Tanti auguri Dottor Siddique: da venditore di rose a laureato in Medicina

Valentina Cuppone
Valentina Cuppone
Valentina Cuppone, classe 1982. Caporedattore de Il Digitale. Formazione umanistica, una laurea in Lettere Moderne e una specializzazione in Comunicazione della cultura e dello spettacolo all’Università di Catania. Curiosa e appassionata di ogni cosa d’arte, si nutre di libri, mostre e spettacoli. Affascinata dal mondo della comunicazione web, il suo nuovo orizzonte di ricerca è l''innovazione.
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Si chiama Rumon Siddique e dal 15 ottobre è dottore in Medicina e Chirurgia. Dov’è la notizia? In teoria nessuna. Tanti sono infatti i ragazzi che si laureano con il sogno di diventare medici. Ma questo caso, però, è molto diverso, perché esemplare e incoraggiante. Una prova di solidarietà, in un mondo che rischia di guardare da lontano tutte le possibili occasioni di integrazione. Un esempio di tenacia, quello di Rumor. In pratica, una favola, delle più belle però, perché vera. Grazie alla solidarietà e all’aiuto concreto del professore Nicola Carlisi, docente universitario di diritto commerciale nella facoltà di Giurisprudenza di Palermo, il giovane Rumor riesce a frequentare il corso di medicina, a vivere tanto serenamente da poter raggiungere l’ambìto obiettivo. Quella corona di alloro che incornicia il capo. Quel titolo che non è solo un pezzo di carta o la promessa di una professione. Ma che, soprattutto oggi, diventa simbolo di integrazione, di voglia di farcela che premia un ragazzo caparbio e volonteroso, a prescindere dalla zona del mondo in cui è nato. A prescindere dal colore della pelle. Nonostante la lingua originaria, la diversa cultura, la religione. Aldilà di tutte le differenze che simboleggiano solo la diversa collocazione geografica del luogo di nascita, che trascina con sé usi, costumi tipici. Perché ogni luogo ha una determinata storia. Leggi anche: “Io posso!” I limiti sono solo un fatto mentale

Il colore della volontà è uguale per tutti

I sogni e le speranze non fanno differenze, che siano italiani, americani, bengalesi o pakistani, i desideri. Chi ne prova qualcuno, chi altri. Sono le condizioni per farli diventare realtà che cambiano. E ognuno di noi dovrebbe cercare il modo di farle girare a proprio vantaggio, quando è possibile. A volte è fortuna, altre volte è necessità. Cercare un modo per mutare il corso della propria esistenza dovrebbe essere un’occasione per chiunque. Sta poi al singolo saperla cogliere. Ci vuole forza, perseveranza, caparbietà. Magari un pizzico di follia e sana incoscienza per avere il coraggio di fare un salto verso l’ignoto. Evolvere, crescere, cercare la propria strada. Anche andando oltre, qualora fosse necessario. Lontano dalla propria famiglia d’origine, dal suolo amato e conosciuto. Per affrontare una terra sconosciuta e magari a volte anche ostile. Ma con la speranza di provare a ottenere ciò a cui si aspira. O semplicemente, una vita dignitosa. Che non può essere negata a nessuno. Dato che, eventualmente, la differenza è solo quella di essere nati in luoghi meno fortunati. E questa non può essere o diventare una colpa. Leggi anche: Come valorizzare Napoli facendo l’imprenditrice quando tutti ti dicono di andare via

Chiunque ha la sua possibilità e Rumor ha dato tutto se stesso

Rumon e la sua scrivania.
Non è nato in Italia. Né in nessun altro paese dell’occidente sviluppato. Ha una simpatica cadenza palermitana, mista a inflessioni tipiche di chi ha imparato una lingua che non è quella d’origine. E la parla pure molto bene. Nonostante venga dall’altra parte del mondo. Perché Rumon è nato 27 anni fa in Bangladesh. Ed è un esempio di integrazione. Grazie alla sua volontà, alla voglia di farcela e alla fortuna di aver incontrato persone ricche di un sentimento antico e prezioso, quello che, per dirla alla latina, potremmo chiamare umanitas. Una virtù che oggi non è scontata, in una società che sembra sempre più chiudersi a riccio nei confronti dell’esterno e dell’estraneo. Una società dove per qualcuno diventa difficile far mangiare alla stessa mensa dei bambini che frequentano la stessa scuola. Un mondo, il nostro, che per secoli invece si è nutrito delle diversità. Un paese, l’Italia, che è sempre stato per sua stessa natura crocevia di popoli e culture. Allora perché dovrebbe essere inusuale offrire la possibilità, a chi è arrivato qui, di cercare la propria strada? Perché sembra quasi un miracolo il fatto che un promettente ragazzo possa laurearsi? No! Non è “strana” la discussione e la proclamazione di una tesi. È eccezionale il fatto che questo futuro medico poco tempo prima vendeva rose per le strade di Palermo. E forse non è nemmeno questo che rende particolare la sua storia. La cosa che lascia ammirati è l’umanità del professore Carlisi, la sua concezione di accoglienza, di aiutare chi magari è stato meno fortunato, supportando il ragazzo nel suo sacrosanto percorso di studio. E non perché gli manchi volontà e determinazione. Ma solo per destino. Che si può cambiare. Perché c’è il libero arbitrio. Ma serve anche un aiuto concreto, quello che il ragazzo si è guadagnato. Ci chiediamo, però, per i tanti Rumon, che siano bengalesi o italiani, rumeni o marocchini, spagnoli o coreani, quanti prof. Carlisi ci vorrebbero? È un mondo da favola quello che stiamo ipotizzando. Sicuramente la realtà è molto più complessa di un singolo episodio. Ma è la mentalità che sta dietro questa vicenda che dovrebbe diventare quella vincete. La mentalità di chi promuove integrazione e di chi non nega a nessuno un’opportunità.

Il sogno di Rumon: diventare cardiologo

Rumor arriva in Italia nel 1999. Dopo circa 5 anni trascorsi a Mantova in casa di una zia, decide di trasferirsi in Sicilia. Proprio in questa terra di confine, avamposto per i tanti disperati che nonostante tutto non perdono la speranza di un mondo migliore, tanto da trovare il coraggio di affrontare un viaggio peggiore di qualsiasi inferno possibilmente descrivibile. Continua gli studi prendendosi un diploma all’istituto tecnico industriale. Lì, il colpo di fortuna. Galeotto, un tema sull’integrazione. Guarda caso. Un elaborato che ha attirato l’attenzione della signora Carlisi, moglie del professore, tanto da spingerla a conoscere il ragazzo. Da lì, grazie al progetto “Concretizza i tuoi sogni”, la decisione della famiglia di sostenere il ventisettenne negli studi universitari. “Adottare” il suo percorso di formazione per contribuire ad avverare il sogno del giovane bengalese di diventare medico. Un’aspirazione che nasce dalla volontà di rendersi utile al prossimo, d’aiutare chi è stato meno fortunato di lui. Si chiama solidarietà. Ed è ciò che ha accomunato la scelta del professore e il sentimento che ha spinto Rumor nella realizzazione del proprio progetto. Che non finisce qui. Il prossimo passo infatti è la specializzazione in cardiologia. Una vicenda che parla di cuore, di sentimenti positivi, per formare qualcuno che, i cuori, un giorno li curerà. Leggi anche: Intelligenza emotiva, la skill che ti garantirà successo

Non è retorica, ma una testimonianza di come tutto sia possibile

La storia di Rumon fa riflettere. Le sue parole, ascoltate in un’intervista rilasciata pochi giorni fa, sono ricche di significato. Ringrazia chi ha reso reale “la possibilità di vivere nel modo più bello possibile”. Chi l’ha messo nelle condizioni di poter compiere un impegnativo percorso di studi, non discriminando ma contribuendo a integrarlo in una società che non dovrebbe rifiutare ma accogliere. Una società che dovrebbe cercare di risolvere i propri problemi cercando di non vedere le cause in chi ha nomi e cognomi difficilmente pronunciabili. Sicuramente ci vogliono leggi che tutelino i diritti e i doveri di tutti. Di tutti, appunto. Perché ogni mancata inclusione, potrebbe essere un’occasione perduta. Sono belle parole, lo sappiamo. Forse per qualcuno fastidiose. E sappiamo pure questo. Ma la scrittura serve a propagare idee, a far nascere dibattiti, a proporre una visione diversa delle cose. Gettare un seme per riflettere verso quale direzione stiamo andando. Spronare a porsi qualche domanda in più. Tutte le posizioni possono essere messe in discussione. Si chiama tolleranza. In un mondo globale e multietnico dovrebbe essere un valore dalle solide radici. Leggi anche: Ridaje, la startup che dà lavoro e dignità ai clochard: si prendono cura delle città di Valentina Cuppone

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