Rotta balcanica, milioni spesi in tecnologia anti-migranti anziché in accoglienza: qual è il gioco dell’UE?

Sulla rotta balcanica droni, termocamere, rilevatori di battito cardiaco e sensori di movimento: la tecnologia di frontiera contro i flussi migratori.

Linda Scattolini
Linda Scattolini
Umbra. Da sempre appassionata di scrittura e comunicazione, ama le lingue e la letteratura straniera. Dalla maggiore età ha collaborato con testate e tv locali, co-condotto in dirette web e radio, cercando. Amante di cronaca, politica e dei dibattiti sui temi attuali in chiave socioculturale.
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Eppure, continua a fare freddo. Le immagini più crude pervenute dalla Bosnia-Erzegovina risalgono allo scorso gennaio: profughi costretti a vagare tra la neve, affamati, in condizioni igienico-sanitarie precarie. Eppure, nel mezzo del silenzio, la situazione sulla rotta balcanica, Europa, non è migliorata. Sono solo andati a inasprirsi i controlli di frontiera.

A trentadue anni dalla caduta del Muro di Berlino, la mente torna alle immagini di coloro che cercavano di arrivare alla Germania Federale dalla DDR. Stavolta però non si spara al ribelle: mentre i migranti provano ad attraversare i confini orientali del continente, l’Europa continua a investire sulla tecnologia, non proprio favore dell’integrazione.

Rotta balcanica: investimenti tecnologici milionari per respingere i migranti


Il gioco del gatto e del topo. The Game, infatti, è il nome che i migranti della rotta balcanica hanno attribuito al tentativo di superare le frontiere di Croazia, Ungheria, Bulgaria e Romania.

Respinti con sempre più brutalità, un ausilio a tale barbarie vede la complicità della tecnologia. L’aumento degli stanziamenti per l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera (FronteX) che, secondo un’inchiesta del Guardian, attualmente toccano i 420,6 milioni di euro, ha portato a una progressiva militarizzazione dei confini.

I migranti bloccati in Serbia e in Bosnia-Erzegovina testimoniano l’utilizzo, da parte della polizia di frontiera, di droni, termocamere, rilevatori di battito cardiaco e sensori di movimento.

Riporta Linkiesta, dal racconto di un migrante a uno dei cooperanti del Border Violence Monitoring Network vicino a Šturlić (Bosnia):


Di notte, ci sono i droni. Penso ce ne siano una decina. Ti osservano.

Non puoi attraversare il confine di notte perché se la polizia ti becca, ti riempie di botte.

Rotta balcanica, la polizia croata contro i migranti: la denuncia di Amnesty International


Il mancato rispetto dei diritti di migranti e rifugiati dalle autorità croate nelle operazioni di frontiera era stato già denunciato, lo scorso anno, da Amnesty International.

Sollecitando l’Ufficio del difensore civico europeo, l’associazione aveva chiesto l’apertura di un’indagine sulle eventuali responsabilità della Commissione europea. Ha dichiarato Eve Geddie, direttrice di Amnesty International presso le Istituzioni europee:


Proseguendo a finanziare operazioni del genere e dando via libera all’accesso della Croazia all’area Schengen, la Commissione viene meno al dovere di controllare come venga utilizzata l’assistenza europea e fa capire che gravi violazioni dei diritti umani possono andare avanti senza sollevare obiezioni.


Pestaggi, trattamenti umilianti e distruzione di beni personali sono all’ordine del giorno per uomini, donne e bambini migranti. E l’uso di nuove tecnologie avrebbe contribuito a inasprire le pratiche repressive e razziste verso di loro. Prima tra tutte, la confisca del cellulare. Spesso, l’unico modo con cui queste persone riescono a orientarsi nei Balcani è proprio grazie al telefono, che è anche l’unico strumento per custodire una copia digitale dei propri documenti o mantenere un contatto con le proprie famiglie.

In merito, FronteX ha negato ogni correlazione, giustificando le azioni come un contrasto ai “fenomeni di migrazione illegale”.

Croazia, Romania e Ungheria: a cosa serve la tecnologia di frontiera anti-migranti


Dopo gli investimenti del Ministero croato, tra il 2014 e il 2017, in termocamere, visori notturni, rilevatori di battito cardiaco e microcamere, con l’aggiunta di droni acquistati senza il ricorso ai fondi europei, ben presto si sono adeguate al fare croato anche Romania e Ungheria. A suscitare preoccupazione, è l’intento futuro della tecnologia sulla questione migratoria, in arrivo entro il 2022.

Sviluppato dall’agenzia europea EU-LISA e dalle aziende private europee IDEMIA e Sopra Steria, è in arrivo un database per il rilevamento dei dati biometrici dei cittadini extraeuropei che attraversano le frontiere dell’area Schengen, volto a combattere l’immigrazione illegale e la criminalità sulla rotta balcanica.

Leggi anche: Cina, report fa luce sulla rete di sorveglianza per il controllo dei cittadini: violazioni gravissime

Rotta balcanica, dalla tragedia umanitaria alla lotta politico-istituzionale: qual è il gioco dell’UE?

Come si è passati da una tragedia umanitaria a una lotta politico-istituzionale “tutti contro tutti”?

Nello scacchiere delle responsabilità, che vede coinvolte autorità locali, politici nazionali di Sarajevo, l’Unione Europea e l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) dell’ONU, nessuno sembra procedere in direzione dell’altro. Al contrario, l’intento sembrerebbe quello di scaricarla, la responsabilità. Da qui la definizione di “crisi umanitaria artificiale”, coniata dall’ambasciatore UE e rappresentante speciale in Bosnia, Johann Sattler.

In un approfondimento di Euronews dedicato al tema, viene ripercorsa la travagliata vicenda dell’ex fabbrica di elettrodomestici Bira, fallita nel 2015 e riconvertita tre anni dopo in un rifugio per migranti gestito dall’OIM, con l’approvazione del Consiglio dei ministri di Bosnia ed Erzegovina.

Il complesso industriale, che non verrà mai aperto ai migranti, è situato a Bihać, la cittadina a confine con la Croazia dov’è stato inaugurato nell’aprile 2020 il campo profughi di Lipa, a 25 chilometri dal centro e costruito nei pressi di un villaggio abbandonato.

Leggi anche: Stallo sulla rotta balcanica, in 3mila abbandonati al gelo, OIM: “Tragedia umanitaria”

Rotta balcanica, la questione dei campi profughi


Perché la decisione di tende riscaldate nel campo di Lipa anziché riaprire il centro Bira per gestire la rotta balcanica? Dopo il rogo che ha parzialmente distrutto il campo profughi a Lipa, sono cominciati i lavori di riconversione in una struttura permanente, attrezzata ad ospitare i migranti anche nei mesi più freddi.

Il Consiglio comunale di Bihać scarta l’ipotesi della riapertura l’ex fabbrica Bira, nonostante le pressioni del governo di Sarajevo da una parte, e dei più alti funzionari europei congiuntamente all’OIM dall’altra.

Ha affermato l’ex membro del consiglio comunale di Bihać, Adnan Habibija, nell’intervista ad Euronews:


Non abbiamo nulla contro queste persone, vogliamo solo riavere la nostra pace.

Per tre anni abbiamo mostrato umanità e continueremo a farlo.

Va bene aiutarli ad avere un tetto sulla testa e del cibo, ma non va bene lasciarli liberi di vagare senza documenti in ogni momento, entrare nelle case della nostra gente, rubare, danneggiare o aggredire i cittadini per le strade.

I difficili equilibri politici sulla rotta balcanica: “Nessun politico di Sarajevo oserebbe dire nulla all’UE”


La realtà dei fatti sembrerebbe riportare tutto a un’unica conclusione: nessuno vuole la gestione di migliaia di migranti sul proprio territorio. Come le autorità territoriali di Bihać, anche l’Unione Europea teme l’enorme flusso migratorio che andrebbe a crearsi sulla rotta balcanica.


Ha dichiarato il coordinatore uscente dell’OIM per i Balcani occidentali, Peter Van der Auweraert a Euronews:


Se l’Europa arrivasse qui e li ridistribuisse tra i suoi stati membri, sempre più migranti arriverebbero in Bosnia ed Erzegovina.

Sarebbe l’unico paese da cui la gente viene ritrasferita [verso altri stati UE], e questo diventerebbe un pull factor, un fattore di attrazione.


Da ricordare, in proposito, che la Bosnia Erzegovina ha presentato la domanda di adesione all’UE nel 2016.

E suonano stridenti per un cittadino europeo le parole del giornalista e analista bosniaco, Refik Hodzic a Euronews, che ha dichiarato:


Purtroppo, la Bosnia è completamente dipendente dall’Unione Europea per la sua stabilità politica ed economica, e la vede come la luce alla fine del tunnel.

Nessun politico a Sarajevo oserebbe dire alla UE: bisogna affrontare questo problema non solo attrezzando un campo con delle tende, ma in modo più ampio, insieme”.

Leggi anche: Eurodeputati respinti al confine di Bosnia e Croazia: “Non dovevamo vedere”

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