La Napoli delle seconde occasioni: storie e voci di chi prova a rinascere

A Napoli spesso decine di storie incrociano quelle della criminalità, questo è il messaggio positivo di chi non rinuncia a sperare.

Tommaso Panza
Tommaso Panza
Salentino, classe 1993. Una laurea in mediazione linguistica. Fondazione Basso(Roma). Amante della lettura e del cinema, in particolare delle opere che raccontano spaccati di realtà. Deciso sin da piccolo a diventare un giornalista.
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Le storie di seguito raccontate, raccolte prima della pandemia, servono a ricordarci e a non dimenticare che prima della battaglia che tutti stiamo affrontando, c’era già chi ne stava combattendo un’altra.

DIARIO DELLA COMUNITÀ JONATHAN.

Nella dimensione normale oggi sarebbe iniziata una nuova giornata.

Invece le settimane si confondono perchè i giorni diventano uguali ai giorni e invece dei rumori di fondo e del lavoro quotidiano c’è un silenzio assordante.

Racconti da Napoli: il “Progetto Vela” della Comunità Jonathan

Racconti da Napoli: il “Progetto Vela” della Comunità Jonathan

La Lega navale Napoli è un complesso di 4 palazzi color mattone stile “liberty” che fanno da cordone alle barche a vela disposte a schiera su uno specchio d’acqua. È qui che incontriamo i ragazzi della Comunità Jonathan, promotrice del “Progetto Vela”.

Nata nel maggio del 1993 su iniziativa di Silvia Ricciardi e Vincenzo Morghera, la comunità accoglie ragazzi che hanno commesso reati penali. Hanno tutti dai 13 ai 25 anni e scontano la pena nella comunità, anziché in carcere. La comunità ne ospita fino a 5.

La comunità Jonathan si trova a Scisciano, un paesello in provincia di Napoli, lungo una strada provinciale dove tante villette si specchiano da un lato all’altro della strada con piacevoli paesaggi di campagna.

Il “Progetto Vela” è il fiore all’occhiello del programma di recupero e mira a insegnare ai ragazzi la navigazione.

Marco, Luca e Renato sono parte di questo progetto. Marco e Luca hanno rispettivamente 16 e 18 anni e sono entrambi di Napoli. Renato è della provincia di Caserta e ne ha 19.

I ragazzi arrivano accompagnati da Silvia e Vincenzo, posano le loro borse sulla barca e si dirigono verso il circolo. Salutano lo staff per poi prendere un caffè al bar della struttura. Sono ancora un po’ assonnati. Poi fanno ritorno al molo per cominciare la giornata.

Il mare è mosso e non si può salpare, ma i ragazzi eseguono piccoli lavori di manutenzione: puliscono le passerelle, danno una passata di resina su alcune parti di legno dell’imbarcazione, fissano le cime d’ormeggio e puliscono la cabina della barca, che ha 2 bagni, cucina e camera da letto. I ragazzi parlano di tutto, di quanto sono coinvolti nel progetto, di Napoli, del futuro, degli sbagli del passato e anche delle loro ragazze. “Quella è già mia moglie”- afferma Luca parlando della fidanzata.

Renato dice invece che gli piacerebbe fare il pizzaiolo una volta finito tutto: “Me ne vado in Germania”- dove ha un cugino che gli ha proposto di raggiungerlo.

La vita in comunità e le storie di chi vi fa parte

La vita in comunità ha ritmi regolari. I ragazzi si svegliano verso le 8, fanno colazione e sistemano la casa.

La vita in comunità ha ritmi regolari. I ragazzi si svegliano verso le 8, fanno colazione e sistemano la casa. All’ora di pranzo, Vincenzo cucina per tutti. I ragazzi nel frattempo apparecchiano e tagliano il pane. Una volta pronto il pranzo ci si siede attorno a un lungo tavolo davanti al camino che riscalda la stanza.

La comunità è molto grande e all’interno si respira un aria serena: un vecchio biliardino all’ingresso, parecchie stanze e aree specifiche tra cui gli uffici di direzione e foto appese che testimoniano le attività dei ragazzi. All’esterno un giardino spazioso, delimitato dalle cancellate, è caratterizzato da un piccolo orto e un campetto di calcio improvvisato con sguardo in lontananza sul Vesuvio.

Marco e Renato sono dei ragazzi e come tali hanno la passione per il calcio, tifano Napoli e Juve. Marco è in custodia cautelare, ma si trova bene, dice:

è un po’ come stare in vacanza.

Racconta di aver fatto 4 anni di rugby ma non ho finito le scuole. I genitori separati, viene da un rione difficile di Napoli, il Traiano. Dove commette un reato.

La cosa che più mi turba è che la gente sta male per un errore mio ma sapevo a cosa andavo incontro e vado avanti senza rimpianti, io qui lo prendo come un insegnamento perché ho capito che la cosa più preziosa è il tempo.

Marco è triste. È più sereno soltanto quando parla della famiglia e della fidanzata. Si dice anche dispiaciuto del reato commesso.

Lei e la mia famiglia sono le uniche cose che mi fanno andare avanti, la mia ragazza è un po’ la mia forza e giorno dopo giorno conto quanto manca al prossimo permesso per passare una giornata con lei.

Perché buttare via la cosa più preziosa per 1000 euro fatti in due minuti? – prosegue Marco riferendosi alla libertà- mi fa male pensare che non posso andare a vedere un film con la mia ragazza o anche solo girare sul motorino con lei che si abbracciava a me, la portavo ovunque da Mergellina fino a Pozzuoli, nei posti più belli, ma per me bastava stare anche nel più brutto vicolo di Napoli, mi bastava stare con lei.

Renato è in “messa alla prova”, un percorso riabilitativo di massimo 4 anni, alla fine dei quali il reato viene annullato, se tutto procede bene.

Inizio col dirvi che sto in comunità perché ho fatto uno sbaglio -dice- da piccolo sognavo di fare il meccanico, quindi ho iniziato le superiori a indirizzo professionale-meccanica.

Renato ci prova, ma le cose non vanno come spera, i suoi genitori commettono diversi reati. Non sa come tirarli fuori da quella situazione. Nel 2016 arrestano il padre, poi la madre.

Io lì sono crollato perché stavamo soli io e mia sorella di 14 anni e non sapevo cosa fare -lascia la scuola e si mette a lavorare, ma viene pagato una miseria- andavo comunque perché dovevo pensare a mia sorella e le servivano i soldi per i libri.

È un periodo lungo quello di cui Renato deve farsi carico e alla fine decide di cambiare vita, finendo col pagare anche lui sulla propria pelle:

Nessuno mi aiutava e allora un giorno dopo 4 anni di sofferenza mi sono messo a fare delle cose sbagliate perché non ce la facevo più, ero stanco, mi fermo qui.

Un nuovo inizio: “Grazie per avermi cambiato la vita per sempre

Un nuovo inizio: "Grazie per avermi cambiato la vita per sempre"

Marco, Luigi e Renato sono ancora in una situazione difficile, ma qualcuno è riuscito a superarla. La comunità di Silvia e Vincenzo non rappresenta solo un metodo di reinserimento e rieducazione, più di tutto ai ragazzi viene insegnata l’emancipazione, così che un giorno possano essere veramente liberi di costruirsi un futuro di lavoro, famiglia e serenità.

I ragazzi che hanno camminato per quei corridoi sono centinaia e tutti con storie diverse seppur nate da un contesto comune. Ragazzi per i quali i membri di Jonathan non sono stati solo degli educatori ma una vera e propria famiglia, con la promessa futura di un aiuto anche fuori dalla detenzione.

 Lo testimoniano le lettere sulle pareti, qui alla comunità Jonathan: Grazie per avermi cambiato la vita per sempre ,  scrivono molti dei ragazzi passati tra queste mura

Lo testimoniano le lettere sulle pareti, qui alla comunità Jonathan: “Grazie per avermi cambiato la vita per sempre“, scrivono molti dei ragazzi passati tra queste mura.

Padre Alex Zanotelli una voce di speranza nel rione Sanità di Napoli

La prima vista che si ha della Sanità è quella dall’alto, dal ponte che l’attraversa.

Le azioni di volontariato sul territorio napoletano però non sono svolte solo dalle associazioni, ma anche da singole persone: è il caso di padre Alex Zanotelli. Una persona che ha a cuore il futuro di giovani e classi disagiate e che da anni lotta per la riqualificazione di Napoli, in particolare del quartiere Sanità, dove oggi vive.

La prima vista che si ha della Sanità è quella dall’alto, dal ponte che l’attraversa. Un ascensore conduce giù nel quartiere, dove si viene accolti dai classici balconi del centro storico e dal murales dell’artista argentino Francisco Bosoletti dal titolo Resis-ti-amo, su una delle facciate laterali della basilica di Santa Maria della Sanità.

Qui alle spalle della basilica da anni vive padre Zanotelli. La sua casa è disponibile tutto il giorno agli abitanti del quartiere. Un abitazione piccola e modesta, all’ingresso si viene accolti da un tiepido calore e da grandi cataste di giornali e libri, sul muro una bandiera color arcobaleno recita “Pace”.

Una strettissima scala a chiocciola ricavata in pietra conduce al piano superiore, una spazio piccolo ma che racchiude tanto: le foto delle tante persone che negli anni padre Zanotelli ha contribuito ad aiutare, ancora giornali e libri, e un cucinino modesto con affianco un piccolo depuratore per l’acqua, insomma la casa di un padre missionario. Dice:

La vita è bella se te la giochi per qualcosa di bello e quando la doni.

La Sanità è uno dei quartieri più antichi di Napoli, quello che ha dato i natali a Totò. In estate diventa anche un’attrattiva per i turisti, incuriositi dalla visita alle antiche e affascinanti catacombe di San Gennaro e San Gaudioso.

Ma è anche uno dei più popolosi (con i suoi 70 mila abitanti circa). E con tanti problemi, continua Alex Zanotelli.

Non c’è un asilo nido, c’è solo una scuola elementare, l’istituto Angiulli, nessuna scuola media e un solo istituto superiore, il Caracciolo, che registra il 50% di evasione scolastica.

Dio non manderà nessuno a salvarci, sono queste le parole che padre Zanotelli ha rivolto ai presenti durante i funerali di Genny Cesarano, l’11 settembre del 2015, rimasto ucciso a 17 anni durante una “stesa” nel rione Sanità proprio nella piazza della Basilica.

La vita fuori dal carcere: la storia di Raffele Criscuolo

Raffaele Criscuolo ha 24 anni ed è proprietario di una pizzeria in via Arenaccia 185 nei pressi della stazione Garibaldi, “Forno 185”

A Napoli ci sono però anche ragazzi che sono riusciti a cambiare vita. Raffaele Criscuolo ha 24 anni ed è proprietario di una pizzeria in via Arenaccia 185 nei pressi della stazione Garibaldi, inaugurata il 5 gennaio 2020, un mese prima del nostro incontro. “Forno 185”, così recita l’insegna, con affianco la grafica in bianco e nero di un Vesuvio.

Figlio di una ragazza madre, nato e cresciuto ai Quartieri Spagnoli, Raffaele ha 14 anni quando finisce in carcere per la prima volta. Racconta:

Ho cominciato “facendomi” gli orologi.

La detenzione non gli fa bene: uscito dopo quasi 2 anni, viene arrestato di nuovo. Uscito la seconda volta, incontra la sua attuale compagna, con cui ha un figlio che oggi ha 5 anni. Raffaele cambia vita per amore dei suoi cari.

Ma è l’incontro con il sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Napoli Catello Maresca, l’uomo simbolo della lotta al clan dei Casalesi, che gli dà la spinta giusta.

Attraverso la sua associazione “Arte e Mestieri”, Maresca gli offre la possibilità di svolgere un corso da pizzaiolo. Raffaele accetta. Oggi Raffaele va fiero del rapporto con Catello Maresca, molto più di un semplice rapporto di cooperazione, e dice:

Lui è una persona molto importante per me.

Catello Maresca si occupa di minori e criminalità anche fuori dalle aule di tribunale, facendo prevenzione nelle scuole ed educazione alla legalità, e parlando della situazione a Napoli, e non solo, afferma:

Lo Stato deve essere vicino a quelle decine e decine di ragazzi che purtroppo sono costretti a intraprendere una strada sbagliata, che magari non vorrebbero e nella quale magari si trovano in maniera inconsapevole.

Maresca suggerisce di fare uno sforzo di comprensione in più:

Io cerco di viverli questi ragazzi, di comprendere il loro disagio e la loro rabbia che sfocia in un atteggiamento spesso violento.

Conferma Raffaele:

Ci vuole qualcuno che ti dia la giusta carica emotiva, credere in un ragazzo in cui nessuno ha mai creduto, per quel ragazzo vuol dire rinascere.

Leggi anche: Giornata della memoria 2021 in onore delle vittime di mafia

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