L’Odissea di Patrick Zaki, ancora 45 giorni di carcere

Patrick Zaki è ancora in carcere per almeno altri 45 giorni, lo ha deciso il giudice al Cairo sebbene non ci siano prove e lo studente egiziano sia malato.

Cecilia Capanna
Cecilia Capanna
Appassionata di temi globali, di ambiente e di diritti umani, madre di tre figli del cui futuro sente un grande senso di responsabilità
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Patrick Zaki è ancora in carcere. Lo ha stabilito il giudice della terza sezione del tribunale antiterrorismo del Cairo in seguito all’udienza di domenica scorsa, prolungando di altri 45 giorni quella che è una vera e propria odissea per lo studente egiziano. Sono passati 10 mesi dal suo arresto e l’udienza di scarcerazione è stata rimandata innumerevoli volte. Il ventottenne studente al master di Studi di genere all’Università di Bologna è trattenuto in custodia cautelare dall’8 febbraio 2020, giorno in cui ha avuto la sfortunata idea di andare a trovare la famiglia al Cairo senza sapere di essere “segnalato” per propaganda sovversiva a causa di alcuni presunti suoi post su facebook e per la sua collaborazione con l’ONG EIPIR, incriminata anch’essa con l’accusa di svolgere attività  eversive.

Patrick Zaki ancora in carcere rischia la salute

Dopo infiniti rinvii domenica scorsa si è svolta la tanto agognata udienza che si sperava avrebbe messo fine ai 300 giorni di detenzione del ragazzo. La sua legale però, Hoda Nasrallah, si era già detta pessimista per una frase pronunciata dal giudice e purtroppo aveva ragione. La sentenza lapidaria è arrivata il 7 dicembre stabilendo il rinvio di altri 45 giorni e Patrick Zaki è ancora in carcere, nonostante l’assenza di prove a suo carico e le sue non buone condizioni di salute. 

Se già nei giorni successivi all’arresto sembra sia stato picchiato e sottoposto all’elettroshock perché continuava a dichiararsi innocente, i 10 mesi passati nella struttura detentiva di Mansoura, a 120 chilometri dal Cairo, hanno compromesso il suo stato psico-fisico e Patrick è malato. Lo ha raccontato la sorella Marise a Fanpage, dicendo anche che tutta la sua famiglia è da giorni fuori dal carcere in attesa di notizie che non arrivano. Anche la motivazione della sentenza non è stata data, qualsiasi informazione è impedita da uno spesso muro si silenzio da parte delle autorità. Il rinvio potrebbe essere spiegato dal fatto che ancora non è stata accertata l’autenticità dei dieci post su Facebook con cui, secondo l’accusa, Patrick avrebbe diffuso fake news con scopi terroristici ed eversivi.

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Diritti umani, perfetti sconosciuti

Purtroppo sappiamo bene quanto i diritti umani vengano violati con regolarità in Egitto. Lo sappiamo perché uno dei nostri ragazzi migliori, Giulio Regeni, ricercatore e studente modello, non è mai tornato a casa dopo un viaggio proprio al Cairo, dove si era recato per uno studio. 

Il margine concesso alla libertà di azione e di espressione in Egitto è strettissimo e sembra sia una prassi ordinaria quella delle sparizioni forzate. Amnesty International ha rilevato che “centinaia di dissidenti sono stati sottoposti a sparizione forzata fino a 183 giorni”. Nel caso dello studente egiziano si è ampiamente superato addirittura questa prassi, dato che Patrick Zaki è ancora in carcere dopo 300 giorni. Le persone vittime di sparizione forzata sembra siano state almeno 710 solo nel 2020, secondo la commissione egiziana per i diritti e le libertà. 

Sarà forse per questo che proprio le ONG che difendono i diritti umani in Egitto vengono criminalizzate, come quella con cui Zachi collaborava, la Egyptian Initiative for Personal Rights (EIPIR). Alla EIPIR è stata mossa l’accusa di aver diffuso informazioni false e di aver complottato contro lo stato. Inoltre tre dei suoi dirigenti sono stati prima arrestati e poi scarcerati e i loro conti bancari sono stati congelati.

Cosa fa la comunità internazionale?

Nonostante alle udienze che hanno visto sul banco degli imputati la EIPIR e i suoi dirigenti abbiano presenziato i rappresentanti dell’Unione europea e delle ambasciate di Italia, Germania, Olanda e Canada, quando si tratta di Egitto sembra che la comunità internazionale preferisca stare a guardare, piuttosto che intervenire.

Mentre Amnesty International continua a lanciare appelli per la liberazione di Zaki, oltre che naturalmente per fare giustizia per Giulio Regeni, i rapporti di alcuni paesi con Abdel Fattah al-Sisi sembrano placidi e indisturbati. Proprio qualche giorno fa il presidente egiziano si è recato in visita ufficiale a Parigi e Macron ci ha tenuto a ribadire che le tensioni in Medio Oriente non condizioneranno il rapporto di cooperazione tra Egitto e Francia. Cooperazione che sembra orbitare intorno a fonti energetiche fossili e armamenti, a discapito dei diritti umani.

Ma anche l’Italia, direttamente toccata dai due casi Regeni e Zachi, non accenna ad intervenire in maniera decisa per fare chiarezza e giustizia. Nonostante le numerose richieste da parte della società civile di ritirare l’ambasciatore per dare un segnale forte di disappunto al governo egiziano, è stata firmata dai due paesi quella che è stata chiamata “la commessa del secolo”, con la quale l’Italia porta a casa un contratto milionario per la fornitura di armi e navi militari all’Egitto. Sempre a discapito dei diritti umani. E Patrick Zaki è ancora in carcere.

Leggi anche Patrick George Zaki nuovo Giulio Regeni, l’Italia aspetta ancora risposte

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