La comunità autogestita colma il vuoto delle istituzioni: la solidarietà di Sparwasser nel cuore del Pigneto

Raccontando dello Sparwasser, Rita getta luce su una questione sociale mai risolta: "Abbiamo un problema di svuotamento del senso delle istituzioni bello grande". Dove sono le istituzioni?

Asia Solfanelli
Asia Solfanelli
Intraprendente e instancabile penna, poliglotta, appassionata lettrice e avida viaggiatrice. Sviscerata amante del cinema. E ultimo, ma non per importanza, eterna studiosa, perché non si finisce mai d’imparare.
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Lo Sparwasser si reinventa con la pandemia, si offre a sostegno dei cittadini, risponde all’emergenza freddo. Le istituzioni no.

Noto per le sue attività non solo culturali e ricreative, ma anche sociali, a supporto dell’intera comunità, lo Sparwasser è un circolo culturale, un circolo ARCI del quartiere Pigneto, Roma.

Prima dello scoppio della pandemia nel centro avevano luogo mostre, dibattiti, presentazioni di libri, spettacoli, concerti e corsi. Ma si garantiva anche supporto ai lavoratori, ai migranti nonché ai ragazzi e adolescenti che necessitavano di un aiuto a livello scolastico. E non è tutto. C’era, ed esiste ancora, Nonna Roma che si occupa di mutualismo sociale e solidarietà, offrendosi come banco alimentare, come sportello di mutuo soccorso e impegnandosi in iniziative educative e solidali.

La pandemia cambia tutto, ma non la voglia di sentirsi in qualche modo utili e vivi.

Abbiamo intervistato Rita, una giovane volontaria del centro, che ci ha raccontato come lo Sparwasser si è attivato durante e dopo le restrizioni e come, dopo aver subito il furto della strumentazione musicale lo scorso febbraio, ha deciso di ripartire.

L’intervista a Rita, una volontaria dello Sparwasser

L'intervista a Rita, una volontaria dello Sparwasser.

Come ha reagito lo Sparwasser al primo lockdown?

Durante il primo lockdown, come Sparwasser, abbiamo lanciato un progetto chiamato “Casa Pigneto – un quartiere solidale”: attraverso una chiamata pubblica siamo riusciti a contattare circa 200 volontari e volontarie disponibili per la consegna a domicilio della spesa, a sopporto di quelle persone più fragili, bisognose e, per vari motivi, impossibilitate a provvedere in maniera autonoma agli approvvigionamenti.

Poi ci siamo chiesti cos’altro potevamo fare, come potevamo in qualche modo essere d’aiuto. Abbiamo dato così avvio non solo allo sportello psicologico online e a diverse attività, da quelle di babysitting online e a quelle di doposcuola, ma abbiamo anche trasferito in modalità telematica anche lo sportello legale e amministrativo a supporto di chiunque avesse avuto bisogno di aiuto nel risolvere questioni legislative e burocratiche. Ad esempio, abbiamo anche dato una mano a conseguire i vari bonus, come quelli di affitto o spesa.

Mentre le nostre babysitter, che intrattenevano per qualche ora i ragazzini su Skype, sono stati molto utili ai genitori in smartworking, lo sportello psicologico Sparwasser, tra le diverse iniziative, è quella che ha riscosso maggiore successo.

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Terminate le restrizioni del primo periodo, avete sospeso le nuove iniziative?

No, non tutte. Alcune attività preesistenti, come lo sportello amministrativo di Sparwasser, hanno ripreso il loro regolare svolgimento.

Per quanto riguarda, invece, le iniziative avviate con il primo lockdown, abbiamo soppresso la consegna della spesa e il babysitting, ma abbiamo deciso di continuare con lo sportello psicologico e con il doposcuola, che poi abbiamo rilanciato negli ultimi mesi insieme a dei corsi di inglese gratuiti per bambini e adolescenti.

Abbiamo poi dato avvio anche alla raccolta di device, quindi di cellulari, computer, in generale dispositivi tecnologici che potessero essere utili a chi non ne ha e non potrebbe altrimenti fruirne.

Quando e come avete deciso di aprire le porte dello Sparwasser e farne un dormitorio?

Abbiamo ufficialmente aperto le porte dello Sparwasser il 25 gennaio 2021.

Un giorno, durante una riunione online, mentre stavamo parlando del fatto che il Circolo era di fatto inutilizzabile e che già più di dieci persone erano morte a causa dell’emergenza freddo, abbiamo pensato di allestire un dormitorio.

Ci siamo informati sulle varie procedure burocratiche e, seppure con tutte le dovute cautele, abbiamo dato presto il via all’iniziativa. La gente stava morendo.

Come avete provveduto all’arredamento del dormitorio?

Innanzitutto, abbiamo avviato una raccolta fondi e, come al solito, la comunità ha risposto molto bene.

Siamo poi stati contattati dalla Casa del Materasso, un’azienda che si è offerta di regalarci materassi, reti, lenzuola e cuscini, insomma, buona parte del necessario. E siamo riusciti a negoziare un prezzo di favore anche con un’agenzia che si occupa di sanificazione.

Quante persone avete accolto e quanto potranno restare? Che ne sarà di loro una volta che dovranno andarsene?

Siamo usciti a offrire 8 letti, quindi abbiamo potuto ospitare di volta in volta 7 persone, lasciando un posto libero per un nostro operatore chiamato a sorvegliare.

Avevamo pensato di interrompere e chiudere il dormitorio la prima settimana di marzo, ma viste le temperature e il fatto che comunque non potevamo utilizzare altrimenti i nostri spazi, abbiamo deciso di lasciare aperte le porte del centro fino alla fine del mese.

Ora stiamo cercando di guadagnare tempo, stiamo facendo il possibile affinché quelle persone che abbiamo ospitato non siano costrette a tornare in strada.

Non possiamo fare molto, ma stiamo tentando quanto in nostro potere non solo per indirizzare quanti più possibile verso altri centri, ma anche per aiutare, almeno i più giovani, a trovarsi un lavoro e costruirsi un futuro.

Aiutarli con la documentazione, a scrivere il curriculum ad esempio, è già un supporto prezioso.

Chi sono stati e chi sono gli ospiti del dormitorio dello Sparwasser?

Le persone che sono state accolte agli inizi non sono le stesse che ci sono ora. Qualcuno ha voluto andarsene, altri sono stati indirizzati in altri centri, altri ancora hanno trovato una sistemazione.

I nostri ospiti sono quasi tutti persone che hanno perso tutto con la pandemia, persone che prima del lockdown avevano una vita ‘normale’, ma poi si son ritrovate nullatenenti.

È stata poi una nostra scelta quella di ospitare soltanto uomini: per non far sentire le donne a disagio in un dormitorio misto, abbiamo preferito indirizzarle verso strutture prettamente femminili.

Per quanto riguarda l’età invece, abbiamo avuto gente di tutte le età: molti giovanissimi, persone di mezza età, ma anche anziani. Gli anziani sono sempre quelli più difficili da gestire perché, non potendo lavorare, non è semplice reinserirli nella società, quindi trovare uno spazio in cui possano poter vivere bene all’uscita dal nostro centro.

C’è poi da dire che molti sono immigrati, ma, soprattutto negli ultimi tempi, abbiamo avuto anche italiani come ospiti.

Come ha reagito la comunità alla vostra iniziativa?

La comunità, primo fa tutti il quartiere, ha sempre, e da sempre, risposto con molto entusiasmo, supportando, incentivando e contribuendo alle nostre iniziative.

Fatta la prima chiamata pubblica, avevamo persino troppe persone che volevano aiutarci, in soli tre giorni si sono presentati quasi in duecento .

Oltre alle donazioni, sono stati fondamentali i contributi dei vari esercizi commerciali, qualcuno offriva la colazione, qualcuno un pranzo, qualcun altro una cena. Ognuno ha davvero contribuito come poteva.

Come hanno reagito le istituzioni all’iniziativa di Sparwasser?

Non abbiamo avuto nessun riscontro, almeno agli inizi. Le istituzioni sono intervenute soltanto dopo circa un mese per incombenze burocratiche.

Non avevamo bisogno di permessi, ma era nostro dovere comunicare ai vari uffici competenti le nostre intenzioni, quindi informarli che stavamo facendo del nostro centro un dormitorio. Abbiamo inviato le dovute comunicazioni, ma non abbiamo avuto alcun riscontro. Almeno fino al mese successivo, quando ci è pervenuto un avviso con cui ci veniva notificato l’avvio del procedimento di revoca della SCIA, ovvero la possibilità di svolgere alla riapertura del locale tutte quelle attività di somministrazione di cibi e bevande.

Si è trattato, in realtà, di un fraintendimento. Abbiamo denunciato pubblicamente la cosa, anche attraverso i nostri canali social, e, quando dal municipio hanno verificato che tutta la documentazione necessaria era stata fornita, sono subito arrivate le scuse.

Risolto il fraintendimento, risolto il problema?

Il vero problema è che non sarebbe nostro compito far tutto quello che facciamo. Noi non dovremmo occuparci di solidarietà, dovrebbero essere le istituzioni a farlo. Noi facciamo quel che facciamo perché ci rendiamo conto che ce ne è bisogno, che la situazione è ingestibile e perché, anche se poco, sappiamo che in qualche modo possiamo contribuire.

Tuttavia, non è possibile che l’amministrazione di questa città, ogni anno, d’inverno si trovi ad affrontare quella che chiama “emergenza freddo”: nessuna emergenza, è normale che d’inverno faccia freddo. Partiamo dal presupposto che nessuno dovrebbe dormire in strada, qualcuno dovrebbe occuparsene, è normale poi lasciare che la gente muoia perché calano le temperature? Chi se ne preoccupa?

Esiste un ‘piano emergenza freddo’ a Roma, ma la verità è che questo piano non riesce in alcun modo a fronteggiare la situazione: riesce ad aiutare una percentuale minima delle persone che sono effettivamente in strada, mentre la gente muore.

Abbiamo un problema di svuotamento del senso delle istituzioni bello grande: se non si prendono cura della fragilità, di cosa si occupano?

Caso Sparwasser: il paradosso tra la buona volontà della comunità e quella delle istituzioni

Il paradosso tra la buona volontà della comunità dello Sparwasser e quella delle istituzioni.

Ecco il paradosso: la comunità è sempre pronta ad aiutare e contribuire a sostegno dei più svantaggiati, mentre le istituzioni mancano. Fanno “il compitino”, come dice Rita, ma non riescono in alcun modo a fare la differenza.

I cittadini vogliono intervenire e intervengono, mentre lo Stato non c’è.

Quel che preoccupa davvero non è il freddo della stagione invernale, ma la freddezza di quegli organi che dovrebbero prendersi cura della popolazione tutta e invece la trascurano, e ormai da troppo tempo.

Vista la prontezza con cui si è reagito al virus, resta difficile credere che, se lo Stato avesse davvero voluto, non avrebbe trovato un modo per ridurre il numero delle persone costrette a spendere la vita come randagi, quando a non morirne.

Leggi anche: La sfida di Aboubakar: “Mai più invisibili, daremo voce a chi non l’ha mai avuta”

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