Perché gli italiani non sono liberi di esprimere la propria paura per la guerra?

In ogni dibattito sulla guerra, il coraggio e il patriottismo vengono invitati a parlare, la paura invece no, non può essere manifestata, deve essere rimossa e censurata dall'immaginario collettivo.

Melissa Matiddi
Melissa Matiddi
Esperta in comunicazione e digital marketing, studia lo yoga e le discipline orientali. Ama creare, leggere e viaggiare. Silenziosa ma rumorosa, è sempre pronta a varcare nuovi orizzonti.
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Non possiamo avere paura per la guerra, in questo conflitto non c’è spazio per la preoccupazione. Il sentimento di timore, che ci provoca ansia, angoscia e panico, dovuto dall’esito incerto e dubbioso che solo una battaglia può generare, è totalmente e stranamente assente dalle nostre percezioni.

In questa lenta e inesorabile fase della storia, non si fa altro che elogiare e divinizzare il coraggio eroico di chi, scelleratamente, si schiera dalla parte del demone che demolisce, deturpa e annienta o di chi, seduto, dal divano di casa, inneggia alla violenza e agli scontri.

Giornalmente, il dolore viene disumanizzato, come se si trattasse di una sensazione sconosciuta al genere umano, come se, improvvisamente, ci trovassimo tutti imbalsamati in un coraggio, in una spavalderia, in una imprudenza che non sono nostri, che non ci appartengono, ma, anzi, che ci vengono imposti dalla tendenza impopolare del momento, del non avere paura.

Ma la guerra non era portatrice di distruzione, sterminio e desolazione, da quando abbiamo iniziato a tifare per la sua furia omicida e siamo diventati immuni alla sofferenza?

No alla paura per la guerra, sì al coraggio?

Non si tratta dell’imitazione del claim di un famoso spot di un’azienda alimentare italiana, ma della sintesi di quello che sta accadendo in questi giorni. L’interesse per la partecipazione attiva alle dinamiche della guerra, ci ha imposto il diritto di non manifestare, almeno apertamente, le nostre paure e il nostro disaccordo nei confronti del conflitto più social del momento.

Rivendicare il coraggio è un dovere, un obbligo e una responsabilità implicita che siamo chiamati ad esercitare, anche contro la nostra volontà. Ad esempio, nei dibattiti televisivi, il dimostrarsi contrari all’invio di armi in Ucraina, viene immediatamente bollato come codardia, egoismo o addirittura simpatia nei confronti di Vladimir Putin.

Tutto quello che la propaganda militaresca e politica stanno facendo è cementare pesantemente la convinzione che lo strumento bellico sia la sola ed unica soluzione per plasmare e convincere le masse a compiere questa escalation di potere che ci condurrà, prima o poi, in una spirale disastrosa.

Neanche all’alba di una possibile terza guerra mondiale, ci è permesso schierarci dalla parte di chi teme il vero nemico, la guerra, e di chi, è profondamente e tacitamente preoccupato per tutti i rischi e per tutte le conseguenze distruttive che i conflitti portano con sé.

Viene da chiedersi, a questo punto, come sia possibile, non aver preventivamente analizzato i possibili strascichi bellici, che normalmente possono durare anni e ricadere sulla nostra esistenza, casa e lavoro?

Siamo davvero convinti che mettere da parte la paura della guerra, in favore di un coraggio dopato, possa salvare un intero paese?

Leggi anche: La guerra raccontata su TikTok è una realtà bizzarra e grottesca

Meglio la pace o il condizionatore acceso?

La comunicazione utilizzata dal Premier Mario Draghi, nel corso della presentazione del Documento di Economia e Finanza, si è dimostrata persuasiva e categorica. Il Presidente del Consiglio parlando della guerra in Ucraina, ha rivolto retoricamente agli italiani, una semplice domanda:

Meglio la pace o il condizionatore acceso?

Se da un lato, questo tipo di affermazione può sembrare strategica e funzionale, dall’altro, occulta e offusca tutti gli ipotetici rischi e le conseguenze belliche che non vengono mai prese in considerazione, dall’inizio del conflitto.

Come sostiene pure la giornalista e scrittrice, Selvaggia Lucarelli:

Eppure tra il condizionatore spento e le simulazioni di lanci di testate nucleari sulle tv russe, dovrebbe esistere un terreno onesto su cui confrontarsi.

Un terreno che preveda ascolto e comprensione per quella larga percentuale di italiani che dalla politica e dalla stampa viene dipinta come Busacca e Jacovacci, i due soldati codardi della Grande guerra (senza il riscatto finale).

In questa stagione di populismi e clamore per la guerra, neonati, civili e soldati ucraini russi muoiono sotto il peso non solo delle bombe, ma anche delle intenzioni assolutamente distopiche dei governi occidentali e orientali di rispondere continuamente, colpo dopo colpo, alle offensive.

La paura non può passare per vigliaccheria

Dal momento che i potenti non hanno paura della guerra, o perlomeno non ci esternano pubblicamente le loro sensazioni, di riflesso, neanche noi dovremmo averne. Dimostrare di essere preoccupati non farebbe altro che definirci vigliacchi, codardi e, in questo clima, non ce lo possiamo proprio permettere.

Il Deus ex machina della guerra è stato proprio decidere di inviare armi all’Ucraina per sciogliere, a detta dei politici, una situazione carica di tensione. Come succedeva nel teatro greco e romano, ad un certo punto, per sbloccare una scena, una gru introduceva la presenza di una divinità che avrebbe dovuto migliorare e risolvere un certo problema.

Se ci pensiamo bene, è un po’ quello che è successo intorno a noi. Per risolvere la questione delle armi, gli stati occidentali hanno deciso di inviare l’artiglieria pesante al paese bombardato, per fargli affrontare meglio lo scontro e permettergli di uscirne vincente.

Chiaramente l’effetto collaterale di questo provvedimento è stato un po’ diverso rispetto alla tragedia teatrale, infatti, si sta rischiando di sbordare dai confini del disegno originario, dal momento che questa mossa sta seriamente compromettendo la pace, sta prolungando i tempi e sta inasprendo le sanzioni di una situazione che sembra non finire più.

Le sorti del mondo e del futuro sembrano non importare ai governi mondiali, interessati solo ad elogiare e applaudire le gesta di chi esalta il coraggio, le imprese eroiche dei combattenti o di chi incita all’amore o al sacrificio per la madrepatria.

Leggi anche: La propaganda di Putin e quel tripudio di orgasmi tricolore

Come facciamo rimozione della paura per la guerra

La negazione del concetto di paura viene rimosso dalle nostre coscienze tramite la condivisione di contenuti che possano veicolare e distrarci con la spettacolarizzazione del dolore. Se ci pensiamo bene, le notizie divulgate dalla stampa, non fanno mai riferimento alle morti dei soldati al fronte, ma solo di civili.

Eppure, sono tantissime le storie dei disertori che pur di non arruolarsi, si nascondono nelle case, nelle macchine o si truccano con la speranza di essere scambiati per donne.

Perché la comunicazione di guerra non passa attraverso questi messaggi?

Il ruolo delle propagande è sempre stato quello di abbattere i muri della paura della guerra e di disseminare idee e informazioni che rafforzino gli atteggiamenti a favore del conflitto, inibendo tutta quella serie di sensazioni viscerali che ci allarmano e ci inquietano.

Zelensky da un lato e Putin dall’altro non parlano mai di paura, dubbi o incertezze

I loro discorsi, con una narrazione mascherata da democrazia e riscatto nazionalpopolare, esportano solo devastazione e oblio.

Descrivere la crudeltà della guerra con un filmato in stile Netflix ed eroicizzare le imprese fomentate di chi sfila in parate, mostrandosi con medaglie e riconoscimenti al valore, produce una forma di coraggio scabroso che si autoalimenta, ogni volta, di azioni estreme.

E così, assuefatti dalla pornografizzazione del dolore, costruita dagli ucraini, ed eccitati, dall’erezione della vittoriosa e prorompente propaganda dei russi, rimaniamo catatonici davanti al rischio di un terzo conflitto mondiale che comincia a prendere forma davanti allo sguardo incredulo di chi non vuol vedere.

Pur di non guardare la faccia della devastazione e della povertà, a cui siamo inevitabilmente destinati e abituati, quando si tratta di guerre, giriamo con i paraocchi per ignorare certe situazioni che la nuova identitaria spettacolarizzazione vuole in ogni modo oscurare.

In un momento in cui esaltati, fanatici, idealisti, collezionisti e consumatori di sostanze psico-belliche banchettano senza sosta allo stesso tavolo, la nostra paura viene occultata. Non c’è posto sul fronte per i frignoni, i paurosi, i codardi e i deboli.

Finché la paura della guerra verrà raccontata solo da un punto di vista, quello del coraggio travestito da potere, non ci potrà essere lo spazio per rivendicare il proprio atteggiamento di paura.

Leggi anche: Il video di Zelensky sulla guerra e la pornografia del dolore

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