In un’Italia in cui fare figli è spesso percepito come atto di coraggio e diventare genitori significa affrontare tutto da soli, c’è un’azienda che ha deciso di fare la differenza: LATI.
Realtà storica italiana, guidata da Michela Conterno, ha saputo trasformare le parole in azione. Con il servizio di supporto post-parto a domicilio, dedicato a ogni dipendente che diventa genitore, LATI non si è limitata a parlare di welfare, ha deciso di realizzarlo e di metterlo in pratica.
Si tratta di un gesto concreto pensato per non lasciare sola nessuna mamma nei momenti più vulnerabili e per cambiare finalmente il paradigma culturale legato alla gravidanza, alla maternità e alla paternità.
Quando un’azienda sceglie di fare la differenza, l’intervista a Michela Conterno, CEO di LATI

In un paese in cui la genitorialità si affronta in piena solitudine, c’è un’azienda che ha deciso di rompere gli schemi e di fare da apripista anche per altre realtà italiane e non.
È il caso di LATI, azienda con 80 anni di storia che ha scelto di fare qualcosa di radicalmente semplice, ma potentemente rivoluzionario: offrire supporto post-parto a domicilio per ogni dipendente che diventa genitore.
In un paese in cui la maternità è ancora spesso vissuta come un ostacolo sul lavoro e dove il senso di colpa accompagna le neomamme tra meeting vari e poppate, questa iniziativa assume un valore profondamente simbolico e soprattutto umano. Non un benefit patinato, ma un aiuto concreto che può davvero fare la differenza.
Abbiamo intervistato la CEO Michela Conterno per capire da dove nasce questa idea e cosa può insegnare al mondo del lavoro.
Dipendenti in azienda e maternità, l’intervista a Michela Conterno
1. Molte donne oggi rinunciano al lavoro dopo la maternità, ma lei ha deciso di muoversi nella direzione opposta, offrendo di più. Che riflessione l’ha portata a fare questa scelta?
La scelta nasce da un principio molto semplice: se vogliamo costruire un’azienda realmente inclusiva e sostenibile, dobbiamo riconoscere che la maternità, e più in generale la genitorialità, è una parte naturale della vita. Troppe donne si sentono costrette a scegliere tra il desiderio di diventare madri e il proprio percorso professionale.
Io credo invece che il ruolo dell’impresa sia proprio quello di abbattere questi ostacoli, offrendo strumenti concreti che permettano alle persone di conciliare lavoro e famiglia senza sensi di colpa o rinunce. La maternità, oggi, purtroppo pesa ancora tanto sulla vita lavorativa di una donna. È un fattore che può rallentare, interrompere o addirittura spezzare carriere. Noi vogliamo contribuire a un cambiamento culturale, e questo passa anche da scelte aziendali coraggiose.
2. In che modo pensa che il supporto post-parto a domicilio possa scardinare il tabù del “tornare subito in forma” a cui tante madri si sentono costrette?
Con il supporto post-parto vogliamo lanciare un messaggio forte: la maternità non è una gara. Non ci sono tempi giusti dettati dagli altri, non c’è un cronometro per “tornare in forma” o per riprendere il lavoro a pieno ritmo. Questo servizio offre ascolto, cura, rispetto dei tempi individuali. Aiutiamo le madri a vivere il post-parto come un periodo di transizione fisiologica, in cui è normale sentirsi vulnerabili. Credo che riconoscere e sostenere questa fase contribuisca a smantellare l’idea che una madre debba essere “perfetta”, fisicamente ed emotivamente.
3. In che modo si articola il supporto post-parto a domicilio? Ad oggi quante donne vi hanno partecipato e soprattutto quali sono stati i feedback ricevuti?
Il supporto si concretizza in un pacchetto di ore gestite da una figura professionale esperta in ostetricia, che raggiunge la madre a casa nei primi mesi dopo il parto.
Ad oggi hanno beneficiato di questo servizio tutte le madri e i padri che lo hanno richiesto e i feedback sono stati estremamente positivi. Le persone ci hanno detto di sentirsi sostenute, comprese, meno sole in un momento così delicato. Questo ci spinge a continuare su questa strada e a migliorare ulteriormente l’offerta. Abbiamo infatti recentemente integrato un servizio di supporto psicologico che offre ai genitori un sostegno dedicato nelle fasi pre, durante e post maternità o paternità.
4. Cosa significa parlare di cura, ascolto e maternità in un contesto dove, tradizionalmente e storicamente, questi temi sono considerati marginali o appartenenti alla sfera privata?
Significa, prima di tutto, rompere un silenzio. Per troppo tempo temi come la maternità, la cura e l’ascolto sono stati relegati al privato, come se non avessero alcuna relazione con il mondo del lavoro. In realtà, sono temi centrali per la qualità della vita delle persone e, di conseguenza, per la qualità del lavoro stesso. Come azienda tecnica e storica abbiamo la responsabilità di dare l’esempio, dimostrando che anche in contesti industriali e ingegneristici la cura è un valore strategico.
5. Il carico mentale che grava sulle donne è spesso invisibile. Questo progetto è una forma di riconoscimento simbolico del lavoro non pagato che le madri fanno ogni giorno?
È un riconoscimento, senza dubbio. È il nostro modo per dire: “Sappiamo quanto questo carico esista, anche se spesso non si vede. E vogliamo fare la nostra parte per alleggerirlo”. Non possiamo eliminare il carico mentale con un progetto, ma possiamo iniziare a dare un valore diverso a quel lavoro invisibile, supportando concretamente chi lo sostiene.
6. Ha reso l’iniziativa parte integrante della cultura aziendale e non un lusso per pochi. Cosa risponde a chi pensa che la cura non sia una priorità economica per un’impresa?
Rispondo che la vera priorità economica di un’impresa è il benessere delle persone che ci lavorano. Se un’azienda si prende cura delle proprie persone, queste saranno più motivate, più serene e più produttive. Investire nella cura non è un lusso: è una scelta lungimirante, che genera valore nel tempo, anche economico.
7. Nel progetto c’è grande attenzione verso i padri, con giorni extra di congedo retribuito. Quanto è importante che gli uomini vengano coinvolti in un nuovo modello di genitorialità e cura?
È fondamentale. Non possiamo parlare di reale parità se continuiamo a considerare la genitorialità come una questione solo femminile. Coinvolgere i padri significa condividere le responsabilità, favorire un modello di famiglia più equilibrato e, di conseguenza, liberare le madri da parte di quel carico che spesso ricade solo su di loro. È un passo necessario per una cultura più equa.
8. Ha mai sentito resistenze, interne o esterne, a questa scelta? Qualcuno che le abbia detto: “Non è compito dell’azienda?” E se sì, come ha risposto?
Sì, le resistenze ci sono state. Qualcuno ci ha detto che forse stavamo “andando oltre” il nostro ruolo. Io credo che il compito di un’azienda non si fermi alla produzione o al profitto. Il nostro compito è creare un ambiente in cui le persone possano lavorare al meglio e vivere bene. E questo include anche la genitorialità.
9. Cosa direbbe oggi a una giovane donna che vorrebbe diventare madre, ma teme di perdere spazio, dignità o valore nel mondo del lavoro? E cosa direbbe ai CEO che hanno il potere di cambiare le cose?
Direi alle giovani donne: “Non siete sole, e non dovete scegliere tra essere madri e avere una carriera. Cercate aziende che vi sostengano, e non abbiate paura di pretendere rispetto e diritti”.
Ai CEO direi: “Abbiamo il dovere morale e strategico di cambiare questo paradigma. Investire nel supporto alla genitorialità significa costruire aziende più forti, più umane, più innovative”.
Ringraziamo Michela Conterno per questa preziosa intervista e per aver scelto di sostenere la causa delle mamme con impegno, sensibilità e cura.
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