La carriera di Roberto Benigni è da Leone d’oro?

È una grande icona dello scenario culturale italiano, ma l'omaggio alla sua carriera sembra più essere un nostalgico tributo a quel grande artista che fu piuttosto che a quello che oggi è.

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La carriera di Roberto Benigni che sta per essere insignita del Leone d’oro alla prossima edizione della Mostra del Cinema di Venezia fa discutere.

Non si dibatte sull’importanza della una figura di questo celeberrimo personaggio, riferimento nel panorama cinematografico italiano e icona di quello culturale, ma, almeno per molti, appare altrettanto lecito riconoscere che il premio va più al ricordo che di questo sorprendente artista che alle sue più recenti performance.

Il Roberto Benigni di questi anni non è più lo stesso, o almeno non è lo stesso si è conosciuto e tanto amato agli albori.

Premio alla carriera di Roberto Benigni: “Figura di riferimento, senza precedenti e senza eguali

Premio alla carriera di Roberto Benigni: "Figura di riferimento, senza precedenti e senza eguali".

Dopo David Cronenberg, Pedro Almodovar, Jean-Paul Belmondo, Jane Fonda, Robert Redford e David Lynch, veder discutere e candidare la carriera di Roberto Benigni ha un che di inconsueto e curioso.

Come riportato ne Il Fatto Quotidiano, il direttore del più importante festival italiano di cinematografia che si terra dall’1 all’11 settembre al Lido, Alberto Barbera,  dopo gli italiani Ermanno Olmi (2008), Marco Bellocchio (2011), Francesco Rosi (2012), annuncia la candidatura di Roberto Benigni al Leone d’oro alla carriera:

Sin dai suoi esordi, avvenuti all’insegna di una ventata innovatrice e irrispettosa di regole e tradizioni, Benigni si è imposto nel panorama dello spettacolo italiano come una figura di riferimento, senza precedenti e senza eguali.

Alternando le sue apparizioni su palcoscenici teatrali, set cinematografici e studi televisivi con risultati di volta in volta sorprendenti, si è imposto in tutti in virtù della sua esuberanza e irruenza, della generosità con cui si concede al pubblico e della gioiosità appassionata che costituisce la cifra forse più originale delle sue creazioni.

E aggiunge:

Con ammirevole eclettismo, senza mai rinunciare a essere se stesso, è passato dal vestire i panni dell’attore comico tra i più straordinari della pur ricca galleria di interpreti italiani, a quelli di regista memorabile in grado di realizzare film di enorme impatto popolare, per trasformarsi da ultimo nel più apprezzato interprete e divulgatore della ‘Divina Commedia’ dantesca.

Pochi artisti hanno saputo come lui fondere la sua comicità esplosiva, spesso accompagnata da una satira dissacrante, a mirabili doti d’interprete – al servizio di grandi registi come Federico Fellini, Matteo Garrone e Jim Jarmusch – nonché di avvincente e raffinato esegeta letterario.

Che sia un’artista apprezzato e capace di ritagliarsi una gran fetta di pubblico è fuori discussione, ma, ripensando al Benigni di questi anni e che quello che fu, appare altrettanto evidente che ad aggiudicarsi il premio sia piuttosto quel giovane che abbiamo visto con le mani in tasca a chiedersi sotto una lampadina Bèrlinguer o Berlìnguer?.

Leggi anche: Benigni sostiene la legge contro la propaganda nazifascista: “Promuoverò l’iniziativa”

La carriera di Roberto Benigni e il ricordo nostalgico dell’artista che fu

La carriera di Roberto Benigni e il ricordo nostalgico dell'artista che fu.

La carriera di Roberto Benigni: regista di sette film in oltre 30 anni di carriera nonché Premio Oscar con La vita è bella, Roberto Benigni ‘rischia’ di accaparrarsi uno dei più importanti riconoscimenti in ambito cinematografico.

Il suo nome suona tuttavia provocatorio. L’ultimo ricordo che abbiamo delle imprese filmiche dell’artista risale al 2005 all’esordio de La Tigre e la neve, una puntata della storia del cinema che molti vorrebbero dimenticare.

L’amore per Benigni nasce per quella figura mingherlina che tanto ha saputo far ridere e riflettere. Comico e dissacrante, capace di quel celato umorismo che tanto faceva sogghignare e piangere ad un solo tempo, dirompente e travolgente, ben lontano da quell’agiatezza che lo porta a cantare in Quirinale la Divina Commedia.

Lo si ricorda quando improvvisava racconti in ottava rima indissolubilmente legato alla tradizione toscana, drammatico e grottesco in Chiedo asilo di Ferreri, sorprendente in Daunbailò di Jarmusch o Il minestrone di Sergio Citti, buffo, ingenuo e irriverente in Johnny Stecchino, iconico come lui solo in Berlinguer ti voglio bene di Giuseppe Bertolucci ha saputo essere, poetico e toccante come soltanto agli esordi fu.

Oggi che agli Oscar non è il suo Pinocchio, ma quello di Garrone, oggi che nei versi di Dante sembra vada a snaturarsi a compiacere il grande pubblico, ci manca quel grande Benigni che fu e che ha abbandonato la regia da ormai più di un decennio.

Innegabili le sue grandi doti attoriali dimostrate in decenni palchi e set cosi come il favore che comunque nel pubblico il suo nome attrae, ma sono in molti a rimanere perplessi alla sua candidatura che sembra omaggiare nostalgicamente più il ricordo lontano di quello che comunque è e rimane un grande artista piuttosto che i suoi tributi più recenti.

Se il suo cuore “è colmo di gioia e gratitudine”, nella mente di molti, se si pensa alla carriera di Roberto Benigni e all’omaggio ad essa attribuito, prevale lo scetticismo. Da qui a settembre, in attesa del grande evento, ci sarà molto di cui discutere.

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