Oggi Paolo Borsellino avrebbe compiuto 81 anni, a lui un doveroso omaggio

Un omaggio a un uomo che non ha troppo bisogno di essere raccontato, ma che ogni anno meriterebbe di essere ricordato.

Asia Solfanelli
Asia Solfanelli
Intraprendente e instancabile penna, poliglotta, appassionata lettrice e avida viaggiatrice. Sviscerata amante del cinema. E ultimo, ma non per importanza, eterna studiosa, perché non si finisce mai d’imparare.
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Paolo Borsellino, un nome che non avrebbe bisogno di troppi preamboli e spiegazioni, ma un uomo che ogni anno meriterebbe di essere ricordato e commemorato: oggi avrebbe compiuto 81 anni.

Caparbio, sfrontato, acceso da un amore puro, sincero per la sua terra e per la giustizia, una dedizione incorruttibile che non temeva pericoli né avrebbe conosciuto altro riposo se non con la morte.

Un personaggio scomodo a suo tempo e per alcuni forse ancora oggi. Per questi, proprio il giorno del suo compleanno, si ricordano la sua personalità e il suo operato, perché la lotta alla mafia, seppur iniziata e fattasi assidua grazie alla sua tenacia e alla sua lotta impavida, non è finita quel 19 luglio 1992 in via D’Amelio.

Paolo Borsellino, da farmacista a giudice antimafia

Nato nel quartiere arabo di Palermo, la Kalsa, Paolo Emanuele Borsellino cresce in una famiglia di farmacisti. Pur essendosi laureato in Giurisprudenza con il massimo dei voti, proprio dopo la laurea, alla morte del padre, si occupa dell’impresa familiare, almeno fino a quando non è la sorella a prenderne le redini.

Nel 1963 supera il concorso in magistratura e inizia la sua carriera, un percorso intricato, pieno di insidie, ma per cui un animo coscienzioso, un indole intransigente, leale e diligente non ha bisogno della bussola di fronte a nessun bivio.

Nel 1980 arresta i primi sei mafiosi e nello stesso anno viene nominato magistrato d’appello dal Consiglio Superiore della Magistratura.

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Paolo Borsellino, la lotta alla mafia

Paolo Borsellino
Murales a Palermo: in memoria di Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, della loro lotta alla mafia e del loro impegno civile.

Spicca come magistrato e giudice inquirente. La sua intelligenza nonché zelo nell’operare lo distinguono, il suo temperamento e naturale predisposizione per l’impegno civile lo rendono invece inarrestabile. Nel pubblico ministero palermitano arde una vorace fiamma, ad alimentarla un forte senso di giustizia e responsabilità, nonché fiducia che il sistema si possa cambiare solo combattendolo.

Nella lotta prometeica, Borsellino non ha mai avuto paura di sfidare i ‘signori oscuri’, ed è solo con un tale impeto e con un tale coraggio che si può davvero affrontare e vincere la mafia, quell’associazione a delinquere fatta di assassini, trafficanti, usurpatori e criminali di ogni genere, e che infondo non ha bisogno di presentazioni.

Saranno gli ingredienti unici del suo carattere e il sostegno di una squadra fatta di uomini altrettanto valorosi a permettere il cosiddetto maxiprocesso penale, che, dal 10 febbraio 1986 al 30 gennaio 1992, con 475 imputati si concluse con 19 ergastoli e pene detentive.

Paolo Borsellino, dopo la morte di Giovanni Falcone

Paolo Borsellino
Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, magistrati antimafia e vittime di Cosa Nostra.

Il giudice Borsellino, assieme all’amico e collega nel pool antimafia voluto prima da Rocco Chinnici poi dal giudice Antonino Caponnetto, Giovanni Falcone, si era spinto in abissi troppo oscuri, sconfinati e pericolosi.

Egli stesso, durante una conferenza all’Università di Palermo, dopo la strage di Capaci, ammetterà di “aver già messo in conto la morte di Falcone”. E giungendo a indagare sulle trame intessute tra boss mafiosi, istituzioni e magistratura, Borsellino sapeva che in fin dei conti, presto o tardi, sarebbe arrivata anche la sua ora.

Quel ripetuto “Devo sbrigarmi, non ho più tempo”, dopo la morte dell’amico Falcone, tradiva l’amara consapevolezza dell’incombere di un inevitabile e tragico destino, ma anche l’irriducibile resilienza di un uomo audace, caparbio e dagli ideali integri e inalterabili.

L’impegno pubblico

Paolo Borsellino
Paolo Borsellino, la sua audacia, la sua sfrontatezza e il suo impegno pubblico.

A combattere l’omertà, forse l’aspetto più temibile della mafia, quel silenzio di paura, sottomissione e riverenza che scatta contro quel nemico che sembra impossibile da sconfiggere, Borsellino si impegna pubblicamente, apre dibattiti, va nelle scuole, nelle piazze e coinvolge il popolo. Non ha paura.

La sua non è una guerra personale, è per molti una battaglia quotidiana e per vincerla serve il contributo di tutti. La cultura mafiosa va estirpata alla radici, i suoi valori, soprattutto tra i giovani, che oltre a essere il presente saranno i futuro, vanno erosi e sconfitti, cancellati.

E la sua ira non è soltanto contro il riserbo e la tacita accondiscendenza delle masse, ma ancora di più contro quella della magistratura, che come dirà, “forse ha più colpe di tutti”. Che sia più o meno diretto, è proprio il coinvolgimento dello Stato ad accendere la furia del magistrato, a deluderlo e lasciarlo quanto più amareggiato, soprattutto dopo la morte di Falcone, quando in una conferenza, con occhi afflitti e frequenti pause dirà:

Allo stato che lasciò morire Falcone professionalmente, senza che nessuno se ne accorgesse.

Denunciai quanto stava accadendo e per questo ho rischiato conseguenze gravissime, ma necessarie, perché alla morte di Falcone tutti avrebbero dovuto già sapere.

Il pool doveva morire di fronte al paese intero, non nel silenzio.

La morte di Paolo Borsellino

Paolo Borsellino
La strage in via D’Amelio e la morte di Paolo Borsellino.

Paolo Borsellino sapeva troppo, così come sarebbe che sarebbe dovuto morire. Magari non sapeva che sarebbe accaduto quel 19 luglio 1992 in via D’Amelio, dopo essere stato a pranzo con moglie e figli e mentre si recava da sua madre, ma sapeva che quel giorno sarebbe arrivato. E quel giorno la Fiat 126 imbottita di tritolo non gli lasciò scampo.

Continua ancora oggi il mistero sulla sua agenda rossa, un libro di appunti e pieno di note che il magistrato portava sempre con sé e che non fu mai più ritrovato. Un diario di segreti mafiosi e di Stato che nessuno ebbe il privilegio di aprire e tenere in suo potere.

Per molti quel libretto sarebbe stata la chiave di volta per risolvere molti misteri ed enigmi, per altri non sarebbe l’oggetto di molti favoleggiamenti. Lo stesso Alfonso Giordano, il giudice del maxiprocesso, a smentire tante fantasie e congetture, racconta del magistrato antimafia, in un’intervista al Riformista:

Non era un uomo che poteva affidare a un quadernetto chissà quali segreti.

Aveva una agenda tascabile come la avevamo noialtri; c’erano gli appuntamenti giorno per giorno, gli orari delle riunioni e delle telefonate da fare, e alla fine c’era la rubrica telefonica con i numeri da portarsi dietro, perché parliamo di anni in cui i cellulari non c’erano.

L’esempio di Paolo Borsellino

Oggi la lotta mafiosa e l’assiduo contributo di Paolo Borsellino a questo conflitto sono quanto mai noti, è storia recente e più o meno direttamente, come italiani, ci trova testimoni in prima linea.

Oggi ricordiamo una personalità unica, encomiabile, una dedizione verso valori onesti che raramente ha avuto eguali. Rammentiamo il coraggio di quest’uomo che ha avuto l’audacia, l’insolenza di ribellarsi all’ingiustizia, non solo propugnata da criminali, ma anche quella incalzata sotto lo sbandierare di bandiere tricolore.

Oggi, mentre attendiamo il destino del Governo, in piena crisi per i piani di gestione dei fondi europei, sfiduciato e messo ai voti perché accusato di mala organizzazione e mala gestione della pandemia, e per chissà davvero quali e quanti altri subdoli moventi, una tale commemorazione non potrebbe risultare più calzante, e forse ironica.

Spinti da reale senso di giustizia, ideali sicuramente più autentici e nemici reali, Borsellino e il pool antimafia testimoniano il valore dell’unione, il senso della vera lotta e cosa significa davvero dare la vita per il Paese, sacrificarsi, soprattutto cosa vuol dire volere il suo bene.

Leggi anche: Convivere con la paura e sotto scorta, intervista a Paolo Borrometi

L’ultimo discorso pubblico di Paolo Borsellino.

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