Giornalista del New York Times espulso dall’Etiopia: documentava le atrocità della guerra

Ancora un atto di censura nei confronti di un giornalista, stavolta è toccato a un inviato irlandese del New York Times, cacciato dall'Etiopia per i suoi lavori che documentavano la violenza nel paese.

Tommaso Panza
Tommaso Panza
Salentino, classe 1993. Una laurea in mediazione linguistica. Fondazione Basso(Roma). Amante della lettura e del cinema, in particolare delle opere che raccontano spaccati di realtà. Deciso sin da piccolo a diventare un giornalista.
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Espulso dall’Etiopia. Il governo africano infatti non ha fornito spiegazioni per l’espulsione del giornalista, Simon Marks, corrispondente locale per il NYT che aveva ampiamente riferito sulla guerra e sulle violazioni dei diritti umani nella regione del Tigray.

Giornalista espulso dall’Etiopia a un mese dalle elezioni parlamentari

Giornalista espulso dall'Etiopia a un mese dalle elezioni parlamentari

Espulso dall’Etiopia perché scomodo alla propaganda del governo centrale. Tra meno di un mese infatti in Etiopia ci saranno le nuove elezioni parlamentari e il governo di Abiy Ahmed vuole reprimere ogni tipo di opposizione per riconfermarsi al potere.

Simon Marks è un giornalista irlandese, corrispondete per il NYT in Etiopia. Il lavoro di Marks più di altri stava infastidendo il governo federale.

Il giornalista espulso dall’Etiopia da tempo documentava per filo e per segno il conflitto civile e le violenze perpetrate dall’esercito etiope nella regione del Tigray, a nord del paese.

Un’offensiva militare che va avanti da mesi contro il Fronte popolare di liberazione del Tigray (Tplf), che considera il premier Abiy Ahmed un leader illegittimo.

L’espulsione dal paese

Il giornalista Simon Marks, come già anticipato è stato espulso dall’Etiopia proprio un mese prima delle tanto ritardate elezioni parlamentari in Etiopia.

Queste dovrebbero consolidare l’autorità del combattuto e tanto discusso primo ministro del paese Abiy Ahmed, che ha vinto il Premio Nobel per la pace nel 2019, chissà con quale criterio.

Giovedì scorso, i funzionari etiopi hanno convocato il giornalista irlandese a una riunione nella capitale, Addis Abeba. 

Le sue credenziali governative come addetto stampa straniero erano addirittura già state cancellate da marzo, un giorno dopo il suo ritorno da un viaggio di lavoro (tra l’altro approvato) proprio nel Tigray. 

I funzionari lo hanno arrestato e portato all’aeroporto della città, dove è stato trattenuto per otto ore prima di essere espulso su un volo che è partito intorno alle 12:30, ora locale di venerdì.

Il governo etiope inoltre non ha riferito alcun tipo di spiegazione sul perchè il giornalista Simon Marks sia stato espulso dall’Etiopia.

Il suo permesso di soggiorno inoltre era valido fino a ottobre. I funzionari locali hanno solo fatto sapere che si trattava di una “decisione del governo”. 

I gruppi per la libertà di stampa hanno affermato che l’espulsione è stata un ulteriore attacco alla libertà di cronaca, a cui ha fatto seguito una vera e propria campagna di censura che ha portato ad arresti e intimidazioni nei giorni scorsi di giornalisti etiopi, molti di questi avvenuti in diretta Tv, dallo scoppio della guerra nel Tigray a novembre.

Giornalista espulso dall’Etiopia: le sue inchieste sulla guerra minacciavano la stabilità politica

Giornalista espulso dall'Etiopia: le sue inchieste sulla guerra minacciavano la stabilità politica

Marks aveva puntualmente riportato quello che stava accadendo nel Tigray negli ultimi mesi. Il giornalista aveva documentato una serie di avvenimenti raccapriccianti, confermati anche dall’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI).

Migliaia di donne, adolescenti e persino bambine giovanissime sarebbero state stuprate durante questi mesi di guerra e ancora oggi nella regione del Tigray, dove l’esercito di Abiy Ahmed, a cui si sono unite le truppe della vicina Eritrea, è in lotta contro il Fronte di liberazione popolare del Tigray (Tplf). Il conflitto ha generato migliaia di sfollati nonché l’esodo di oltre 63mila tigrini nelle regioni confinanti del Sudan orientale.

L’Onu ha confermato che i militari dell’esercito Etiope inoltre bloccano l’accesso alle vie di comunicazione impedendo la distribuzione di cibo e aiuti nella regione dove ormai l’80% della popolazione (6 milioni di persone) rischia di morire di fame.

I migliaia di stupri usati come arma di guerra sono stati denunciati anche da numerose associazioni territoriale che lottano per contrastare crisi umanitaria di tale portata.

Nella capitale Addis Abeba inoltre non si contano più gli arresti ai danni di giornalisti. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite il 15 aprile nella persona di Mark Lowcock, coordinatore dei soccorsi di emergenza delle Nazioni Unite, ha dichiarato che:

Non c’è dubbio che la violenza sessuale sia usata in questo conflitto come arma di guerra, come mezzo per umiliare, terrorizzare e traumatizzare un’intera popolazione oggi e una generazione successiva domani.

Sanzioni da parte degli Stati Uniti

Gli Stati Uniti hanno annunciato una serie di sanzioni nei confronti dei governi di Etiopia ed Eritrea in quanto ritenuti responsabili di “non aver fatto passi significativi per mettere fine alle ostilità o trovare una soluzione pacifica” alla crisi politica e umanitaria in corso nella regione etiope del Tigray, nel nord del Paese.

I provvedimenti, probabilmente accelerati anche in seguito all’episodio del giornalista Simon Marks espulso dall’Etiopia, sono stati annunciati dal segretario di Stato americano Anthony Blinken.

Le sanzioni implicano: limitazioni all’emissione dei visti nei confronti di tutti i funzionari dei due esecutivi (etiope ed eritreo) e i membri delle forze di sicurezza dei due Paesi considerati responsabili di violenze e altri abusi contro la popolazione civile oltre che di aver ostacolato l’accesso umanitario nella regione.

Leggi anche: Spose bambine, il fenomeno di cui nessuno parla

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