Il latino che piace alle aziende e fa curriculum

Silvia Buffo
Silvia Buffo
Silvia Buffo, 1985, giornalista. Ha fondato e dirige Il Digitale. Formazione classica e filologica, un dottorato di ricerca in Letteratura italiana, sui legami tra scrittura e nuovi media. “La bellezza è promessa di felicità” è il suo motto, che ha delicatamente rubato a Stendhal.
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Nell’era del digitale e del monopolio della lingua inglese c’è ancora chi investe nello studio del latino. Gli anni del Liceo Classico, i più difficili della vita! E, come se non bastasse, perseverare nella scelta universitaria optando per gli studi filologici… C’è chi lo ha fatto e per di più nell’epoca dei social, in cui la comunicazione passa attraverso segmenti di immagini che corrono frenetiche. Un paradosso? Siamo ancora in tanti a pensare che il sapere e la vera formazione non possano prescindere dallo studio delle lingue classiche. In età augustea gli studi umanistici erano un vezzo, uno studioso doveva sublimare la sua formazione per il gusto stesso del sapere, senza secondi fini, per diventare un doctus, un erudito. Era questa la massima aspirazione.

Cicerone è il primo a insegnarci quanto conta l’arte della parola nel lavoro

La prima connotazione pratica degli studi umanistici verrà solo con Cicerone, il primo vero comunicatore della storia, che essendo avvocato, sfruttò la retorica per vincere le sue cause, la trasformò in ars oratoria e così il tabù di studiare a scopi pratici fu ampiamente superato. Da quel momento in poi studiare non sarà solo un privilegio per pochi eletti che non avrebbero mai lavorato, spendendo la propria vita solo sui libri. Con Cicerone si avvia il processo di ‘professionalizzazione’: nascono i primi veri filoni ‘tecnici’ del sapere, quelle che poi sarebbero diventate le nostre professioni attuali: il medico, l’avvocato, il notaio e via dicendo, nell’accezione più moderna. Oggi, al contrario nella nostra età contemporanea non ci si lascia nemmeno sfiorare dall’idea che lo studio possa essere un’attività fine a se stessa, intesa come puro nutrimento personale. Nella società attuale si fanno attività di formazione, si scelgono le scuole, le facoltà, le specializzazioni e i master unicamente allo scopo di trovare lavoro. Così troppo ingenuamente e solo in un’ottica utilitaristica le facoltà umanistiche scivolano in basso nel ventaglio degli studi che varrebbe la pena intraprendere per trovare occupazione. Il luogo comune è quello che con una formazione classica e umanistica si finisca per restare senza lavoro.

Il riscatto della lingua morta

Nulla di più sbagliato. Gli umanisti hanno finalmente il loro grande riscatto nell’era della comunicazione, conoscono l’arte della parola e dei linguaggi meglio di chiunque altro. E questo fa la differenza. Ma c’è di più: il latino piace alle aziende. La conoscenza di questa lingua morta promette logica, visione, lungimiranza. Ed anche una grande cultura, sempre più rara, la cui luce è in grado di irradiarsi nei più diversi ambiti professionali.

“In un mercato del lavoro molto dinamico il latino è la disciplina che per eccellenza denota capacità di ragionamento e di logica”.

A parlare non è un professore di liceo ma Giuseppe Bruno, uomo di impresa e manager di Info Jobs, un portale specializzato nella ricerca di lavoro. A pensarla così anche il linguista, Guido Milanese, professore all’Università Cattolica:

“Conoscere il latino è un elemento spendibile in un buon curriculum professionale. Ci sono imprese, in particolare all’estero, che lo tengono in considerazione”.

Una grande marcia in più, confermata da esperti, per chi è in cerca di occupazione, tant’è che vale sempre la pena rispolverare la propria conoscenza del latino.

Il latino, il miglior biglietto da visita

Il latino, la meravigliosa lingua di letterati e filosofi, ma anche la lingua scientifica di Cartesio, Newton e Galileo è la lingua dell’analisi e del rigore, per questo piace molto alle aziende. Nella “res publica litterarum” è stata il miglior veicolo per comunicare universalmente, oltre gli idiomi nazionali. Una tradizione che si è protratta ben oltre la caduta dell’Impero Romano, per tutta l’età media, l’Umanesimo, il Rinascimento e l’età moderna fino alle soglie della contemporaneità nella comunità internazionale degli uomini di cultura, oltre le barriere temporali congiungendo, così, l’élite del pensiero. A ragione si può parlare di ‘élite’ poiché il vero umanista non prescinde dal latino, che è connaturato nel suo pensiero. E cosa può renderlo più ‘elitario’ del latino?

Il latino al di là del tempo e dello spazio

La lingua latina classica, proprio perché “morta”, è un codice protetto non più esposto all’evoluzione a cui invece le lingue sono per loro natura inscampabilmente sottoposte e per secoli ha così consentito la comunicazione delle idee al di là del tempo e dello spazio, attuando un’apoteosi culturale. In questo modo il latino è divenuto una lingua per certi versi intramontabile. Oggi il recupero della lingua latina ne esalta questa sorta di paradossale immortalità, perché proprio morendo e cadendo in disuso, è divenuta tale, destinandosi esclusivamente all’élite culturale umanistica. Ecco perché la conoscenza del latino fa gola alle imprese, perché è un grande segno distintivo. Il latino è ancora la radice identitaria aperta di noi italiani, di cui abbiamo tutto l’interesse, anche economico, a rivendicarne peso e valore. Sarebbe auspicabile, come prossima sfida, un organico processo di digitalizzazione di questa grande eredità, attraverso le più innovative tecnologie 3.0. Solo allora il raggio d’azione nella trasmissione del sapere classico sarà più ampio ed efficace.   di Silvia Buffo  

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Silvia Buffo, 1985, giornalista. Ha fondato e dirige Il Digitale. Formazione classica e filologica, un dottorato di ricerca in Letteratura italiana, sui legami tra scrittura e nuovi media. “La bellezza è promessa di felicità” è il suo motto, che ha delicatamente rubato a Stendhal.
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