penna, poliglotta, appassionata lettrice e avida viaggiatrice. Sviscerata amante del cinema. E ultimo, ma non per importanza, eterna studiosa, perché non si finisce mai d’imparare.
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Censura dei classici greci e romani, negli USA cancellare la letteratura classica sta diventando una tentazione forte.

Questa, ritenuta fondamento della “white culture” da cui avrebbero principio secoli di colonialismo, razzismo, nazismo e fascismo, è oggi parecchio discussa e la sua decolonizzazione rischia di diventare un fatto reale.

Gli Usa verso la censura dei classici come fondamento della “white culture”

Gli Usa verso la censura dei classici come fondamento della "white culture".

La lotta al razzismo e alla discriminazione di genere è una battaglia nobile e necessaria. Secoli di storia, letteratura, poesia e arte ci raccontano di soprusi e ingiustizie, di ingiustificate idiosincrasie verso persone, intere comunità e popoli.

Ci raccontano di una mentalità, se vogliamo, “primitiva”, “bigotta”, “obsoleta”, appunto “passata”, come lo sono anche i nostri grandi classici. Parte ed eredità di un tempo ormai lontano, ma non per questo dimenticato o da dimenticare.

Libertà e tolleranza sono ideali da difendere a spada tratta, ma, allo stesso tempo, sono l’esito di un lungo processo evolutivo che proprio nella classicità ha la sua origine.

Per questo, almeno per gli europei, diretta propaggine di quella cultura, le ripetute dichiarazioni di Dan-el-Padilla Peralta non possono che risultare radicali, smisurate e iperboliche, frutto di un fanatismo balistico e abietto, malsano.

Dan-el-Padilla Peralta, uno studioso di storia romana che insegna all’Università di Princeton, addita ai classici la paternità della cosiddetta “white culture”, quella che sarebbe l’autrice di millenni di segregazione, disparità, iniquità e sopraffazione. La sua voce, che trova sfogo sulle pagine del New York Times, ha eco internazionale, ma l’Europa ha il dovere morale di difendersi.

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Il dovere morale dell’Europa contro la censura dei classici

Che negli Usa recentemente si tenda a vedere intenti razzisti ormai ovunque sembra essere un fatto consolidato.

La cancel culture, ovvero quella moderna forma di ostracismo nonché estremizzazione del politically correct, ha già colpito molte statue, quella di Cristoforo Colombo, per dirne una, i nomi di George Washington e Abramo Lincoln, rimossi dalle scuole di San Francisco, o anche le traduzioni in olandese delle poesie di Amanda Gorman.

E questi non sono che esempi a cui rischiano di aggiungersi presto molte opere classiche greche e romane. Oggi il mirino è puntato sulla cultura ellenistica, “madre” della democrazia in cui le donne venivano discriminate, sulle Metamorfosi di Ovidio in cui la violenza alle donne appare lecita e persino sull’Odissea, cardine della letteratura globale, ma ritenuta promotrice di “mascolinità tossica”.

Un occhio attento noterà che al bersaglio ci sono proprio le nostre radici. Quel patrimonio culturale senza cui oggi Roma, ma anche l’Europa non esisterebbero, o almeno non sarebbero quello che oggi sono.

Nel vecchio continente quel mondo classico messo al bando è in ogni angolo, trapela dai borghi antichi, dagli iconici monumenti di quasi tutte le grandi città, dai musei, dalle biblioteche, dai tesori nascosti che con stupore e meraviglia ancora vengono rinvenuti, e persino dalle opere moderne che citano e ricitano la grandezza di quel mondo lontano e che non sarebbero tali se esso non fosse esistito.

Le radici sono importanti perché senza di esse alle fronde non arriva nutrimento, i fiori non sbocciano. È giusto guardare con occhio critico e, se si vuole persino severo, quei costumi barbari, quei modi rozzi e persino quegli atteggiamenti meschini, ma cancellare è negare quel che stato, è nascondere lo sporco sotto al tappeto, ma soprattutto è rischiare di commettere gli stessi stessi errori.

L’Europa ha così il dovere di opporsi a questa tendenza semplicistica alla negazione, ha il dovere morale di difendere la propria identità, con i suoi difetti e gli errori che l’hanno definita e fatta crescere.

J.K. Rowling, Salman Rushdie e Noam Chomsky, sono sono alcune della personalità che si sono spese contro la censura dei classici, contro questo fanatismo che tutto sembra meno che promuovere valori giusti.

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Contro la censura dei classici, si ricorda che le radici sono importanti

Contro la censura dei classici, si ricorda che le radici sono importanti.

Che per i neri ricordare il passato di schiavitù o per gli indiani la violenza della colonizzazione possa essere struggente è lecito. Che in una popolazione vasta e multiculturale come quella americana questo finisca per essere un sentimento condiviso da molti è anche una realtà.

Ma, come possono non destare perplessità quell’estrema tendenza all’abnegazione nonché quel vuoto culturale e creativo che ne sarebbe diretta conseguenza?

A un passato di vittime si oppone quello di carnefici, che pure è difficile portare con orgoglio. Ma la vita e la storia sono lunghi percorsi e non cancellare i sentieri battuti serve a dirigersi verso altre mete e scoprire nuovi cammini.

Contro la censura dei classici, vale la pena ripeterlo: le radici sono importanti, siano essere motivo di orgoglio o di biasimo, perché in entrambi i casi oggi le chiome sarebbero così in alto a lasciarsi spettinare dal vento e a prendersi quella luce senza la quale non nascono germogli né tanto meno frutti.

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