Emergenza Coronavirus, la stampa 3D sta facendo la differenza

Elza Coculo
Elza Coculo
Elza Coculo, 30 anni, di adozione romana. Lettrice appassionata con formazione in Studi italiani. Laureata in Editoria e Scrittura. Redattrice per Il Digitale. Amo scrivere di attualità e cultura eco-sostenibile.
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Come per la valvola di Venturi che a Chiari permise di utilizzare rianimatori altrimenti non funzionanti, o per le visiere protettive realizzate dal laboratorio Yatta! di Milano, la stampa 3D si sta dimostrando preziosa anche per la realizzazione di maschere protettive. Riccardo Prezioso, giovane medico siciliano con esperienza nella stampa tridimensionale, ha messo a disposizione le proprie competenze per l’associazione Give me a hand, di William Amighetti. William è un tecnico ortopedico che, con la sua associazione lavora come volontario nei paesi del Terzo mondo per fornire protesi ai bambini che ne hanno bisogno. Attualmente è impegnato sul fronte bergamasco e si sta facendo carico di tutta la parte organizzativa del progetto COVIDMASK, del reperimento dei materiali e della distribuzione. Racconta Riccardo Prezioso nella nostra intervista:

La richiesta mi ha toccato più direttamente quando William mi ha contatto. Lui vive in un paesino in provincia di Bergamo, a circa 5 km dalla zona rossa. Era preoccupato perché lì i medici non hanno sufficienti risorse, si coprono la bocca con sciarpa e fazzoletti. Mi disse: “O proviamo a farle noi o non ci sono. Cosa devo dire a queste persone?” E ho risposto: “Non lo so, ci proviamo”.

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Come hai iniziato a stampare?

Mi sono ritrovato dentro all’improvviso. Quando è iniziata l’emergenza mascherine avevo visto sui vari gruppi Facebook che c’erano stampatori 3D che stavano iniziando a fare qualcosa. Ne parlavano anche i giornali. Però, avendo un po’ d’esperienza, sia in campo medico sia da stampatore, ad occhio si vedeva che i design non andavano bene. Ho pensato: “Ok, è praticamente impossibile farlo!” Ho lavorato un bel po’ al progetto. Con Francesca Albano, ingegnere biomedico, abbiamo steso la documentazione delle istruzioni e abbiamo valutato la fattibilità del progetto. Con Stefano Ala, esperto e professore di stampa 3D, abbiamo lavorato sulla modellazione. All’incirca ci sono voluti 7 giorni per stampare prototipi, cambiare il file, riprovare e ristampare. Abbiamo prodotto una mascherina protettiva, con un lavoro fatto al meglio possibile in queste circostanze. Il file è open source sul sito dell’associazione Give me a hand e spero possa essere d’aiuto. Noi abbiamo una piccolissima produzione e stiamo regalando un centinaio di mascherine ai sanitari del bergamasco.

Cosa deve avere una maschera per essere idonea?

La mascherina è una protezione necessaria in contesti in cui c’è un’alta circolazione del virus. Nella scheda tecnica della COVIDMASK ci sono tre diverse combinazioni possibili della maschera. Tutte hanno una configurazione adatta ai sanitari. Un prototipo monta un filtro Hygrobac S che si usa per i respiratori. L’ho pensata specificatamente per le richieste dell’ospedale di Agrigento, poiché c’è abbondanza di filtri, ma non di mascherine. Il rischio è che usando molti filtri per le maschere prima o poi non ce ne saranno più per i respiratori. Ma se l’alternativa, come mi è stato detto, è lavorare con un pezzo di stoffa davanti la bocca o con la stessa mascherina chirurgica per 10 giorni, è chiaro che si accetta di correre il rischio. Nelle case di cura per anziani, per esempio, le infermiere stanno usando le stesse mascherine chirurgiche da giorni. Va a finire che, se non si ammalano di Covid, si ammalano di legionella per via dei batteri.

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Mentre le altre due?

Un altro dei prototipi è stato realizzato con valvola in uscita. Il problema è che il filtraggio in uscita non è protetto, quindi garantisce chi le indossa, ma non il paziente. Ma ha sicuramente una respirabilità migliore rispetto alle altre. C’è chi usa maschere non valvolate per non correre il rischio. Solo che respirare lì dentro è più difficile. La terza configurazione invece monta 2 filtri, uno per l’aria in entrata, uno per l’aria in uscita. Questa maschera protegge anche il paziente, ma è faticosa tenerla indosso. I filtri, come per una normale mascherina, non hanno capacità filtrante infinita. Vanno cambiati all’incirca ogni due ore. Tutte queste variabili rendono difficile stabilire quale sia il grado di protezione effettivo. Le cose da tenere in considerazione sono tante. E soprattutto di natura tecnica.

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Per stabilire il grado di protezione della maschera bisognerebbe fare dei test?

Certo, ma la maschera non ha superato i test perché chiederne uno, sia per tempistica che in termini di costi, non ci è possibile. Noi cerchiamo di fare il massimo. Non sono contento di non poter garantire sulle prestazioni della maschera, ma ripeto, stiamo rispondendo ad un’emergenza e questo è il meglio che possiamo fare. La maschera offre una protezione. Sulla classe non possiamo dire senza svolgere il test. Ma, sostanzialmente, il grado di protezione dipende dal filtro che monti e da come viene indossata la maschera. Se portata correttamente ad esempio un FFP3 garantisce mediamente il 95% del filtraggio. Ciò significa che su 100 respiri solo 5 non sono protetti. Ma se la mascherina non viene indossata correttamente, ad esempio non aderisce perfettamente al viso, non garantisce nulla. Per questo abbiamo preparato una spiegazione dettagliata della maschera, anche per come indossarla. Ogni rischio va ridotto al minimo.

COVIDMASK con due filtri. Come indossarla.

Come state lavorando?

La mia stampante 3D da oltre 10 giorni lavora h24 senza interruzioni. È una stampante da 200 euro che ho modificato per stampare dei filamenti che altrimenti una macchina standard non potrebbe fare. Infatti, alcuni FabLab che ci danno una mano non possono stamparla integralmente, perché il macchinario di base non può farlo. Con la mia macchina riesco a stampare una maschera completa con 2 filtri in 7 ore. Poi c’è un lavoro di post produzione, ma più o meno in 7 ore ce la si fa. Con macchine migliori della mia si può riuscire anche in 5 ore. Stiamo infatti cercando un’azienda che ci aiuti a stampare anche solo la parte morbida della maschera. Sarebbe un grande aiuto. Per ora siamo organizzati così: io, che sono in Sicilia, stampo la mascherina. Il FabLab del mio paese, Stampa 3D Sicilia, di Alessio Lo Scrudato, mi sta aiutando stampando i filtri. Poi spedisco a William in provincia di Bergamo. William è riuscito a recuperare parte del materiale filtrante, quindi ritaglia il materiale per comporre i filtri. Cuce anche la maschera e applica il nasello in alluminio. Poi consegna. Di supporto a William siamo io e il FabLab dalla Sicilia, Carlo Masgoutiere, della start-up Arche 3D di Mantova. E si sta unendo un ragazzo torinese.

Avete già spedito le prime maschere?

Abbiamo consegnato finora 20 maschere, altre 40 sono in produzione, ma le richieste sono tante e non riusciamo a farvi fronte da soli. Io spero che arrivi qualcuno a dirmi che hanno trovato una soluzione migliore per fare più in fretta, ma purtroppo non è ancora arrivata. Lavoriamo nella consapevolezza che ogni maschera non stampata è un sanitario non protetto e questo non ci fa stare bene. Io per via del momento ho anche perso il lavoro in pronto soccorso. La mia unità è stata riassegnata e mi è stato offerto un’altra mansione. Continuando a sperare che la situazione in Sicilia non si aggravi, finché devo restare a casa, continuerò a stampare. Questo è ciò che posso fare da qui.

La reperibilità dei materiali potrebbe essere un problema?

Per ora l’unico fornitore che ci ha permesso di andare avanti con la stampa è il laboratorio 4DoItaly di Stefano Ala, con sede a Torino. I materiali sono fatti appositamente per questo utilizzo e l’azienda ce li sta fornendo a prezzo di costo. Ad esempio, il materiale interno della maschera è un materiale flessibile, idoneo al contatto con la pelle. Così sei sicuro che indossandola non ti irriti. È sostanzialmente il materiale utilizzato per le protesi ortopediche e per i plantari. Essendo di produzione italiana il materiale non è di difficile reperibilità. Altro discorso vale per il materiale filtrante. Si chiama TNT, tessuto non tessuto, e deve essere omologato per poter essere utilizzato come protezione. Al momento in Italia sono pochissime le aziende che lo producono e ne stanno facendo delle mascherine chirurgiche. Altre, convertendo la produzione, si stanno organizzando per riuscire a farlo.

Avete pensato ad una raccolta fondi?

Sto aspettando di avere feedback dai sanitari che stanno utilizzando la mascherina per capire se andare avanti. Se giudicata idonea, penseremo ad un crowdfunding per aumentare la produzione. Io intanto avevo in mente di comprare un’altra stampante 3D l’estate prossima, ma ho deciso di anticipare l’acquisto. Il valore che può avere adesso è mille volte superiore a quello che avrebbe se comprata fra qualche mese. Così per il momento posso raddoppiare la produzione.

Perché è necessario continuare

Con il decreto Cura Italia lo Stato invita le aziende a riconvertire la produzione in deroga alle norme vigenti. Dei circa 600 prototipi di mascherine protettive presentati al Policlinico di Milano, solo 10 avevano i requisiti di sicurezza richiesti. Le aziende sono pronte a partire. Attendono solo che l’Istituto superiore di sanità dia loro il via, ma, come emerso dall’inchiesta della giornalista Milena Gabanelli per il Corriere della Sera, per ora non è arrivato. Nel frattempo, i nostri operatori sanitari continuano a lavorare in condizioni di emergenza e grazie al lavoro di volontari esperti nella stampa 3D si può offrire loro un’alternativa.

Il team che ha realizzato COVIDMASK.
di Elza Coculo

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Elza Coculo, 30 anni, di adozione romana. Lettrice appassionata con formazione in Studi italiani. Laureata in Editoria e Scrittura. Redattrice per Il Digitale. Amo scrivere di attualità e cultura eco-sostenibile.
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