Coronavirus, la silenziosa strage delle case di riposo

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Gli eventi contemporanei relativi al coronavirus stanno interessando il mondo intero. Più di 170 paesi su 193 hanno almeno un caso di Covid-19. Tra le regioni italiane, attualmente le più colpite sono quelle del nord ma non è detto che questa situazione non possa mutare. La cosa che però colpisce e che, a dispetto del campanilismo tipico italiano, unisce tutta la penisola è l’emergenza Covid-19 per le case di riposo. In Veneto il presidente della Regione Luca Zaia, ha detto in una sua intervista a Sky Tg24 che questo virus “purtroppo sarà ricordato come il virus delle case di riposo”. Secondo Ivan Pedretti, segretario generale di Spi-Cgil, il sindacato pensionati italiani, uno dei problemi principali è che le case di riposo non sono considerate a tutti gli effetti come delle strutture sanitarie e per questo motivo i dispositivi di protezione individuale sono stati forniti in ritardo al personale che vi lavora. Una delle possibili vie del contagio infatti, è proprio quella dell’avvicendamento dei turni dal momento che già da più di 2 settimane le visite agli ospiti delle case di riposo sono state interrotte.

Le misure di isolamento adottate in ritardo

Ci sono persone che non vedono i loro cari da oltre un mese, alcuni dal 26 febbraio ma si tratta di un sacrificio che in maniera consapevole si accetta perché si è capito che è necessario proteggere questa fascia debole della popolazione. I casi più eclatanti si sono verificati in Piemonte, a Borgaro Torinese, in Lombardia, nella casa di riposo di Mombretto di Mediglia dove in una sola struttura ci sono stati 44 decessi e nel Lazio, a Nerola, Fiuggi, Frosinone e Veroli. A Morimondo in provincia di Milano i dipendenti della casa di riposo hanno deciso, con un gesto di alto valore affettivo prima ancora che eroico, di non uscire più dalla casa di riposo per evitare di introdurre l’agente patogeno SARS-Cov-2 che poi porta alla malattia da Covid-19. Leggi anche: Coronavirus, i veterinari: “Abbracciate i vostri animali, sono un conforto”

L’eroismo inconsapevole dei lavoratori

Anche in Sicilia a Messina, alcuni dipendenti hanno scelto di curare gli ospiti fino all’ultimo anche se si tratta di persone già contagiate. In particolare hanno ribadito anche ai microfoni del tg1 che si tratta di persone e non di numeri e che anche contribuire a salvare la vita di una persona ultranovantenne è un loro dovere. Negli ultimi giorni si è discusso molto di come gli Stati Uniti e in parte anche la Spagna, stiano razionalizzando l’accesso alle terapie intensive per evitarne la congestione ed il conseguente collasso. Uno dei criteri preferiti è quello di tutelare la parte della popolazione più giovane cercando di offrire a questa fascia d’età maggiori cure nel caso del sovrapporsi delle necessità. Per questi lavoratori, che spesso non sono infermieri ma operatori socio sanitari, oppure anche infermieri relegati ad un ruolo meno gratificante dal punto di vista economico, la priorità non è salvare chi ha più valore sociale ma assistere tutti e contribuire a salvare tutti indipendentemente dall’età o dalle condizioni fisiche. Questo ovviamente nell’ottica e nel rispetto della storia e dell’identità del sistema sanitario italiano e dei principi ispiratori di Henry Dunant, l’elvetico fondatore della Croce Rossa.

Nord e Sud, due modelli sociali ma stesso valore della vita

Da questo punto di vista le regioni del sud hanno una minore esposizione al problema del contagio nelle case di riposo in quanto su una cifra di circa mezzo milione di anziani ospitati nelle case di riposo in Italia, più del 70% è concentrato nelle regioni meridionali e in particolare in Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia-Romagna. Nelle regioni meridionali, per cultura, per usanza o necessità, la maggior parte degli anziani resta a vivere in famiglia a meno che non abbia necessità di assistenza specializzata e continua. Per la verità, dal punto di vista sociale si può affermare che nelle regioni centro meridionali, laddove non è possibile assistere in famiglia un anziano e in assenza di patologie particolari, spesso si affida la cura degli anziani a membri della famiglia o a badanti, talvolta provenienti anche da paesi dell’est Europa.

Misure più tempestive, una lezione per il futuro

Infermieri e operati della casa di riposo di Morimondo si autoisolano per tutelare gli aziani.
Queste differenze più sociali che affettive, rendono comunque non meno tristi i fatti e confermano la tesi del Presidente Zaia, questo virus sta facendo strage nelle case di riposo. Tutti ci auguriamo che quelle strutture adibite all’assistenza degli anziani che non hanno ancora ospiti positivi al Covid-19, abbiano adottato le stesse scelte delle dipendenti della casa di riposo di Morimondo. Probabilmente non sono eroi e non sta a noi cercare aggettivi per rendere tali persone normali. Possiamo solo riconoscere che hanno amore per il loro lavoro ed esprimere loro tutta la gratitudine sociale e dell’intera nazione auspicando che il buon senso la faccia da padrone e che la tempesta lasci al più presto spazio al sereno. Leggi anche: Coronavirus, esiste una dieta per contrastarlo di Domenico Di Sarno

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