giovedì, 8 Maggio 2025
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Al Tech4Fem il corpo delle donne tra scienza, potere e autodeterminazione

La salute delle donne non è mai stata così al centro, ecco di cosa si è discusso per contrastare la violenza di genere al Tech4Fem Advance.

Silvia Buffo
Silvia Buffo
Silvia Buffo, 1985, giornalista. Ha fondato e dirige Il Digitale. Formazione classica e filologica, un dottorato di ricerca in Letteratura italiana, sui legami tra scrittura e nuovi media. “La bellezza è promessa di felicità” è il suo motto, che ha delicatamente rubato a Stendhal.

Il Digitale in qualità di media partner durante i SaniDays ha raccontato l’evento Tech4Fem Advance, organizzato dalla founder Valeria Leuti.

Ho avuto il piacere di tenere un panel moderato dalla copywriter Maria Elena Marras, al fianco di Nicole Miglio, ricercatrice indipendente e consulente filosofica, autrice del libro L’Imbroglio del feto e dell’anatomopatologa Vittoria Lombardo, ideatrice del progetto Victoria’s Cells, per parlare di salute, di corpo femminile, di autodeterminazione.

In questa occasione ho presentato il libro Essere madri senza soffrire, Il me too virtuoso della mamme italiane, prodotto a mia cura con Id Edizioni con la stesura della giornalista Melissa Matiddi, che per diversi anni si è occupata di temi sulla maternità.

“Chi è donna deve soffrire”, come si mette in discussione questo retaggio culturale?

silvia buffo

Maria Elena Marras mi ha dapprima chiesto come si mettono in discussione tutti quei retaggi culturali che hanno contribuito a normalizzare la sofferenza nella natura femminile. Per me i meccanismi culturali si mettono in discussione attraverso il dialogo, il comunicare, attraverso l’empatia che è la trasmissione dei nostri stati d’animo agli interlocutori che ci scegliamo.

Se da un lato è vero che per denunciare delle ingiustizie serve l’urlo, serve il grido, possibilmente in una dimensione collettiva, dall’altro si possono praticare delle rivoluzioni soft potentissime semplicemente trasmettendo la propria testimonianza e innescando un dialogo che miri a vedere i risvolti positivi delle lotte in atto.

Non a caso per il libro in questione abbiamo scelto come sottotitolo Il me too virtuoso delle mamme italiane, questo grido di consapevolezza l’abbiamo volutamente ribattezzato così.

Essere madri senza soffrire, un libro come atto rivoluzionario

Partendo da un excursus storico-sociologico esaustivo fino ad approdare alle testimonianze che hanno fatto la differenza, entriamo nel vivo della cultura che per millenni ha fuorviato dignità e diritti.

L’educazione al dolore viene scandita nelle diverse tappe della vita biologica di una donna per farci assimilare e normalizzare il più velocemente possibile il germe della sofferenza. Sin da quando iniziamo a giocare con le bambole, instauriamo la dimensione dell’accudimento, che è affascinante e fortemente femmile, il problema è quando l’accudimento viene patologizzato, sfociando verso nessuna tutela di sé a favore dell’altro.

E avanzando nella crescita, la scrittrice Goliarda Sapienza ci spiega come, la comparsa delle prime mestruazioni coincida con la perdita di tutte le libertà, con l’arrivo del ciclo mestruale inizia la fase di controllo sul nostro corpo, non tanto inteso come un fatto naturale, ma un traumatico e precoce processo di adultizzazione, di responsabilizzazione: ora hai un un corpo che è cambiato, e che quindi è pronto a tutto. Da qui il passo è breve, la società impone alle donne di interiorizzare qualsiasi forma di malessere fisico.

È in questa cultura lasciva che abbiamo involontariamente accordato un consenso di abuso, come quelli che accadono in sala parto.

Violenza ostetrica, la situazione in Italia

Il termine violenza ostetrica viene definito per la prima volta in Venezuela nel 2007, all’interno di un documento che identifica e individua le diverse forme di violenza che possono subire le donne.

Nel 1972 in Italia, fu lanciata un’importante campagna di sensibilizzazione, chiamata “Basta tacere”, nata proprio dal bigliettino lasciato da una donna che raccontava di come il momento del travaglio comportasse naturalmente un’atroce sofferenza ed umiliazione.

“Ma non lo sai che durante il parto devi soffrire?” in una bacheca in cui i messaggi raccontavano solo la parte gioiosa del parto e non tutto il resto.

Nel 1978, venne ritrovato un altro biglietto: “Dieci ore a soffrire da sola in una stanza. Basta tacere”.

Nel 1985, l’OMS ha pubblicato una serie di raccomandazioni e procedure da adottare, dal parto al periodo seguente la nascita del bambino, da come gestire il travaglio alla somministrazione di farmaci, dall’evitare la rasatura al clistere, dall’episiotomia al cesareo, dall’allattamento al neonato che deve stare con la madre. Tutte ovvietà che però non vengono rispettate.

1 milione di donne in Italia hanno subito violenza ostetrica, da qui una rivoluzione in atto

Nel 2017 in Italia, Doxa ha condotto una ricerca su circa 5 milioni di donne, da cui è emerso che in Italia un milione hanno affermato di essere state vittime di violenza ostetrica durante la prima esperienza di parto.

  • il 21% ha dichiarato di aver subìto violenza ostetrica
  • il 6% è rimasto condizionato da quel trauma
  • il 41% ha affermato di aver ricevuto pratiche invadenti e lesive
  • il 27% delle partorienti non ha ricevuto sostegno, assistenza e cure adeguate
  • il 6% delle donne ha dichiarato di aver sperimentato solitudine e di non aver potuto prendere decisioni rispetto al parto. Basti pensare al recente caso di cronaca del 2023 in cui una madre Pertini a Roma si addormenta mentre allatta e soffoca neonata abbandonata nella solitudine e sfinita dall’esperienza del parto, lasciata sola per ore e ore trascorse senza mai chiudere occhio.

Sempre nella ricerca di Doxa:

  • il 54% delle madri ha dichiarato di aver subìto la pratica dell’episiotomia, in merito a questa pratica lesiva si è pronunciata l’OMS e ha consigliato che può essere effettuata solo in rari casi.

In Italia l’episiotomia può rappresentare a tutti gli effetti un danno alla persona e generare lesioni personali e menomazioni dell’integrità psico-fisica.

Il corpo femminile e le sue esigenze vengono completamente annullati durante il parto, la donna si assume la priorità di dare alla luce una vita e da qui diventa solo un mezzo.

Il confine tra l’ipermedicazione, abuso fisico e umiliazione è però labile, attraverso l’imposizione coatta di trattamenti, aggressioni verbali, gravi violazioni della privacy, negligenza e incuria che possono mettere a rischio la vita.

“Zitta e spingi più forte”, sono tante le testimonianze di donne che hanno subìto nel silenzio e nell’indifferenza di chi avrebbe dovuto assisterle e sostenerle in un momento così delicato.

Guardiamo ai risultati raggiunti col Me Too delle mamme italiane

Fortunatamente il Me Too delle mamme italiane ha generato così tanto rumore (Questo termine, Me Too, è stato usato per la prima volta nel 2017 dall’attivista Tarana Burke per incrementare e diffondere la sensibilità sugli abusi e le violenze nella società). Nel 2017, l’Associazione no profit Mama Chat ha lanciato una petizione online su Change.org per supportare le vittime di abusi. Lo scopo di questa iniziativa è garantire la presenza fissa di un partner o di una persona di fiducia, scelta dalla partoriente, durante il travaglio e la degenza ospedaliera.

Nel momento del lancio sono state raccolte 35mila firme.
Ecco il messaggio di condivisione e di ascolto rivolto a tutte le donne:

Le neomamme ci raccontano troppo spesso di sentirsi abbandonate, proprio mentre si trovano in quelle strutture che invece avrebbero il compito di sostenerle, aiutarle e incoraggiarle.

Ogni forma di abuso o maltrattamento psicologico durante il momento di parto e nel post-partum sono da considerarsi violenza ostetrica. In Italia la violenza ostetrica non è ancora riconosciuta a livello normativo, ma potrebbe essere ricondotta al delitto di violenza privata previsto dall’Art.610 cp.

Leggi anche: Cos’è il Tech4Fem: “Investire sulla salute delle donne è crescita economica”

Cosa c’è di positivo?

Nel 2016 è stato diffuso per quindici giorni su Facebook l’hashtag #bastatacere da alcune associazioni di madri per permettere a tutte le donne di raccontare la loro esperienza in sala parto. È stato chiesto di condividere storie di abusi, maltrattamenti, violenze e di inviarle, in anonimo su un foglio senza far riferimento a persone o a luoghi, tramite selfie senza inquadrare il viso, registrarsi con l’hashtag della campagna e pubblicare tutto sulla pagina Facebook.

La campagna ha raccolto circa 21.621 likes e oltre 1.136 testimonianze di mamme italiane e ha coinvolto 700mila utenti.

Da qui una proposta di legge n. 3670: nel 2016 dall’Onorevole Adriano Zaccagnini alla Camera dei Deputati, il cui fine è proprio quello di promuovere la salute e il benessere di mamme e bambini:

Per promuovere la salute materno-infantile a livello nazionale dobbiamo anzitutto promuovere il rispetto dei diritti della donna e ritenerla soggetto di cure e non soggetto passivo di trattamenti.

La proposta non ha completato l’iter legislativo e non è stata approvata, ma ha fatto molto rumore.

Le politiche nazionali per contrastare il fenomeno della violenza ostetrica, per avviare quel processo di cambiamento, ma soprattutto per mettere in pratica le raccomandazioni dell’OMS, hanno promosso dei percorsi di nascita chiamati, Ospedali Amici dei Bambini.

Si tratta di strutture ospedaliere, certificate direttamente dall’UNICEF e supportate dall’OMS, progettate per offrire a mamme e neonati cure e attenzioni prima, dopo e durante il momento del parto.

Il primo ospedale italiano amico dei bambini fu avviato nel 2002, l’ospedale di Bassano del Grappa. Attualmente nel nostro Paese si trovano 30 strutture situate principalmente al Centro-Nord.

Anche se la strada appare ancora molto lunga e tortuosa, non dobbiamo perdere di vista l’obiettivo comune: ridefinire un’identità rinnovata della donna, che si deve liberare da questa normalizzazione della sofferenza, dei tabù applicati al dolore, riappropriandosi di un diritto alla stanchezza provocato dalla gravidanza.

Il dolore materno esiste e non bisogna tabuizzarlo, dobbiamo sentirci libere di indossare finalmente il nostro dolore, come non abbiamo mai fatto prima.

Leggi anche: Tech4Fem arriva ai SaniDays: “Mettiamo al centro la salute femminile”

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Silvia Buffo
Silvia Buffo
Silvia Buffo, 1985, giornalista. Ha fondato e dirige Il Digitale. Formazione classica e filologica, un dottorato di ricerca in Letteratura italiana, sui legami tra scrittura e nuovi media. “La bellezza è promessa di felicità” è il suo motto, che ha delicatamente rubato a Stendhal.

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