Coronavirus, lo studio americano: “Il clima non sta rallentando il virus”

Elza Coculo
Elza Coculo
Elza Coculo, 30 anni, di adozione romana. Lettrice appassionata con formazione in Studi italiani. Laureata in Editoria e Scrittura. Redattrice per Il Digitale. Amo scrivere di attualità e cultura eco-sostenibile.
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L’ipotesi che l’arrivo del caldo estivo possa mitigare la diffusione del virus è smentita da un recente studio americano dell’Università di Princeton pubblicato sulla rivista Science. Secondo lo studio, dato l’elevato numero di persone ancora vulnerabili al Covid, e la velocità di diffusione del virus, è improbabile che l’aumento della temperatura possa giocare un ruolo determinante. Non in questa prima fase almeno. Dice l’autrice dello studio, Rachel Baker:

Prevediamo che climi più caldi o più umidi non rallenteranno il virus, almeno nella fase iniziale della pandemia. In generale, poiché c’è ancora una larga fetta di popolazione vulnerabile, il virus si diffonderà rapidamente, indipendentemente dalle condizioni climatiche.

Covid potrebbe diventare un virus invernale

A giudicare dalla diffusione del coronavirus nelle nazioni dei tropici e dell’emisfero australe, dove il Covid è arrivato proprio nella stagione estiva, sembra che il clima non riesca a regolare l’infezione. L’esperienza con gli altri virus suggerisce, anzi, che Covid potrebbe stabilizzarsi per trasformarsi in un virus invernale. Dice Bryan Grenfell, coautore dello studio:

Il virus probabilmente diventerà sensibile ai cambiamenti stagionali solo dopo la riduzione del numero ‘ospiti’ vulnerabili. Se, come sembra probabile, il nuovo coronavirus è allo stesso modo stagionale, potremmo aspettarci che si stabilizzi per diventare un virus invernale man mano che diventa endemico nella popolazione.

Molti fattori concorrono alla diffusione del virus e ciò limita le capacità di una previsione, ma è chiaro che in questo momento il virus non sta retrocedendo. Leggi anche: Vespignani: “Abbiamo strangolato il virus, siamo in grado di cambiare la traiettoria dell’epidemia”

L’immunità nella popolazione

I ricercatori hanno eseguito delle simulazioni su come la pandemia reagirebbe ai diversi climi del mondo, ipotizzando tre scenari possibili. Nel primo il nuovo virus ha la stessa sensibilità climatica dell’influenza, nel secondo e nel terzo scenario al Covid è attribuito lo stesso comportamento dei coronavirus del raffreddore, OC43 e HKU1. In tutti e tre gli scenari, il fattore clima si è dimostrato rilevante solo quando un’ampia fetta della popolazione è diventata resistente o immune al virus. Conclude Rachel Baker:

Più aumenta l’immunità nella popolazione, più ci aspettiamo che aumenti la sensibilità del patogeno al clima.

Servono altri studi

Nei prossimi mesi non sarà il clima a determinare l’andamento dell’epidemia, bensì saranno determinanti le misure di contenimento studiate dai governi e il comportamento della popolazione. Ma la diffusione dipende anche da elementi ancora incerti, come la durata dell’immunità al virus dopo l’infezione. Grenfell guarda altrove e aggiunge:

Con lo sviluppo della conoscenza della risposta immunitaria, speriamo di essere in grado di prevedere gli effetti della stagionalità in modo più accurato.

Leggi anche: Coronavirus, le cellule umane hackerano il virus per impedirne la riproduzione di Elza Coculo

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Elza Coculo, 30 anni, di adozione romana. Lettrice appassionata con formazione in Studi italiani. Laureata in Editoria e Scrittura. Redattrice per Il Digitale. Amo scrivere di attualità e cultura eco-sostenibile.
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