Coronavirus, ecco l’esperimento cinese da cui può essere nato

Aldo Torchiaro
Aldo Torchiaro
Aldo Torchiaro, giornalista da quando si usavano le macchine da scrivere, si occupa oggi di innovazione digitale, nuovi media, e-democracy.
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Conoscere il coronavirus. Isolarlo, studiarne la provenienza e lo sviluppo. L’Italia è alla testa della comunità scientifica mondiale da quando, ieri, i medici dell’ospedale Spallanzani di Roma hanno isolato il coronavirus. L’annuncio da parte del ministro della Salute, Roberto Speranza, ha teso a sottolineare che la scoperta, funzionale al futuro sviluppo di un vaccino, “verrà messa a disposizione” della scienza internazionale. Un autentico primato italiano: a meno di 48 ore dalla diagnosi di positività per i primi due pazienti, i virologi dello Spallanzani sono riusciti a isolare il virus. Per l’elaborazione di un vaccino efficace bisognerà attendere ancora settimane, ma la lotta allo spietato killer è dichiarata, e parte dai laboratori clinici di Roma. Da quali laboratori invece sia partita l’infezione, rimane un mistero.

Coronavirus, come agisce e come si è diffuso

Erano i primi giorni di gennaio quando hanno iniziato a risuonare le prime voci relative ai casi di polmonite mortale in Cina. Le somiglianze tra l’agente patogeno Wuhan novel Coronavirus, nCoV, e il virus responsabile dell’epidemia nota come il nome di Sars, scoppiata nel 2002 a Hong Kong, sono apparse da subito evidenti: medesimi sintomi, stesso decorso della malattia, identica correlazione con un mercato di animali vivi. Se allora ci sono voluti mesi prima di identificare la causa dell’epidemia, adesso la Cina ha impiegato otto giorni per dare un nome al virus e a delineare la sequenza genetica. Le autorità sanitarie hanno confermato che nCoV è un coronavirus correlato strettamente al virus Sars. Ma rimane ancora il più fitto mistero sull’origine e le cause di questo ceppo, così pervicace. In natura esistono tanti tipi di coronavirus in molte specie di mammiferi ed uccelli. La letteratura scientifica annovera cinquanta virus appartenenti allo stesso cluster di Sars e coronavirus. Una classe virale che può essere veicolata dai pipistrelli rinolofi, ma rimane solitamente inoffensiva per l’uomo. Un dettaglio che spinge a credere che il passaggio diretto da pipistrello a persona non basta a scatenare l’epidemia. Il fatto che il coronavirus cinese di Wuhan somigli a un virus di pipistrello ma che, al contrario della maggior parte di questi, sia in grado di infettare l’uomo, sarebbe indice di uno sviluppo più elaborato: una transizione intermedia da parte di altri mammiferi. È solo al verificarsi di questa condizione, infatti, che il virus può essersi trasformato favorendo il passaggio all’uomo. È già successo venti anni fa quando un virus, forse originato dai pipistrelli, si adattò ai dromedari e successivamente alle persone causando nella penisola arabica l’epidemia di Mers nel 2012. Leggi anche: CORONAVIRUS ISOLATO DA UNA SQUADRA DI RICERCATRICI ITALIANE

Un esperimento tenuto segreto

I risultati di uno studio sulla possibilità di replicare in laboratorio un bezoar di origine animale.
Si sono rincorse voci riguardanti un esperimento di laboratorio finito male, o addirittura un tentativo di contaminazione batterica di una potenza ostile alla Cina. Il direttore del TgCom24 di Mediaset, Paolo Liguori, si è detto certo che il contagio è un esperimento batteriologico militare scappato di mano ai suoi esecutori. Rumors privi di riscontro e fantasiose tesi del complotto. Sgomberato il campo dalla fiction, un lusso che non ci si può permettere quando la salute pubblica è in pericolo e la scienza deve fare il suo lavoro, ai Media Analyst va un compito delicato. Quello di verificare quanto esiste di più prossimo, dal punto di vista delle pubblicazioni di ricerca scientifica, ad un area di massima allerta che definiremmo coronavirus-close. La redazione de IlDigitale.it è entrata in possesso di un documento, accessibile dal setaccio di fonti aperte, custodito nel deep web. Si tratta di un articolo scientifico di sei mesi fa, edito dall’Università di Wuhan in cinese e tradotto in inglese. Parla del successo di un esperimento ritenuto complesso e sensibile, tenuto riservato fino a quel momento e dal grande controvalore economico.

Il tentativo di riprodurre in laboratorio il bezoar potrebbe essere sfuggito di mano

L’articolo, dal titolo “Succesful Bezoar Culture in Wuhan”, fa riferimento ad un progetto riservato della Tongji University di Wuhan dove si sarebbe riusciti a riprodurre in laboratorio una concrezione, il bezoar, che si forma nelle mucche, nelle pecore, nelle capre come risposta alla presenza di calcoli all’interno del sistema biliare, la cosiddetta colelitiasi. Un tessuto organico derivante da una reazione interna all’apparato digerente dei ruminanti che la medicina tradizionale cinese valorizza da secoli come panacea per diversi mali, inclusi i problemi polmonari e nello specifico la cura del catarro. Il bezoar è l’elemento di base per la preparazione del “An gong Niuhuang Wan”, il più importante rimedio tradizionale cinese, esportato in oltre venti nazioni. Solo l’1% del bestiame adulto soffre di colelitiasi, ed è difficilissimo estrarre il bezoar. Che in effetti ha raggiunto, sul mercato, quotazioni superiori a quelle dell’oro. Il succinto articolo della Tongji University non dice molto di più, ma celebra solennemente il buon esito della riproduzione artificiale della sostanza: “Siamo riusciti a ricrearla in laboratorio”, si limitano a dire. Leggi anche: BILL GATES: 10 MILIONI DI DOLLARI PER COMBATTERE IL CORONAVIRUS

Si tratta solo di ipotesi?

Siamo nel campo delle ipotesi aperte. Non possiamo trarre conclusioni, ma sappiamo che proprio a Wuhan l’università stava sperimentando pochi mesi fa su alcuni mammiferi – un driver essenziale per il passaggio del virus all’uomo – l’inoculazione di sostanze correlate con l’intestino per un verso e con i polmoni dall’altro: le due aree colpite dal coronavirus. Gli studiosi cinesi avranno fatto tutto da soli? Lo scorso 28 gennaio all’Università di Harvard agenti del FBI hanno arrestato Charles Lieber, il più noto biochimico dell’ateneo del Massachusetts, con l’accusa di spionaggio industriale in favore della Wuhan University of Technology, un altro istituto di ricerca – a pochi chilometri dalla Tongji – che gli avrebbe fatto avere un pagamento di 15 milioni di dollari per i servizi resi. I contorni dell’inchiesta sono stati subito secretati. La ricerca della verità sul coronavirus prosegue. di Aldo Torchiaro

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