Muore suicida Sarah Hijazi, l’attivista Lgbt torturata nelle carceri egiziane

Elza Coculo
Elza Coculo
Elza Coculo, 30 anni, di adozione romana. Lettrice appassionata con formazione in Studi italiani. Laureata in Editoria e Scrittura. Redattrice per Il Digitale. Amo scrivere di attualità e cultura eco-sostenibile.
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Fa rabbia e anche paura quanto accaduto a Sarah Hijazi, attivista egiziana di 30 anni morta suicida in Canada, dove viveva in esilio. Sarah si batteva per i diritti Lgbt. Durante un concerto all’università Al Hazar del Cairo, nel 2017, aveva sventolato una bandiera arcobaleno. Con l’accusa di “voler diffondere l’omosessualità” è stata incarcerata insieme ad altri 77 ragazzi. Rilasciata a seguito di forti pressioni internazionali per la sua liberazione, era rifugiata lontana dall’Egitto, ma il ricordo delle torture subite non l’hanno mai abbandonata, fin quando non ha deciso di togliersi la vita. Nel biglietto di addio lasciato ai suoi cari ha scritto:

Ho provato a sopravvivere e ho fallito, perdonatemi. L’esperienza è stata dura e sono troppo debole per resistere, perdonatemi. Ho tentato di trovare riscatto e non ci sono riuscita.

“Sei stato crudelissimo mondo, ma io ti perdono”

Proprio nei giorni in cui l’America di Trump prova a minare le basi dei diritti Lgbt, arriva come uno schiaffo in faccia il messaggio di Sarah Hijazi. Nel biglietto lasciato ai suoi cari scrive:

Sei stato crudelissimo mondo, ma io ti perdono.

Nell’Egitto del generale Al Sisi, come in quello dei Fratelli musulmani e prima ancora di Mubarak, una legge del 1961 punisce l’omosessualità come “pratica d’abituale depravazione”. Per questo Sarah è stata incarcerata, torturata e violentata al Cairo. Un momento d’esultanza dopo aver sentito il discorso di Hamed Sinno, il Freddie Mercury arabo, poi il ballo sulle note della musica indie-trasgressiva dei Mashrou Leila, la più omosex delle band arabe. E infine la bandiera arcobaleno simbolo dei diritti lesbo-gay-bisex-transgender che sventolava. Sarah è stata imprudente e questo le è costato il carcere che ha lasciato su di lei cicatrici indelebili nel corpo, ma soprattutto nell’anima. ‘Il cielo è più dolce della Terra!’ aveva scritto recentemente in un post su Facebook ‘E io voglio il cielo, non la Terra’. Sulla Terra i diritti e la giustizia sono ancora lontani dall’essere un bene comune. E allora meglio il cielo. Leggi anche: Francia, Marie Cau è la prima donna transgender a diventare sindaca

Giustizia per Regeni e Zaki

Sarah sognava l’uguaglianza sociale e si batteva contro la discriminazione di genere, ma questo non le era consentito nel suo Paese. L’Egitto condanna l’omosessualità come pratica d’abituale depravazione, anche se l’amore gay è una pratica ben diffusa. Recita la canzone dei Mashrou Leila, Shim el-Yesmine, tradotto ‘Annusa il gelsomino’, ormai inno della lotta omosessuale araba:

Digli che siamo ancora in piedi! Digli che stiamo resistendo! Digli che abbiamo ancora gli occhi per vedere! Digli che non abbiamo fame.

Il governo egiziano ha parlato d’omosessualità anche dopo la morte di Guido Regeni e dopo l’arresto di Patrick Zaki, credendo di infangarli agli occhi dell’opinione pubblica. E mentre il governo italiano vende navi militari ad Al Sisi nonostante il caso Regeni, mentre Bologna discute se dare la cittadinanza onoraria a Zaki, in carcere da ormai quattro mesi, l’opinione pubblica risponde srotolando sul Crescentone di piazza Maggiore un grande manifesto dieci per quindici. Proprio dove un cartellone pubblicitario aveva sostituito quello vecchio, ora brillano di nuovo le foto di Giulio e di Patrick. Leggi anche: Patrick George Zaki nuovo Giulio Regeni, l’Italia aspetta ancora risposte di Elza Coculo

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Elza Coculo, 30 anni, di adozione romana. Lettrice appassionata con formazione in Studi italiani. Laureata in Editoria e Scrittura. Redattrice per Il Digitale. Amo scrivere di attualità e cultura eco-sostenibile.
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