Coronavirus, arrivano le app per combatterlo, ma la privacy?

Domenico Di Sarno
Domenico Di Sarno
Informatico e politologo laureato con Lode. amante dei libri di ogni genere perché fortemente convinto che la cultura sia come il cibo, ne serve ogni giorno per nutrire la mente. Appassionato di storia e diritto costituzionale.
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Il 9 marzo 2020 è una data che è ormai entrata in modo prorompente e preponderante nella storia del nostro paese e nell’immaginario collettivo di tutti coloro che possono dire “io c’ero”. La storia così come la conosciamo non è fatta di rotture traumatiche tuttavia dobbiamo considerare che gli eventi, a volte, sono traumatici. Il 9 marzo del 2020 è la data in cui il Governo italiano ha adottato le misure di contenimento per prevenire il contagio da Sars-cov-2 e quindi per contenere l’infezione derivata ossia covid-19. Da quel momento i vari governi, con quello italiano in testa, hanno cercato di trovare le soluzioni per contenere il più possibile il contagio. Se sul piano europeo l’Italia ha fatto, suo malgrado, da apripista, dal punto di vista globale siamo stati il terzo paese ad essere interessato dalla problematica del coronavirus.

Il modello del sud est asiatico

Più volte gli esperti hanno ipotizzato di dover seguire il modello coreano o, finanche il modello cinese. Quello che accade in Cina e in Corea del Sud è che si cerca di utilizzare la tecnologia, in particolar modo la tecnologia legata agli smartphone, per poter prevenire il contagio. L’idea è che tutti, su base volontaria, possano scaricare sul proprio smartphone un’applicazione che traccia tutti i loro movimenti. In questo modo se una persona si avvicina a una o più persone infette riceve una notifica sul proprio dispositivo mobile. Tale notifica non rivela l’identità della persona affetta da covid-19 ma permette a chi è vicino di prendere le dovute distanze. Un altro scopo che questa applicazione realizza è quello di tenere traccia dei movimenti delle persone che al momento non risultano positive ma potrebbero esserlo inseguito. Leggi anche: Il 5G causa il coronavirus?

Allontanarsi dai contagiati e di ricostruire gli spostamenti

Se infatti una persona che ha scaricato l’applicazione dovesse ammalarsi oppure risultasse portatrice sana del virus, le autorità sanitarie potrebbero, grazie alle informazioni memorizzate tramite l’applicazione e trasmesse dallo smartphone, ricostruire tutti i movimenti e i contatti di questa persona. In definitiva potrebbero arrivare addirittura a capire quali e chi sono state le persone che sono state vicine ad una distanza considerata di rischio. Non solo. Sarebbe inoltre possibile capire anche quando sono avvenuti tali contatti o tali avvicinamenti. L’ipotesi di poter utilizzare un’applicazione per monitorare gli spostamenti fa discutere molto sia in Italia che in Europa. Il problema che si pone non è tanto quello di stabilire e quindi ricostruire gli spostamenti degli ultimi 14 giorni di chi risulta positivo al tampone, piuttosto quello di capire dal punto di vista etico e deontologico, se sia giusto o meno acquisire i dati di tutti.

Le differenze sociali tra l’occidente e la Cina

In Cina la cosa non ha suscitato molte perplessità ma nei paesi occidentali come quelli dell’Europa e degli Stati Uniti, una misura del genere comporterebbe dei rischi e delle rimostranze mosse da cittadini e associazioni. Il problema è che la Cina è un gigante economico senza Costituzione. In altre parole non esistono garanzie costituzionali delle libertà fondamentali e, laddove fossero previste, sarebbero facilmente aggirabili. La costituzione italiana nella sua accezione teleologica garantisce i diritti fondamentali e in particolare riconosce la libertà di pensiero, di spostamento a meno di motivi sanitari, di culto e di corrispondenza. Anche la salute è visto come un diritto di natura costituzionale ed è riconosciuta dall’articolo 32 della Costituzione. Leggi anche: Coronavirus: andrà via con l’estate?

Salute e libertà, diritti costituzionali

Quindi nel caso italiano, il problema sarebbe terreno di scontro tra due valori costituzionalmente garantiti ossia quello alla salute e quello alla privacy nei propri spostamenti. Ovviamente non ci possono essere valori in senso assoluto maggiori della salute ma occorre considerare che l’applicazione e la garanzia delle nostre libertà hanno creato una società civile che mal sopporta l’invadenza del soggetto statale nella sfera privata. Sorge qui dunque un’altra considerazione che può tradursi in forma di domanda. Il coronavirus, potrebbe diventare lo stratagemma che gli Stati e le multinazionali stavano aspettando per appropriarsi definitivamente degli spazi dei cittadini e delle loro informazioni?

Siamo già spiati

Intendiamoci, esistono già moltissime applicazioni che in questo momento sono in esecuzione sui nostri smartphone che tracciano la nostra posizione e i nostri spostamenti. Possiamo pensare nella più semplice delle allusioni a Google Maps o a moltissime applicazioni simili che servono per “instradarci” oppure per consentirci di capire se c’è un ingorgo lungo una strada o meno. Non solo. Tutte le applicazioni ci chiedono dei permessi che noi concediamo a cuor leggero. In altre parole i proprietari dei sistemi operativi che girano sui nostri smartphone possiedono già una grandissima quantità di dati che ci riguardano. Nella fattispecie Google ed Apple che sono i maggiori fornitori di software per gli smartphone, possono potenzialmente ricostruire tutti i nostri spostamenti, capire quali sono i nostri gusti in base a ciò che ricerchiamo su Amazon, sul browser oppure alle destinazioni verso cui preferiamo andare. Il problema a questo punto sarebbe quindi quello della legittimità. In altre parole mentre quando scarichiamo un’applicazione concediamo i permessi di accesso alle nostre informazioni per usufruire esclusivamente di quel servizio, in questo caso andiamo a concedere allo stato o a chi per esso, la possibilità di accedere alle nostre informazioni per tutelare la nostra salute. Leggi anche: Maturità ed esami di terza media: tutti promossi?

I problemi giuridici

Ovviamente dal punto di vista della legittimità costituzionale tali informazioni devono essere utilizzate soltanto per lo scopo predetto. In altre parole se una volta passata l’emergenza coronavirus una persona avesse ancora sul proprio smartphone questa applicazione e questa persona commettesse un reato, le informazioni acquisite dai movimenti di questa persona attraverso l’applicazione non potrebbero essere utilizzate per fare causa a questo soggetto.

E gli analfabeti digitali?

Se possiamo mettere da parte il cruccio che riguarda la volontà di governi e multinazionali di spiarci, d’altro canto non possiamo non considerare un dato che è stato recentemente diffuso dall’Istat e cioè che in molte famiglie italiane e nella fattispecie nel mezzogiorno d’Italia, il 40% delle persone non possiede né tablet né smartphone. Questo significa che il 40% della popolazione non potrebbe essere tracciata nei propri spostamenti. Occorre poi aggiungere anche un’altra fetta di popolazione che utilizza lo smartphone ma non sarebbe in grado di utilizzare o di scaricare applicazioni che non vi siano preinstallate.

Applicazioni per fermare il covid-19, è davvero possibile?

Dunque se è vero che c’è un problema di garanzie costituzionali da affrontare soprattutto nella cultura giuridica dei paesi occidentali animata da costituzioni post moderne e contemporanee, è altrettanto vero che manca una cultura tecnologica di base oltre che i dispositivi veri e propri su cui far girare l’applicazione. L’intenzione è nobile ma occorre capire se in Italia la fattibilità di questo provvedimento sia un’opzione effettivamente realistica dal punto di vista giuridico e tecnologico. Leggi anche: Coronavirus, Boris Johnson ricoverato in ospedale   Domenico Di Sarno

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