Bolle spaziali contro il cambiamento climatico: fantascienza?

Grande quanto il Brasile, l'ombrello di nanoparticelle potrebbe ridurre la radiazione solare e di conseguenza abbassare la temperatura al suolo.

Enrica Vigliano
Enrica Vigliano
Enrica Vigliano, romana per adozione. Lavora nel mondo dell’arte e della comunicazione di eventi, dopo gli studi di Archeologia e di Business dei beni culturali. Adora parimenti la matematica e la grammatica, avendo una predilezione per le parole crociate e per la vita all’aperto.
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Non è il titolo di un notissimo film comico sci-fi di fine anni Ottanta: le bolle spaziali di cui parliamo oggi sono uno dei più moderni ritrovati tecnologici che il MIT (Massachusetts Institute of Technology) sta studiando per combattere il cambiamento climatico.

Una nuvola di bolle spaziali

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Dal momento che la riduzione delle emissioni di anidride carbonica da parte delle attività antropiche è ancora troppo esigua rispetto ai cambiamenti climatici in atto, tanto che molti dubitano di poter assistere nei prossimi anni a una decisiva inversione di rotta, il MIT, in un progetto capitanato da James Early e Roger Angel, ha deciso di mettere a punto una strategia per risolvere il problema a monte, o meglio, in questo caso, direttamente fuori dal pianeta.

I cambiamenti climatici sono dovuti soprattutto al riscaldamento della Terra e al conseguente innalzamento delle temperature: partendo da questo principio, gli scienziati hanno pensato di schermare la radiazione solare a metà strada tra il pianeta e la sua stella grazie a uno scudo di bolle spaziali.

Nanoparticelle come un gigantesco ombrello

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La corsa a trovare una soluzione al riscaldamento globale è una delle sfide più pressanti del nostro secolo, motivo per cui le soluzioni avanzate hanno spesso un che di fantascientifico, come nel caso delle bolle spaziali contro la radiazione solare del MIT.

In effetti l’idea è al tempo stesso semplice ed avveniristica: dotare il nostro pianeta di un ombrello in grado di fargli ombra dalla sua stella. Diminuendo la quantità di luce che arriva al suolo, infatti, lo scudo permetterebbe di abbassare la temperatura fino a raggiungere livelli preindustriali, schermando appena tra il 2 e il 4% dei raggi solari.

Le microparticelle, ultrafredde, dovrebbero essere installate a circa un milione di miglia dalla Terra, in corrispondenza del punto L1 Lagrange, e dovrebbero coprire un’area vasta quanto il Brasile, cioè 8,5 chilometri quadrati.

Le bolle spaziali potrebbero così intercettare e riflettere all’indietro i raggi solari, con effetti mitigativi sul suolo terrestre.

Leggi anche: Dallo spazio alla Terra, così l’energia arriva ovunque con il pannello solare spaziale PRAM

I primi studi e i nuovi

L’idea non è recente, nonostante l’incredulità che può suscitare: già sul finire degli anni Ottanta si pensava a uno scudo protettivo di vetro spesso 2 km, riempito di materiali prelevati dalla luna o dagli asteroidi, ma i costi erano decisamente proibitivi.

Tuttavia il team del MIT sta valutando la fattibilità del progetto alla luce dei nuovi ritrovati della scienza e della tecnica, ipotizzando di utilizzare una sorta di schiuma di bolle spaziali, costituite da silicio fuso.

Anche le modalità di installazione hanno dell’incredibile: per posizionare in orbita questo grande parasole si potrebbe sia impiegare un cannone a rotaia, una sorta di acceleratore magnetico, e l’assemblaggio potrebbe essere fatto direttamente nello spazio, “gonfiando” la schiuma direttamente in loco.

I primi test sono stati condotti a una temperatura di -50°C e a una pressione di 0,0028 atmosfere, per poter emulare le condizioni nello spazio che rimangono tuttavia ancora più estreme.

Questo abbatterebbe da un lato i costi di distruzione dell’installazione in caso di problemi o malfunzionamenti, facendo scoppiare le bolle spaziali, ma permettendo di deviare l’1,8% la quantità di luce che arriva a terra se tutto dovesse funzionare a dovere.

Una flotta di robot spaziali

In alternativa alle bolle spaziali, l’astronomo Roger Angel propone di dispiegare un esercito costituito da 16 trilioni di robot volanti, ognuno dei quali di un peso inferiore al grammo e spessi quanto un capello, cui affidare la riflessione dei raggi grazie alla pellicola di cui sarebbero rivestiti.

Coordinati da appositi satelliti, i robot potrebbero svolgere il loro lavoro indisturbati per poi finire la loro vita sulla Terra, semplicemente precipitando nell’atmosfera.

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Enrica Vigliano, romana per adozione. Lavora nel mondo dell’arte e della comunicazione di eventi, dopo gli studi di Archeologia e di Business dei beni culturali. Adora parimenti la matematica e la grammatica, avendo una predilezione per le parole crociate e per la vita all’aperto.
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