La guerra in Ucraina è un olocausto, la memoria è ipocrisia, l’oblio del presente vergogna

La Giornata della memoria ha ancora ragion d'essere oggi, dopo che di Mariupol non ci resta che polvere?

Silvia Buffo
Silvia Buffo
Silvia Buffo, 1985, giornalista. Ha fondato e dirige Il Digitale. Formazione classica e filologica, un dottorato di ricerca in Letteratura italiana, sui legami tra scrittura e nuovi media. “La bellezza è promessa di felicità” è il suo motto, che ha delicatamente rubato a Stendhal.

Chi non guarda il presente non ha più diritto a ricordare il passato. La guerra in Ucraina delegittima la Giornata della memoria. Oggi sono trascorsi 68 anni dalla liberazione di Auschwitz e le prime persecuzioni agli ebrei iniziarono nel 1938, con leggi razziali anche in Italia. Ha senso ricordare un passato lungo 7 decenni, quando l’olocausto è sotto gli occhi adesso? È tra noi senziente e brutale, agli angoli dell’Europa. È un olocausto che potremmo toccare con mano, ma che per assuefazione mediatica si eclissa ogni giorno nell’oblio.

Oblio come abitudine alla morte, avvezzi alle news di guerra come all’uso delle mascherine, perché la pandemia, con il conteggio dei decessi del giorno, ha reso la morte un fatto quotidiano e quindi non più evento.

Prima di ricordare il passato, dobbiamo ricordare il presente

L’Olocausto del conflitto russo-ucraino non è altro che l’abitudine a una realtà di per sé campo di concentramento, con la differenza che è attuale, è collocato nel presente, eppure oggi ricordiamo Anna Frank e ascoltiamo Liliana Segre con riverenza, ma siamo inetti davanti alla guerra. E quindi ipocriti. Non è un parodosso, è ipocrisia. La memoria dunque non ha ragion d’essere, perché prima di ricordare il passato, dobbiamo ricordare il presente, e per ricordarlo è sufficiente guardare, riscontrandolo. Oppure scegliere di far passare 70 anni per poi sì ricordare, con tanto di giornata celebrativa, l’olocausto russo-ucraino del 2022.

Giornata della memoria, l’olocausto russo-ucraino non si arresta

Anzi gli Stati Uniti e molti paesi europei hanno promesso dei carri armati all’ucraina e la Russia accresce la mobilitazione, pensando di mandare al fronte altri 300.000 soldati entro la primavera. Proprio la settimana scorsa il Ministro della Difesa russo, il generale Shoigu, ha annunciato un piano triennale per arrivare ad avere un esercito di un milione e mezzo di effettivi.

E cosa resta oggi di Mariupol? Quella città più ad est, che in un precedente e altrettanto brutale passato, tra giugno e ottobre 1941, è porta dell’invasione nazista, e che per destino spietato nel 2022 sarà devastata dalle truppe del Cremlino.

Il fato avverso si accanisce anche su Odessa, altresì massacrata. Alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale Odessa è una città florida per il commercio dei cereali con una popolazione di circa 600.000 abitanti, un terzo dei quali ebrei. Nel 1941, all’indomani dell’invasione dell’Unione Sovietica da parte della Germania nazista, sono ghettizzati circa 180.000 ebrei e di questi, più di 30.000 uccisi dall’armata nazista.

Odessa ieri e oggi, simbolo del massacro degli ebrei e della resistenza ucraina

Odessa ieri simbolo del massacro degli ebrei in Unione Sovietica, nel conflitto attuale è il simbolo della resistenza ucraina. I russi hanno iniziato i bombardamenti della città, nelle sue infrastrutture e, in particolare, nel suo porto fin dai primi mesi di guerra, stimolati dall’importanza strategica e storica.

Ancora oggi a causa dei missili sulle centrali elettriche Odessa è vittima di attacchi che ne compromettono la fornitura di energia elettrica e lasciano la sua popolazione con elettricità razionata. L’inverno ci appare freddo anche in Italia, ma proviamo a pensare come si possa vivere senza energia.

Secondo quanto riportato dall’ufficio del procuratore generale dell’Ucraina alla data del 20 novembre 2022, l’invasione russa ha comportato la morte di 8.311 civili ucraini di cui 437 bambini. Altri 11 mila civili hanno subito ferite o danni permanenti.

L’olocausto delle vite, oltre gli obiettivi militari

La media dei civili uccisi è passata da 25 a 34 vittime al giorno, segno che le truppe russe hanno iniziato a sparare contro una moltitudine di obiettivi, non limitandosi a obiettivi militari.

Per avere una stima indipendente, ma non completa, di quante siano le vittime civili, si può citare il rapporto dell’ufficio del procuratore generale dell’Ucraina: 7031 civili uccisi nell’arco della”operazione militare speciale” voluta da Putin. Tuttavia, l’alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani ha precisato che si tratta di cifre incomplete e che quelle reali sono, purtroppo, molto più alte.

E l’olocausto dei 200 mila militari russi, quale Giornata della memoria?

Anche le cifre delle vittime militari sono esorbitanti se si considera la durata del conflitto di nemmeno un anno. Secondo gli Stati Uniti, la Russia avrebbe perso 188.000 militari in undici mesi di guerra, mentre stando ai dati forniti dal ministero della difesa di Kiev, i morti russi sarebbero poco più di 120 mila.

Si tratta di cifre che delegittimano qualsiasi governo occidentale, a termine di paragone, basti pensare che in tutta la guerra del Vietnam, tra il 1962 ed il 1975, gli Stati Uniti perdono poco più di 58.000 soldati e tanto basta a far sì che l’opinione pubblica arrivi, con ripetute manifestazioni, fino alle porte della Casa Bianca, per chiedere al Presidente Nixon di ritirare le truppe dal paese asiatico.

L’olocausto di Nadiya: “Dove scappo? Qui è un inferno”

Nadiya Bezruchenko, classe 1945, ex ingegnere gestionale di Azovstal, ha risposto così alla figlia Tetyana che da Milano le chiede di lasciare Mariupol. Il racconto è riportato integralmente su Adnkronos. Invece, è rimasta bloccata per un altro mese e mezzo, a est della città dove viveva, in un quartiere chiuso a ovest dalle acciaierie, quindi dal cuore della difesa ucraina.

Il 20 aprile il suo palazzo va a fuoco, Nadiya è dovuta scappare per forza a piedi, percorrendo i primi chilometri “tra pile di cadaveri ammassate a bordo strada, una marea di carri armati, palazzi minati e soldati ceceni che spuntavano da ogni parte come scarafaggi“, poi i pullman scortati dall’esercito di Mosca, che attraverso due campi di filtrazione l’hanno portata fino a Taganrog, nella Federazione russa. Anche perdere la propria casa, il proprio nido è un Olocausto, continua Nadiya:

Dentro avevo messo tutta la mia vita, è doloroso, ma doveroso, perché dovete sapere la verità sui russi e quello che fanno.

Hanno fatto un genocidio e lo chiamano ‘operazione speciale’. Appena intercettano un segnale telefonico, bombardano, per colpire fino all’ultimo ucraino.

E poi l’unica strada da percorrere: la sopravvivenza, a ogni costo

Il racconto di Nadiya non può che concludersi con l’unica cosa che ci resta, il coraggio, la sua personale resistenza, simbolo di una resistenza collettiva, abbraccia quel mondo sommerso in cerca della sua rinascita:

La guerra è fatta di decisioni, devi tirare fuori il carattere e pensare solo a te stesso. Io andavo avanti senza meta, il mio unico obiettivo era sopravvivere.

L’Ucraina è un olocausto, la memoria è ipocrisia, l’oblio è vergogna.

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Silvia Buffo
Silvia Buffo
Silvia Buffo, 1985, giornalista. Ha fondato e dirige Il Digitale. Formazione classica e filologica, un dottorato di ricerca in Letteratura italiana, sui legami tra scrittura e nuovi media. “La bellezza è promessa di felicità” è il suo motto, che ha delicatamente rubato a Stendhal.
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