Patrick George Zaki nuovo Giulio Regeni, l’Italia aspetta ancora risposte

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“Sei ancora quello della pietra e della fionda, uomo del mio tempo” avrebbe probabilmente commentato Salvatore Quasimodo se avesse assistito agli sviluppi della vicenda di Patrick George Zaki. Lo studente e ricercatore egiziano presso l’Università di Bologna è stato trattenuto nel suo paese natale a causa di un mandato di cattura spiccato a sua insaputa. Esattamente 4 anni dopo la scomparsa, la tortura e l’omicidio di Giulio Regeni, il governo egiziano, che non ha ancora chiarito del tutto le circostanze di quell’omicidio, assume una condotta giuridica che non può essere definita proprio garantista.

La sensibilità dell’opinione pubblica e la sensibilizzazione dei governi

Secondo quanto riferito dal legale di Zaki, il suo assistito avrebbe subito maltrattamenti e torture e sarebbe atteso in aula nei prossimi giorni. Sia la Farnesina che l’Unione Europea si sono detti immediatamente preoccupati e hanno garantito che seguiranno la vicenda da vicino. In Italia l’opinione pubblica e i media si stanno mobilitando per fare pressioni diplomatiche e mediatiche sui governi europei, affinché si occupino del caso, e su quello egiziano, affinché tratti con umanità l’accusato e gli siano garantiti tutti i diritti fondamentali. Attualmente l’Egitto ha un deficit nei diritti di prima e seconda generazione e l’Italia ha ancora un contenzioso aperto con il paese delle piramidi, appunto la verità e le responsabilità sulla morte di Giulio Regeni. Leggi anche: GENNAIO 2020, TUTTO QUELLO CHE È ACCADUTO NEL MONDO

Perché è necessario garantire i diritti anche al di fuori dell’Italia

L’Egitto del 2020 è un paese mediorientale con più di 120 milioni di abitanti, un milione di km quadrati di superficie e un’economia influente nel mercato del medio e vicino oriente. Sono molti gli interessi delle multinazionali europee, che si contendono anche cospicui appalti. L’interessamento del governo italiano alla questione di Zaki, che a differenza di Regeni è un cittadino egiziano e non italiano, può essere letto in un duplice modo. La prima lettura è senz’altro quella della vocazione garantista insita nella natura costituzionale del nostro paese, che protegge i diritti umani e garantisce quelli di chi viene accusato. La seconda potrebbe essere più politica. L’Italia attende risposte dall’Egitto, risposte che probabilmente non arriveranno mai dati anche i tentativi di depistaggio. Inoltre l’Italia non può permettersi di rompere o far degenerare le relazioni diplomatiche con il governo del presidente Al Sisi per motivi economici. La seconda chiave di lettura sarebbe quindi proprio quella di fare pressione diplomatica in questo caso per ottenere dall’Egitto le risposte che gli italiani aspettano da 4 anni. Quindi l’impressione da dare non è quella di voler fare ingerenza in ciò che l’Egitto fa con i suoi cittadini, nei propri tribunali, sul suo territorio, ma piuttosto la manifestazione della volontà di usare questo caso per mostrare al mondo il modo di fare egiziano e per mostrare all’Egitto che l’obiettivo di garantire la stabilità di un grande paese e del suo governo può essere raggiunto anche in maniera garantista, perseguendo chi commette un crimine ma senza trascurarne i diritti inalienabili. Leggi anche: L’ITALIA E LE FOIBE, ECCO PERCHÉ RICORDARE È NECESSARIO Domenico di Sarno

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