Ho l’impressione che Internet stia diventando un posto migliore

Silvia Buffo
Silvia Buffo
Silvia Buffo, 1985, giornalista. Ha fondato e dirige Il Digitale. Formazione classica e filologica, un dottorato di ricerca in Letteratura italiana, sui legami tra scrittura e nuovi media. “La bellezza è promessa di felicità” è il suo motto, che ha delicatamente rubato a Stendhal.
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Saturazione. È la prima parola che mi viene in mente per descrivere lo stato attuale dei social network. Saturazione dell’immagine, della parola, del dibattito e dell’espressione, e ancora saturazione degli haters, delle visualizzazioni, delle fake news, del click bait. Tutto è già visto. Tutto è già detto. Certo è che ancora una fetta di utenti è pronta a stupirsi, a farsi travolgere da quell’onda perenne: lo scroll delle bacheche. Ma più per inerzia che per volontà. In un oceano di post, verrebbe da chiedersi:

“C’è ancora qualcosa in grado di attirare la mia attenzione”?

La risposta nove volte su dieci è “No”! Siamo diventati disinteressati ma più ancora intolleranti davanti all’eruzione incessante di notizie prevedibili e sempre più uguali a se stesse. Perché sui social tutto è così omologato? Cos’è che riduce il meccanismo della comunicazione a stereotipi monotoni e prevedibili? La risposta è: lo stile, quello entro cui siamo costretti a comunicare per catturare l’attenzione del nostro lettore. Più che una mediazione, una strategia, è un compromesso vero e proprio. Ma forse non vogliamo più scendere a compromessi. Il contenuto digitale dopo aver viaggiato alla velocità della luce, oggi ha una esigenza nuova: tornare indietro, ritornare al lògos, al ragionamento. Emanciparsi dalla frenesia, liberarsi da emoticon e titoli volgari, riscattarsi da effimere provocazioni: vuole tornare alla purezza. Vuole essere contenuto incondizionato. E di riflesso gli utenti vogliono informarsi tornando a letture impegnative e di spessore, proprio come avveniva nella fase 1.0, quando tutto aveva ancora il sapore distinto del significato. La scommessa è ospitare tutto ciò nel contesto innovativo di oggi. E che innovazione sarebbe se non riuscissimo a fare questo?

Il contenuto vuole recuperare la sua purezza

A provare questa tendenza è l’ormai evidente assuefazione ai social, sono l’esempio più calzante: senso della privacy perso, pudore perso, fascino estetico perso, perso anche il senso di stupore e meraviglia dinanzi alla moltitudine fotografica di spettacoli naturali, l’interesse a dibattere superato, l’incentivo all’interazione superato. E non è un caso che già da un paio d’anni su FB siano subentrate le ‘reaction’, una sorta di accanimento terapeutico per farci risultare ancora ‘attivi’. Ma forse è solo apparenza. L’utente è stanco, non ha granché voglia di reagire, di approvare un post con un like: è ormai indifferente. Un tempo un like ti dava l’illusione di avere un potere sulla punta della dita: esprimere un giudizio, oggi questo potere è evaporato nel torpore dell’abitudine. E se ancora osserviamo lo facciamo solo per automatismo: perché quando il digitale entra nelle nostre vite non è più in grado di uscirne. Siamo immersi in un tunnel bulimico di informazioni. Ma non è vero che nulla è più interessante. Ciò che è difficile è selezionare le informazioni di nostro interesse perché dedicarsi alla lettura in internet oggi è come cercare di fare costantemente una raccolta differenziata dei contenuti che meritano la nostra attenzione, fino a perdere le energie e la voglia stessa di leggere. E quando la sera, sfinito dalle chat, emerso dal labirinto dei link, martellato dal mare di notifiche, hai la lucidità di mettere lo smartphone in modalità aereo e ti sorprendi a sfogliare il tuo libro profumato di carta, oltre a provare nostalgia e goderti il momento, comprendi qual è la nuova sfida del digitale: fare un gran passo indietro.

Abbiamo di nuovo voglia di approfondire

Inevitabilmente ti si accende una lampadina. Capisci che bisogna abbandonare le superfici e avere il coraggio di riaddentrarsi nell’approfondimento. Ma come? A cominciare dalla rivalutazione di siti e blog dove l’attenzione resta più alta, riproponendo la settorialità degli argomenti in maniera mirata. Offrendo agli utenti delle vere e proprie case digitali in cui entrare per coltivare il proprio mondo, a patto che questo mondo sia coerente e coeso. Un modo per uscire dal vampirismo energetico dei social in cui vediamo e subiamo tutto senza troppe possibilità di scelta. Per dirla con Andrea Camilleri: “Vedere tutto è come non aver visto niente”, dobbiamo riscoprire la virtù della pazienza e dell’empatia, riscoprire l’ebbrezza del soffermarsi. Abitudine sempre più frequente fra gli esperti del digitale è proprio abbandonare questi canali, dispersivi e in grado di creare dipendenza, assuefazione, una crisi esistenziale, una sorta di contemporanea “nausée” sartriana.

La ribellione del distacco

Tant’è che il detox digitale è una strada che molti scelgono di percorrere. Fa riflettere la scelta di Arturo di Corinto, che possiamo definire un pioniere della rete, ha abbandonato i social per diverse ragioni, una più valida dell’altra, ma quella della sterile divagazione è ciò che più mi ha colpito:

I social sono una notevole fonte di distrazione. Anche quando si eliminano le notifiche dallo smartphone, la tentazione di vedere se qualcuno ci ha commentati, likati, insultati rimane forte, un riflesso comportamentale che si fonda sull’attitudine del cervello ad attivarsi di fronte a delle ricompense: la scoperta di una novità o di una gratificazione. Quando parliamo di informazione, è proprio la “news” ad essere gratificante, spesso indipendentemente dal contenuto. Il meccanismo che ci porta a consultare lo smartphone circa 2600 volte al giorno è di tipo scientifico ed è stato ingegnerizzato: Tristan Harris, ex vicepresidente di Google, lo chiama brain hacking, hackeraggio del cervello.

La consapevolezza di dover cambiare si fa strada, per riemergere dal pericoloso vortice. E la voglia di mollare tutto ed emanciparsi è come un desiderio spontaneo. Ma di contro si studiano soluzioni per tenerci ancora legati ai meccanismi da cui vorremmo scappare: pensiamo a cosa differenzia una ‘storia’, il trend social più in voga, da un ‘post’: foto e contenuto sono gli stessi ma allora cosa cambia? Ciò che cambia è il tempo a disposizione per visualizzare un contenuto. Fb e Instagram ci dicono “O il contenuto lo vedi adesso oppure non lo vedrai più” perché hai solo 24 ore di tempo e se non ne approfitti lo perdi. Ma forse siamo arrivati al punto in cui preferiamo perderci qualcosa e ritrovare il filo di noi stessi.   di Silvia Buffo

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