Perché nel 2024 è ancora così difficile parlare di diritto all’aborto?

Nell'Italia post-Medioevo parlare di diritto all'aborto è ancora molto difficile, se non impossibile in alcuni casi. Ma qual è la ragione di una tale repulsione?

Melissa Matiddi
Melissa Matiddi
Esperta in comunicazione e digital marketing, studia lo yoga e le discipline orientali. Ama creare, leggere e viaggiare. Silenziosa ma rumorosa, è sempre pronta a varcare nuovi orizzonti.
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Il diritto all’aborto nel 2024 è ancora un bel miraggio.

Parlare di aborto è ed è stato per decenni un tabù, un argomento da nascondere, un fatto vergognoso di cui nessuna donna dovrebbe mai macchiarsi l’esistenza.

Se solo qualcuna, in quest’epoca o in quella passata, osasse dichiararsi a favore dell’interruzione di gravidanza, verrebbe tacciata di egoismo, oscurantismo e individualismo nei confronti di una vita, o per dirla in termini medici di un feto.

Ma perché nel 2024 la sola menzione a questa pratica causa ancora l’orticaria e il voltastomaco? La possibilità di una donna di scegliere sul proprio corpo non dovrebbe essere un sacrosanto diritto, peraltro tutelato e supportato dallo Stato?

Diritto all’aborto: perché lo Stato vuole convincere le donne a non abortire

Quattordici anni fa ho scelto di abortire.

Era importante dirlo ad alta voce, in parlamento, perché nessuna donna nella stessa situazione si debba vergognare.

Il discorso di Gilda Sportiello, deputata del Movimento 5 Stelle, contro la proposta di emendamento del Governo riguardante la presenza dei movimenti pro-vita nei consultori, ha suscitato molte, troppe polemiche.

Tra chi le ha consigliato un “giro di camomilla” come il deputato Manlio Messina di FdI e chi, alla fine del suo intervento, le ha urlato “e ce lo vieni a raccontare in aula?”, la Sportiello è stata in grado di sollevare il perno di una questione che ormai va a braccetto con l’aborto: la vergogna.

Quella stessa celata e prodotta dallo Stato, dalle associazioni pro-vita e in generale da chiunque subisca l’indigestione di questo tema, nei confronti del pensiero di un bambino mai nato.

L’aborto o peggio ancora il diritto all’aborto, espressione che sottintende la possibilità di esercitare la propria volontà, è paragonabile alla somma algebrica di due monomi interconnessi tra loro: il turbamento interiore e il senso di colpa. Capaci di generare non solo ripensamento e condizione di profondo malessere, ma anche di influenzare la decisione di una donna in un momento tanto delicato quanto intimo.

Le pressioni contro le donne minano la facoltà delle stesse di decidere. Convincerle a non abortire significa avere potere sulle loro vite, significa controllarle e questo lo Stato lo sa benissimo.

Chi difende il diritto di decidere delle donne?

Mentre le donne francesi festeggiano sotto la Torre Eiffel la libertà di scelta, inserendo nella Costituzione il diritto all’interruzione di gravidanza, in Italia, la Meloni continua a stare con il piede in due scarpe.

Se da un lato il Presidente del Consiglio ha assicurato che non intende abolire la 194, dall’altro, ha precisato che eventuali modifiche a tale legge verranno applicate integralmente.

Vogliamo dare alle donne che pensano che l’aborto sia l’unica scelta che hanno il diritto di fare una scelta diversa.

Non voglio abolire la 194, non voglio modificarla, ma applicarla integralmente anche nella parte che riguarda la prevenzione.

Il che significa aggiungere diritti non toglierli.

Queste le parole della Premier durante un comizio elettorale a Genova.

Essere costrette ad ascoltare il battito di un feto rientra forse in un diritto o in qualche forma di violenza?

Eppure, come sostengono Elisabetta Piccolotti ed Eleonora Evi dell’alleanza Verdi-Sinistra Italiana, in Umbria, si sono verificati degli episodi per cui le donne, in procinto di interrompere lo stato di gravidanza, siano state invogliate a prestare attenzione alla frequenza cardiaca esercitata dal feto.

Forse, come dice la Meloni, si vuole dare alle donne il diritto di fare una scelta diversa? Però più che una scelta diversa sembra si tratti di un pretesto ordito per impedire la propria autonomia e per destabilizzare l’esercizio di rivendicare una decisione su se stesse.

Diritto all’aborto: perché gli uomini ne sono ossessionati?

Da sempre gli uomini mettono bocca sul diritto all’aborto esercitato dalle donne.

Ieri c’era Trump con il divieto di abortire, oggi c’è Vespa con il carroccio di ospiti in grado di elargire sentenze nei confronti di chi sceglie di interrompere una gravidanza, domani ci sarà qualcun altro a presenziare sul palco dell’ignoranza pluralistica.

Ogni uomo si sente in dovere di comunicare il suo punto di vista sulla questione aborto.

Sarà forse perché ad un certo punto della loro vita, risvegliati dalla quantità di estrogeni nel corpo, riescono a percepire cosa significhi gravidanza? O forse, al contrario, non possedendo gli ormoni in grado di portare avanti lo stato interessante, si sentono sopraffatti e invidiosi nei confronti di chi invece potrebbe? Della serie “chi ha i denti non ha il pane e chi ha il pane non ha i denti”?

La risposta resta un mistero, quello che è certo è che in questo modo, oltre ad ostacolare un diritto, si costringono le donne, lasciate da sole, a ricorrere soluzioni non proprio legali o peggio ancora fai da te.

Difendere la decisione di una donna non dovrebbe essere la priorità di uno Stato?

Leggi anche: Si parla di aborto da Vespa, ma in studio solo uomini: violato codice etico? La risposta di Porta a Porta

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