CPR, i luoghi senza via d’uscita che imprigionano i migranti

Cosa sono i CPR e cosa succede al loro interno? Perché stampa e società civile non vi possono entrare? Ecco cosa nascondono le mura che imprigionano i migranti.

Cecilia Capanna
Cecilia Capanna
Appassionata di temi globali, di ambiente e di diritti umani, madre di tre figli del cui futuro sente un grande senso di responsabilità
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I CPR, i centri che ospitano i migranti in attesa di essere rimpatriati, sono luoghi da anni discussi e controversi, buchi neri che inghiottono persone innocenti i cui i diritti umani fondamentali vengono violati. Ci si chiede il perché entrare nei CPR sia difficilissimo ai non addetti ai lavori, inclusi addirittura gli stessi parlamentari, e in questi giorni addirittura impossibile.

Era previsto per il 15 settembre l’ingresso in contemporanea in alcuni CPR italiani da parte di un gruppo di giornalisti e di rappresentanti della società civile ma purtroppo le rispettive Prefetture hanno negato loro il permesso di entrare, quando le loro domande non sono state totalmente ignorate.

La motivazione dei dinieghi è il rischio Covid, in un momento in cui i contagi sono contenuti e con la disponibilità di chi vorrebbe accedere ad esibire il Green Pass e a rispettare tutte le norme di sicurezza. Una cosa è certa: se anche fosse stato possibile entrare non si sarebbero potute fare foto e video. Questo ha sollevato ancora più sospetti su cosa nascondono le mura dei CPR e cosa accade realmente alle persone che sono intrappolate al loro interno.

Cosa sono i CPR

L’Acronimo CPR sta per Centri di Permanenza per i Rimpatri, si tratta di luoghi in cui i migranti che non hanno avuto modo di regolarizzare la loro situazione vengono trattenuti in attesa del rimpatrio. In teoria queste persone devono e possono restare nei CPR al massimo 90 giorni, con una proroga di altri 30 in caso la persona sia cittadina di un Paese con cui l’Italia ha sottoscritto accordi in materia di rimpatri. In pratica invece vengono rimpatriate solo il 10-15% delle persone e le altre restano chiuse in attesa di sapere quale altro triste destino le aspetta.

Di fatto gli “ospiti” dei CPR sono letteralmente privati della loro libertà e non hanno accesso a cure adeguate. Vengono spesso maltrattati e si vedono sequestrare o rompere i cellulari per impedire che vengano diffuse immagini dei centri. I tentativi di suicidio, purtroppo a volte riusciti, sono all’ordine del giorno.

E pensare che CPR in inglese è l’acronimo che sta per “Cardiopulmonary Resuscitation”, ovvero il massaggio cardiaco alternato alla respirazione bocca a bocca, la manovra che resuscita, che cambia il corso della vita salvandola. Sarebbe bello pensare ai CPR in quest’ottica, come luoghi in cui la persona migrante trova finalmente come indirizzare nuovamente la propria esistenza disperata.

Invece, sebbene la legge reciti che “in tali strutture lo straniero deve essere trattenuto con modalità tali da assicurare la necessaria assistenza ed il pieno rispetto della sua dignità”, CPR sembra corrispondere di più all’acronimo militare che stava per Camera di Punizione e Rigore, l’apposito locale in cui i militari venivano puniti con la reclusione giorno e notte, sorvegliati a vista. Con la differenza che in quel caso si trattava di detenuti rei di aver commesso qualche errore, nel nostro le persone imprigionate sono tutte innocenti. Cosa succederà con la prevista nuova ondata di profughi in fuga dall’Afghanistan?

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La situazione drammatica del CPR di via Corelli a Milano

Una situazione allarmante dunque quella dei CPR, in particolare di quello di Milano, tristemente documentata nel report dal titolo “Delle pene senza delitti” sulle condizioni dei migranti in stallo all’interno del CPR di Via Corelli. I senatori Gregorio De Falco e Simona Nocerino il 5 e 6 giugno 2021 sono riusciti ad entrare in questa struttura e hanno potuto vedere con i loro occhi in che condizioni vivono le persone al suo interno, “custodite” dallo Stato italiano. Il report si apre con questa frase:

Quando tra carenze di gestione, problemi strutturali, scaricabarili e politiche insensate, sono i diritti
fondamentali e la dignità della persona a pagare il prezzo dell’accettazione sociale della detenzione
amministrativa e della deportazione di esseri umani in ragione della loro provenienza geografica.

il CPR di Milano, definito “non idoneo ad ospitare degli esseri umani”, è un chiaro esempio di cosa significhi detenzione amministrativa in questa città:

Sguardi vuoti, voci impastate da psicofarmaci, corpi martoriati, disperazione, incomprensione, senso di abbandono e altre ferite, quelle dell’anima, che non guariscono più. E’ questa la fotografia del CPR Corelli di Milano, una ferita nel cuore di una città che si dice accogliente, mentre nasconde tutti i giorni un museo degli orrori vivo e palpitante, pur se privo di voce.

La conferenza stampa alla Camera dei Deputati per entrare nei CPR

Lo scorso 7 settembre presso la Camera dei Deputati si è tenuta una Conferenza Stampa proprio in merito all’urgenza di fare luce su cosa accade all’interno delle mura dei CPR in generale, di quello di Via Corelli a Milano in particolare.

Sono intervenute le deputate Doriana Sarli (Gruppo Misto) e Yana Chiara Ehm (Gruppo Misto), la senatrice Paola Nugnes (LeU), il senatore Gregorio De Falco (Gruppo Misto) e Stefano Galieni, giornalista di Left e responsabile informazione del Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea. A dispetto del ristretto numero di partecipanti in presenza per via delle norme di sicurezza Covid, c’è stata grande partecipazione online soprattutto di giornalisti e società civile, in particolare dei membri della rete Mediattiviste/i.

La Conferenza Stampa, promossa da De Falco e Nocerino e da membri dell’attivissima rete “Mai più lager- No ai CPR” ha evidenziato il fatto che i CPR “sono luoghi costosissimi, inutili e inefficienti. Dimostrano il fallimento di un sistema che affronta da tempo la questione migratoria con una logica emergenziale, del tutto priva di una visione strutturale”.

Stefano Galieni in particolare ha raccontato le difficoltà che stampa e società civile hanno incontrato per entrare nei CPR e documentare cosa accade al loro interno, da cui è nata la Campagna LasciateCIEntrare e l’invito ad aderire all’iniziativa:

Invito tutte le colleghe ed i colleghi ad aderire alla nostra iniziativaLa circolare di Maroni all’inizio aveva destato molta indignazione. Anche l’ordine dei Giornalisti aveva protestato ed è nata da qui la Campagna LasciateCIEntrare. Un po’ alla volta però, l’interesse è scemato. Un silenzio che ha coperto anche i morti, più di una trentina, i tantissimi atti di autolesionismo ed anche tanti tentativi di suicidio. Adesso è il momento di sollevare la pietra tombale su queste carceri in cui vengono rinchiuse persone che, ricordiamolo, non hanno commesso nessun reato”.

Il sit-in di Pressenza davanti alla Prefettura di Milano

Photo credits Andrea Mancuso

All’inizio dell’estate l’agenzia di stampa “Pressenza” aveva lanciato un appello a giornalisti e società civile invitandoli ad entrare nei CPR di diverse città il 15 settembre scorso. Le Prefetture a cui stampa e attivisti hanno chiesto i permessi non hanno concesso loro di entrare. Delle molte domande fatte, la maggior parte sono rimaste senza risposta e “il rischio Covid non lo permette” è stata la scusa ufficiale utilizzata per far fallire l’iniziativa che avrebbe dato un forte segnale alle istituzioni accendendo i riflettori sulla situazione drammatica dei CPR.

Questo ha aumentato l’indignazione e il dissenso da parte di professionisti che chiedono di fare il proprio lavoro: documentare, dire la verità. Per questo lo stesso 15 settembre davanti alla Prefettura di Milano è stato organizzato un improvviso sit-in in protesta per l’accaduto. Visti i risultati dopo l’invio delle domande disattese via PEC, la richiesta di entrare a via Corelli stavolta è stata fatta con il megafono, impossibile che non sia stata sentita dalle finestre del palazzo di Corso Monforte. Al termine del presidio, la testimonianza di una ex dipendente del CPR di Via Corelli ha ulteriormente squarciato il silenzio che grava su questa realtà volontariamente dimenticata.

I centri per migranti nel mondo, la vergogna dell’umanità

Purtroppo in tutto il mondo i centri preposti alla gestione dei migranti, inclusi quelli di accoglienza, sono nella stragrande maggioranza dei casi delle vere e proprie prigioni, dei lager.

Le condizioni di vita dei migranti sono orribili a partire dai campi profughi in Grecia, a Moria a Lesbo o nei Balcani al confine tra Bosnia e Croazia, o al confine tra Francia e Gran Bretagna, prima del tunnel sottomarino che collega i due paesi, passando per i centri di accoglienza europei – come i CPR italiani di cui abbiamo parlato – o i centri per il rimpatrio americani al confine con il Messico in cui i bambini vengono separati dalle loro famiglie, fino ad arrivare ai centri di detenzione in Libia, dove migrare è apertamente un reato.

Così via in tutto il mondo: recinzioni, muri, filo spinato, sbarre, tende, fango, freddo, celle gelide o squallidi stanzoni, le persone vengono cancellate, dimenticate, non hanno più un nome, non hanno più una vita. Sembra incredibile che dopo più di 70 anni dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani questi orrori siano una realtà soprattutto quando si tratta di paesi cosiddetti civili in cui la democrazia viene sbandierata.

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