“Mio fratello, mia sorella” con Claudia Pandolfi e Alessandro Preziosi, in onda su Canale 5

In onda per la prima volta in Tv "Mio fratello, mia sorella": il film è un viaggio emotivo nel rapporto umano più indissolubile di sempre. Le interviste esclusive al regista Roberto Capucci e agli attori Claudia Pandolfi e Alessandro Preziosi.

Silvia Buffo
Silvia Buffo
Silvia Buffo, 1985, giornalista. Ha fondato e dirige Il Digitale. Formazione classica e filologica, un dottorato di ricerca in Letteratura italiana, sui legami tra scrittura e nuovi media. “La bellezza è promessa di felicità” è il suo motto, che ha delicatamente rubato a Stendhal.

Per chi si fosse persa Mio fratello, mia sorella, la pellicola già approdata su Netflix nel 2021, con Alessandro Preziosi e Claudia Pandolfi, diretta dal regista Roberto Capucci, potrà godere della visione comodamente dal proprio divano di casa venerdì 25 novembre, in prima serata su Canale 5.

Si tratta di uno dei temi più universali di sempre, quello sul rapporto tra fratello e sorella, e proprio in questi giorni Mediaset ci propone il remind dell’atteso appuntamento. Non vogliamo dire molto sulla trama, cercando di mantenere l’effetto sorpresa che ogni visione dovrebbe onorare. Del resto il titolo è di per sé didascalico: il film, scritto da Roberto Capucci con Paola Mammini e prodotto da Lotus, mette al centro il rapporto tra due fratelli, marcando l’emotività sulla differenza di genere. E non deve esser stato facile mettere insieme tutti gli ingredienti di questa torta, ricucire ad arte il puzzle introspettivo dei personaggi.

Lo stesso regista Capucci racconta a ildigitale.it: “Mio fratello, mia sorella mi ha davvero cambiato la vita. Mi ha dato consapevolezza artistica e attenzione dal pubblico e dagli addetti ai lavori. Umanamente mi ha fatto capire cosa vuol dire attraversare davvero il dolore e rinascere. Lo guardo ancora con orgoglio e un po’ di nostalgia. Ogni attore ha donato le proprie capacità e il proprio talento, ma soprattutto ha lasciato un pezzo d’anima a questa storia tra lacrime, gioie ed emozioni realmente vissute. E di questo non posso che esserne profondamente grato”.

Nìkola e Tesla sono due fratelli attraverso i quali percorreremo il gioco di ruoli, il contrasto tra maschile e femmile, le implicazioni emotive, ma anche un indissolubile legame, non è un caso che i due nomi dei protagonisti insieme rievochino l’identità univoca e inconfondibile di uno dei personaggi più iconici della scienza. L’umiltà e la profondità con cui gli attori si sono approcciati a questa esperienza hanno permesso al film di essere emozionante e credibile.

Ma c’è molto altro, non solo è stata particolarmente centrata la scelta degli attori, il successo del fim dal punto di vista della costruzione dei personaggi è stato possibile anche attraverso tanti consulti, incontri e osservazioni con psichiatri, pazienti e caregivers, come ci ha raccontato il regista.

Mio fratello, mia sorella: la scelta catartica di Preziosi e Pandofi

La scelta degli attori è per il regista un evento catartico per il suo film. Racconta il regista Roberto Capucci:

Con Alessandro è stato un colpo di fulmine. Era difficile trovare un’interprete per Nik che avesse tutte le caratteristiche che cercavo, che fosse credibile nel ruolo, ma che allo stesso tempo avesse un bagaglio umano di emozioni anche contrastanti.

Una mattina mentre stavo già pensando a lui come protagonista, portando a scuola mia figlia, mi capita davanti il cartellone dello spettacolo di Alessandro su Van Gogh.

Inchiodo l’auto rischiando di essere tamponato: in quel momento avevo capito di aver trovato Nik! Quando poi l’ho incontrato credo gli sia arrivata chiara la mia determinazione: o lui o nessun altro.

Con Alessandro abbiamo parlato tanto. Si può dire che abbiamo “preparato” il film a cena. Ci siamo raccontati e scambiati pezzi di vita. Lui aveva un taccuino dove si scriveva tutto.

Ogni personaggio nasce sempre dal connubio attore e regista, ma in questo caso ancor di più si può dire che Nik è davvero figlio d’entrambi!

Mentre sulla scelta di Claudia Pandolfi, il regista ci spiega come sia stato spontaneamente il film a scegliere lei. Continua Capucci:

Claudia è stata un incontro del destino. Non l’ho neanche dovuta scegliere: è stato il film a farlo, perché Claudia è di un’onestà umana e artistica mai vista prima.

Con lei ci capiamo anche solo con lo sguardo, intesa che non ho avuto con tanti professionisti con cui ho molta più confidenza.

Claudia ha subito voluto dare una voce chiara alla sua Tesla. L’ha profondamente capita e amata, le ha dato dignità, senza paura di mostrarla nella sua sofferenza, con coraggio e grande rispetto.

Un’ulteriore considerazione importante che viene da fare è che Roberto Capucci ha diretto Claudia e Alessandro in un momento in cui sono all’apice della loro carriera, al culmine del loro percorso professionale e sono attori richiestissimi. Ci siamo chiesti se sia stato difficile dirigere due interpreti così esperti e importanti del panorama italiano. Racconta il regista:

No, anzi. È stato davvero facile capirci e trovarci, perché tutti volevamo fare il meglio per questo film.

Alessandro e Claudia sono le colonne su cui ho edificato il mio film, e dirigerli, oltre ad essere un’esperienza meravigliosa, è un grande onore, perché credo siano tra gli attori più completi, capaci e profondi del panorama italiano.

Entrambi hanno messo molto di loro nel film, donandosi e facendo squadra e “famiglia”, e tutto questo nel film traspare in maniera limpida.

Ma per la par condicio abbiamo voluto ascoltare anche Claudia e Alessandro e addentrarci nelle loro idee del film “Mio fratello, mia sorella”.

Mio fratello, mia sorella: le interviste a Claudia Pandolfi e Alessandro Preziosi

mio fratello

Claudia come sei approdata a questo film?

Allora, io sono rimasta subito colpita dal lavoro in cui Roberto aveva deciso di coinvolgermi, in un progetto che era così importante per lui e al quale si era già dedicato e preparato moltissimo. Quando un regista ha una visione già così cristallina di cosa vuole raccontare è più facile per me. Roberto è stato subito completo nella descrizione del personaggio e del mondo che andavamo a rappresentare. E così io mi sono fatta condurre. Basta farsi condurre.

Come è stato lavorare insieme ad Alessandro Preziosi? Qui vi siete davvero “donati”.

Con Alessandro avevamo già lavorato, ma qui ci siamo “donati”, come dite voi, vero. Grazie innanzitutto a Roberto, che ci ha permesso di arrivare a quel punto di generosità tale che ci consentisse uno scambio autentico. Con Alessandro prima di questo film, diciamo, c’eravamo solo sfiorati, e invece qui- ed io per questo lo ringrazierò sempre- siamo potuti proprio arrivare ad un livello di intimità che ha sorpreso anche me. Tra l’altro, Roberto non ci ha fatti frequentare prima di inziare il film e, quindi, l’arrivo di Alessandro e del suo personaggio sul set è stato proprio uno tsunami. Lui è stato non solo bravissimo, ma anche generosissimo.

Quanto conta la mano del regista?

Per me è tutto. Diciamo che tutto ha senso soltanto se c’è quella mano che ti conduce, il regista che decide di lasciarti fare delle cose. E quando questa concessione avviene, vuol dire che sto aderendo al personaggio così come lo immaginava lui, avendo a disposizione così tante informazioni da poterlo fare con naturalezza. Questa mano del regista è fondamentale.

Claudia, come reputi il lavoro fatto con Roberto?

Sono una persona molto empatica, questo non vuol dire che tutti i registi chiedano da me lo stesso tipo di interazione, e invece Roberto mi ha fatto sentire immediatamente parte integrante del progetto e io mi considero uno strumento nelle mani di un regista che decide come suonarmi e invece lui mi ha fatto sentire come se potessi essere a mio modo anch’io una direttrice d’orchestra.

In qualche modo mi ha assegnato la sessione ritmica, cioè ha deciso che il mio lavoro poteva essere non soltanto quello di interpretare, di fare l’attrice: mi ha dato la possibilità di intervenire anche umanamente nel rapporto con i figli, di essere, in quanto attrice più grande dei ragazzi, a mia volta una piccola guida per loro ed era la prima volta che mi accadeva.

È stato molto molto interessante. Inoltre Roberto è stato chiaro da subito nel chiedermi di non operare per cliché, di approfondire tutto quello che era già stato fatto sull’argomento e ci ha tenuto moltissimo che io e gli altri vivessimo sulla nostra pelle il racconto delle testimonianze dirette. Abbiamo fatto un lavoro d’osservazione che era importantissimo e non era scontato, l’ascolto tra me e Roberto non era scontato, è stato davvero approfondito e poi molto utile al risultato.

Cosa hai provato quando ti sei rivista?

Vivo un distacco da questo lavoro che fa sì che io riesca ad un certo punto ad essere una spettatrice nuda e cruda e in questo film ho visto una donna forte e mi sono fatta tanta tenerezza. Ho rivisto il lavoro di tutti. Diciamo, non riesco proprio a mettere a fuoco, così egoisticamente soltanto il mio lavoro: riesco a vedere un lavoro d’insieme e, quindi, mi sono rivista all’interno di un racconto e tutto funzionava. Ero commossa e anche molto grata a Roberto e ai miei colleghi.

Ero orgogliosa di quello che avevamo fatto e diciamo che mi sono rivista più che altro nelle parole delle persone che hanno commentato il mio lavoro e soprattutto le persone direttamente coinvolte in quelle storie lì e insomma il loro giudizio è quello che ha dato senso a tutto.

Consideri questo film qualcosa di diverso nella tua carriera?

A suo modo sì, perché ogni film ha un approccio diverso, una storia diversa, un livello di comunicazione interno differente. Però poi alla fine servono sempre tutti a raccontare l’umanità delle persone, poi c’è qualche film che lo fa meglio, qualche film che lo fa peggio. Però insomma, ecco, credo che poi lo scopo non è diverso dagli altri, lo è sicuramente stata l’esperienza: è stata bellissima, se posso riassumerlo con una parola banale, questo film per me è stato ‘bellissimo’. È stato bellissimo farlo ed è stato bellissimo il lavoro che Roberto mi ha permesso di fare.

Mio fratello, mia sorella: passiamo la parola ad Alessandro Preziosi

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Come ti ha convinto Roberto a interpretare questo ruolo?

La storia che mi è stata proposta non aveva bisogno di qualcuno che mi convincesse, in un primo momento, avevo bisogno di cogliere non solo la definizione del mio personaggio, ma anche del messaggio che questo film si proponeva di dare allo spettatore: quando Roberto è venuto a vedermi a teatro ho capito subito che c’era la possibilità di raggiungere un obiettivo insieme.

Cosa più ti ha colpito di questa storia?

La storia mi ha colpito su un tema molto preciso che è quello del perdono, a me molto caro e ho creduto dal primo momento che attraverso questo film si potesse approfondire in maniera tragicomica cosa ci spinge a volte a non avere la forza di perdonarci.

La strategia per tirare fuori il meglio dal tuo personaggio?

La strategia utilizzata è stata quella di creare più confidenza possibile tra me, Claudia e Roberto, cercando quindi di creare quel sentimento di fratellanza che è stata nel bene e nel male la molla di tutta la faccenda raccontata nel film.

Sei un attore che ha spesso cambiato “sfida”, dalla televisione al teatro, fino al cinema. La tua è ricerca personale e professionale o altro?

Diciamo che la sfida più grande è quella di sentirsi veramente libero di entrare nel personaggio, attraverso la guida, la sensibilità e la forza di un regista: in questo film la mia sfida è stata totalmente vinta perché ho trovato Roberto, che è un regista, un artista capace di capire cosa tirarmi fuori e credo che l’obiettivo più grande di un attore sia riscoprire il suo talento, capace e mutevole, attraverso soprattutto la longa manu del regista.

Mio fratello, mia sorella, l’ultima riflessione spetta al pubblico

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Dopo il lungo excursus nell’esperienza sul set di attori e regista, non ci resta che godere di una buona visione, per lasciare spazio al tempo della riflessione e fare del film una esperienza propria e personale, da spettatori: è questo il grande dono del cinema.

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Silvia Buffo
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Silvia Buffo, 1985, giornalista. Ha fondato e dirige Il Digitale. Formazione classica e filologica, un dottorato di ricerca in Letteratura italiana, sui legami tra scrittura e nuovi media. “La bellezza è promessa di felicità” è il suo motto, che ha delicatamente rubato a Stendhal.
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