Come saranno gli ospedali da adesso in poi? Bisogna riorganizzare tutto

Elza Coculo
Elza Coculo
Elza Coculo, 30 anni, di adozione romana. Lettrice appassionata con formazione in Studi italiani. Laureata in Editoria e Scrittura. Redattrice per Il Digitale. Amo scrivere di attualità e cultura eco-sostenibile.
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Negli ultimi mesi in Italia ospedali e ambulatori hanno sospeso le attività meno urgenti per alleggerire il carico di lavoro del personale sanitario, già sottopressione causa Covid, e per evitare rischi di contagio tra pazienti. Secondo Americo Cicchetti, direttore dell’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari dell’Università Cattolica di Roma, parliamo di un milione di ricoveri in tutta Italia. A questi si aggiungono, poi, le visite ambulatoriali, solo in parte sostituite da consulenze telefoniche o videoconferenze. Superato il momento acuto dell’emergenza, ora gli ospedali devono valutare come recuperare quelle visite, quegli interventi e quei ricoveri che sono stati rimandati nelle ultime dodici settimane. Una copiosa lista a cui si aggiungeranno gli ordinari dei prossimi mesi, appesantendo il lavoro ospedaliero in modo preoccupante.

Il sistema sanitario dovrà produrre di più

Gli investimenti sulla sanità degli ultimi mesi sono stati destinati quasi interamente all’emergenza Covid. L’aumento dei posti in terapia intensiva per abitante, di cui il Paese era carente in precedenza, è sicuramente un fattore positivo. Questi serviranno anche dopo il Covid per aiutare a smaltire più velocemente le liste di attesa per gli interventi chirurgici. Ma il settore ospedaliero denuncia grandi lacune. Il nostro è un sistema caratterizzato da continui tagli al bilancio, che significa tagli ai posti letto e al personale, che significa liste di attesa lunghe mesi per ricoveri e terapie. Spiega Francesco Longo, direttore del centro di Ricerche sulla Gestione dell’Assistenza Sanitaria e Sociale dell’Università Bocconi:

Il nostro SSN è sottofinanziato rispetto agli altri paesi europei: spendiamo circa 1.900 euro l’anno per abitante, contro i 2.500 degli inglesi o i 3.200 dei tedeschi.

  Ma chi si risolverà, concretamente, il problema dello smaltimento di visite, interventi e ricoveri? Se ne occuperanno le regioni o saranno decisioni centralizzate? La frammentazione del sistema nazionale è stata oggetto di critiche e discussioni durante l’emergenza. Dunque, un’analisi di contesto per discutere una ripartenza anche in ambito sanitario sembra doverosa, poiché in pratica, per essere realmente efficiente, il sistema ospedaliero dovrà produrre di più. Dice Longo:

Dipende anche a che livello di liste di attesa dobbiamo arrivare: cioè se si vuole tornare al livello di prima, o migliorarlo.

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Riorganizzare le strutture

Gli ospedali e gli ambulatori dovranno essere ripensati non solo nella programmazione dei servizi ma anche fisicamente. Le strutture dedicate interamente ai malati Covid dovranno essere mantenute, mentre quelle ibride dovranno gestire diversamente gli spazi per evitare che i malati infettati dal virus continuino ad andare in ospedale contagiando operatori e pazienti. Bisognerà rivedere anche i tempi, dunque scaglionare le visite per evitare assembramenti nelle sale d’attesa, allungando gli orari. Probabilmente si dovrà ridurre al minimo la presenza di accompagnatori e si dovranno prevedere rilevazioni di temperatura all’ingresso e tamponi prima dei ricoveri. Come si procederà? Vista la natura del sistema nazionale italiano, molto dipenderà dalle regioni. Verranno stabilite linee guida e obiettivi da raggiungere per i propri sistemi sanitari, lasciando poi che le aziende sanitarie e gli ospedali si organizzino per rispettarli secondo le proprie caratteristiche. Leggi anche: Inaugurato Ospedale Fiera Milano. Bertolaso: “Sono fiero di essere italiano”

Una questione sottovalutata: lo stress del personale ospedaliero

Ma c’è un altro aspetto ancora poco raccontato del post coronavirus, che riguarda da vicino il personale medico-ospedaliero. Da qualche tempo, ormai, si discute di quanti operatori sanitari potrebbero decidere di richiedere il pensionamento anticipato per via dei traumi psicologici vissuti nella fase più drammatica dell’emergenza. E il potenziale impatto di questo fenomeno su un organico già sottodimensionato come quello del sistema sanitario italiano desta una certa preoccupazione. Questo non riguarderà le regioni, bensì il sistema nazionale centrale. Servono piani di assunzione per giovani specializzandi e neo-specializzati che rinforzino l’organico sanitario. Ha detto Carlo Palermo, segretario del sindacato medico Anaao-Assomed:

Stiamo parlando di un personale che ha già dato tantissimo in questi mesi: le condizioni di lavoro sono totalmente saltate, almeno nei centri epidemici. Nel pensare le soluzioni si è scelto, sbagliando, di fare contratti usa e getta senza stabilizzazione. Il problema dovrebbe essere risolto con assunzioni più stabili, coinvolgendo gli specializzandi in modo che possano dare una mano nella fase post-COVID-19.

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Le alternative possibili

Secondo gli esperti, per rispondere alla crisi del sistema sanitario, servono investimenti selettivi e non una distribuzione a pioggia delle risorse, come già accade. Dice Francesco Longo:

Abbiamo tre prospettive, tutte difficili. La prima è di dare incentivi a ospedali pubblici e operatori pubblici per produrre di più: cioè pagare di più gli straordinari e pensare compensi basati sugli obiettivi raggiunti. Ma nel settore pubblico italiano non c’è abitudine a questo approccio: i soldi normalmente vengono distribuiti a pioggia, ma in questo contesto andrebbero dati ai reparti che fanno di più.

Altre strategie possono riguardare il settore privato, direzione intrapresa ormai da molte regioni, Lombardia in primis. Ma questo approccio ha spesso mostrato limiti e controindicazioni ed è quindi molto contestato. Oppure i due modelli, pubblico e privato, potrebbero integrarsi e coordinarsi. Dice Longo:

Il settore privato attualmente ha una produttività al 70 per cento della propria capacità: e si potrebbe portare al 100 per cento, oppure si potrebbero fare contratti perché i soggetti interamente privati dedichino per esempio metà della propria capacità produttiva al settore pubblico.

In ognuno dei tre casi, gli investimenti selettivi sono un fattore determinante, il che equivale a chiedere una trasformazione culturale del sistema sanitario italiano. di Elza Coculo

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