Il Tribunale costringe Uber Eats a richiamare 4mila rider licenziati: “Decisione storica”

Una sola decisione, infatti, ha cambiato completamente il destino di moltissimi lavoratori, creando un importante precedente per l'intero settore produttivo.

Asia Buconi
Asia Buconi
Classe 1998, romana. Laureata in Scienze politiche e relazioni internazionali, ama l’attualità e la letteratura, ma la sua passione più grande è la sociologia, soprattutto se applicata a tematiche attuali. Nel tempo libero divora film e serie tv.
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Caso Uber Eats: la sentenza proncunciata dai giudici del Tribunale di Milano ha una portata storica. Una sola decisione, infatti, ha cambiato completamente il destino di moltissimi lavoratori, creando un importante precedente per l’intero settore produttivo.

Anzitutto, occorre contestualizzare quanto stabilito dai giudici. Tutto parte dall’intenzione di Uber Eats – annunciata nei mesi scorsi – di abbandonare il mercato italiano. Naturale conseguenza di ciò, la risoluzione di migliaia di contratti di collaborazione che intratteneva con i propri rider.

Uber Eats dovrà revocare il licenziamento dei suoi rider

I rider di Uber Eats – che si erano ritrovati improvvisamente senza lavoro – non erano inquadrati come dipendenti. Motivo per cui la piattaforma di consegna di cibo online non aveva eseguito le procedure che avrebbe dovuto applicare se fossero stati qualificati come lavoratori subordinati.

Risultato: invece di complicate e lunghe discussioni con il sindacato, il licenziamento era stato possibile mandando semplicemente una lettera alle persone interessate. Da qui, l’intervento del Tribunale di Milano, che si è espresso all’interno di una procedura per “condotta antisindacale” avviata dalla CGIL.

I giudici – con la loro sentenza – hanno condannato la condotta della Società, sanzionando le forme con cui è stato interrotto il rapporto con i fattorini. In breve, secondo il Tribunale, l’azienda non avrebbe dovuto saltare il confronto sindacale, ma seguire le procedure previste per il licenziamento dei dipendenti. Questo perché – nonostante i rider siano formalmente autonomi – svolgono nella realtà quotidiana prestazioni di lavoro dipendente. E così dovrebbero quindi essere trattati.

Le conseguenze della decisione dei giudici di Milano per Uber Eats

Le conseguenze della decisione dei giudici di Milano per Uber Eats

Il decreto del Tribunale di Milano sui rider di Uber Eats ha stabilito che quella della società di food delivery sia stata una “condotta antisindacale” soprattutto perché, analizzando le modalità concrete di svolgimento della prestazione e i vincoli cui sono soggetti i fattorini, è parso evidente che debbano essere inquadrati come lavoratori subordinati, nonostante non lo siano formalmente.

Ed è proprio in nome di tale ricostruzione che sono scattate tutte le conseguenze che rendono la decisione dei giudici particolarmente importante. La prima: visto il riconoscimento della natura antisindacale della condotta aziendale, è stato ordinato a Uber Eats di revocare tutti i recessi dai contratti di lavoro di coloro che svolgevano la prestazione di rider con account attivo il 14 giugno 2023.

Questo significa che migliaia di contratti riprendono vita retroattivamente e dovranno – con tutta probabilità – essere riqualificati come rapporti di lavoro dipendenti, con dei costi enormi a carico dell’azienda. Ma il Giudice milanese non si è fermato a questo: ha pure ordinato a Uber Eats di avviare con le organizzazioni sindacali le procedure di confronto previste dalla legge 234/2021 e quelle di licenziamento collettivo previste dalla legge 223/1991.

Come riporta Open: “La prima delle due procedure è quella prevista dalla c.d. normativa anti-delocalizzazioni (legge 234/2021), che impone a chi vuole procedere alla chiusura di una sede, di uno stabilimento, di una filiale, o di un ufficio o reparto autonomo situato nel territorio nazionale, con cessazione definitiva della relativa attività e con licenziamento di un numero di lavoratori non inferiore a 50, di svolgere un approfondito percorso di esame congiunto”. Insomma: non può bastare una lettera sbrigativa per dare un colpo di spugna a migliaia di lavoratori.

La seconda delle procedure (legge 223/1991) è quella ordinaria di licenziamento collettivo, che si applica ogni volta che una società ha almeno 5 esuberi. Il tema, di nuovo centrale, è quello della difficoltà di inquadrare il lavoro dei rider negli schemi classici del lavoro, dando loro i diritti e le garanzie che meritano. Finora le aziende che hanno scelto la subordinazione sono una minoranza. Ma, forse, la decisione del Tribunale milanese potrebbe segnare un punto di svolta.

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Classe 1998, romana. Laureata in Scienze politiche e relazioni internazionali, ama l’attualità e la letteratura, ma la sua passione più grande è la sociologia, soprattutto se applicata a tematiche attuali. Nel tempo libero divora film e serie tv.
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