Innamorarsi del proprio carnefice, ecco cos’è la sindrome di Stoccolma

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Quante volte durante un film o una serie tv abbiamo sentito nominare la sindrome di Stoccolma? Quante volte ci siamo chiesti cos’è e perché accade? Per rispondere a queste domande basterebbe dire che la sindrome di Stoccolma avviene quando un ostaggio prova dei sentimenti positivi nei confronti del proprio rapitore. Ma andiamo ad analizzare perché e quali sono le cause di questa particolare condizione psicologica non riconosciuta da nessun sistema internazionale di classificazione psichiatrica.

Sindrome di Stoccolma: la storia

La rapina alla banca di Stoccolma del 1973.

Il 23 agosto 1973 Jan-Erik Olsson entrò armato di mitra, nella sede cittadina della Sveriges Kredit Bank. Il 32enne evaso dal carcere prese in ostaggio quattro impiegati: la cassiera Elisabeth, 21 anni, la stenografa Kristin, 23 anni, Brigitte, 31 anni, impiegata, e Sven, 25 anni. Olsson tenne in ostaggio le persone per oltre 130 ore, quasi sei giorni. Quando i sequestrati furono liberati espressero solidarietà verso il loro sequestratore arrivando addirittura a testimoniare in suo favore.

La Sindrome di Stoccolma e i sentimenti positivi verso il sequestratore

Questa reazione emotiva fu chiamata sindrome di Stoccolma da Nils Bejerot. Lo psichiatra e criminologo intendeva, con questa espressione, descrivere il fatto che le vittime avevano sviluppato sentimenti positivi verso il sequestratore dimostrando persino preoccupazione. 

Pensavo che se fossi riuscita a stabilire
un rapporto con lui, avrei potuto convincerlo
a rinunciare a tutto, e se si fosse liberato
dell’angoscia che si teneva dentro,
forse avrebbe avuto un ripensamento […]
Se piaci a qualcuno, non ti ucciderà.

Così Kristin Ehnmark, ostaggio della Sveriges Kreditbank di Stoccolma, in una testimonianza alla polizia dopo la liberazione.

Sindrome di Stoccolma: le cause

La durata del sequestro, la dipendenza dell’ostaggio dal delinquente per la sua sopravvivenza e la distanza psicologica dell’ostaggio dalle autorità sono fattori che aumentano la possibilità di essere colpiti dalla sindrome di Stoccolma. Sembrerebbe, infatti, che i sentimenti positivi tra il rapitore e il rapito si formino i entro il 3° giorno di prigionia.

Quando la vittima ha superato il trauma iniziale del sequestro deve trovare un modo per sopportarlo, questo, con l’aumentare del tempo con il rapitore fa aumentare i sentimenti positivi del sequestrato. Le cause della Sindrome di Stoccolma non sono molto chiare. Alcuni autori ritengono che questo legame derivi dallo stato di dipendenza concreta che si sviluppa fra il rapito ed i suoi rapitori Secondo l’FBI l’8% circa dei casi di sequestro di persona è caratterizzato dal fenomeno della sindrome di Stoccolma.

Sindrome di Stoccolma: casi noti

Figlia di un industriale, fu rapita nel 1978, a 18 anni, da Daniel Nieto e liberata dopo circa due mesi. Giovanna Amati con il pagamento del riscatto tornò a casa. I due continuarono a sentirsi clandestinamente arrivando a concordare un appuntamento per rivedersi. A quell’appuntamento il sequestratore trovò la polizia e la ragazza urlò di lasciarlo libero, perché non aveva fatto nulla di male.

  • Il caso che negli anni ha creato più scalpore è sicuramente quello di Natascha Kampusch: sequestrata nel 1998 a Vienna, all’età di 10 anni, fu segregata in un garage per ben 8 anni. Il suo carnefice la picchiava e la violentava, la ragazza racconta di averlo ringraziato per ogni piccola concessione.
Natascha Kampusch e il suo sequestro a Vienna nel ’98.

La ragazza nel 2006 riuscì a scappare. L’aguzzino, dopo la fuga di Natascha, si suicidò. Appresa la notizia della morte del suo rapitore, la giovane avrebbe pianto e pregato per lui.

Augusto De Megni released from his kidnappers by police forces, is welcomed by his father Dino nel 1991. ANSA
  • Un altro caso particolare fu quello di Augusto De Magni. Rapito a 10 anni nel 1990, fu tenuto prigioniero dall’anonima Sarda per 110 giorni. Liberato dai NOCS rivelò che si sentiva parte della banda.

Sindrome di Stoccolma: il caso Silvia Romano

Silvia Romano, la cooperante milanese liberata il 9 maggio scorso in Somalia, rientrata in Italia ha dichiarato di essersi convertita liberamente allIslam, nonostante sia stata ostaggio del gruppo jihadista estremista islamico al-Shabaab. Le fonti investigative hanno dichiarato che:

LA situazione psicologica legata al contesto in cui la ragazza ha vissuto in questi 18 mesi, non necessariamente SARÀ destinata a durare nel tempo.

Il caso di Silvia Romano riporta alla mente quello delle due cooperanti Simona Pari e Simona Torretta, che vennero rapite a Baghdad il 28 agosto del 2004. Liberate dopo un mese di prigionia annunciarono di voler tornare dove erano state rapite e ringraziarono i loro sequestratori.

Leggi anche: “Silvia Romano si è convertita all’Islam”. Perché giudicarla?

La sindrome di Stoccolma: film e serie tv

La Casa de Papel, Monica e Denver

Nella serie spagnola di Netflix “La Casa de Papel” durante una rapina con ostaggi alla zecca di Stato, il rapinatore Denver e l’ostaggio Mónica Gaztambide (che successivamente prenderà appunto il nome di “Stoccolma”) si innamorano perdutamente. I due decidono di avere un futuro insieme dopo il colpo.

Ma sono molte altre le opere cinematografiche in cui ritroviamo il tema della sindrome di Stoccolma: serie tv come Dr. House e Law & Order, film come Agente 007 – Il mondo non basta e John Q, viene citata nei Simpson, in X-Files, Dexter, Six Feet Under, Die Hard.

Leggi anche: Come nella Casa di Carta: Direttore di banca ruba un milione dai più ricchi per aiutare i più bisognosi

Perché la sindrome di Stoccolma è così controversa

In uno studio del 2008 intitolato Stockholm syndrome’: Psychiatric diagnosis or urban mythgli autori hanno notato che la diagnosi di sindrome di Stoccolma viene nominata soprattutto dai media. Gli autori concludono che 

il mistero dell’origine delle malattie psichiatriche esercita un fascino sulla società; la psichiatria non ragiona per valori e definizioni assolute, i media hanno quindi campo libero con termini medici come la sindrome di Stoccolma, che ancora non hanno ricevuto una valutazione completa e criteri di validazione.

Insomma, pare che in realtà la sindrome di Stoccolma si presti molto bene ad essere romanticizzata.

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