Ricordare la marcia su Roma perché la democrazia non sia più ostaggio delle minoranze

Il 28 ottobre del 1922 Mussolini compie la marcia su Roma: così una minoranza parlamentare ottiene in modo illegittimo il Governo della Nazione. In occasione del centenario, dobbiamo rimanere consapevoli che imparare dal passato è possibile.

Domenico Di Sarno
Domenico Di Sarno
Informatico e politologo laureato con Lode. amante dei libri di ogni genere perché fortemente convinto che la cultura sia come il cibo, ne serve ogni giorno per nutrire la mente. Appassionato di storia e diritto costituzionale.
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Il 28 ottobre di 100 anni fa Mussolini riesce a prendere il potere con un colpo di mano e una compiacenza più o meno palese delle istituzioni. È la marcia su Roma, a metà strada tra un’operazione di forza e una manifestazione di matrice eversiva, tesa a sovvertire l’ultimo equilibrio democratico del Parlamento italiano prima del ventennio fascista. Ricordarla oggi è di primaria importanza, per scongiurare e tenere lontani gli errori del passato.

Il ventennio fascista ha modificato per sempre l’essenza istituzionale della Repubblica. Il testo costituzionale che ancora oggi regola i rapporti civili, politici, economici, etico-sociali e l’ordinamento della Repubblica, è plasmato dai padri costituenti, attraverso i soprusi e le vessazioni di quegli anni. È opinione comune infatti che la Costituzione sia nata dalla Resistenza.

A esattamente 100 anni dalla marcia su Roma, ricordata come inizio dell’era fascista, l’Italia oggi svolta nuovamente a destra. Non è la prima volta che accade, piuttosto è la prima volta che si va così a destra con un così ampio consenso e alla guida di una donna. E questo è un elemento che segna la storia.

Precisiamo che questo Parlamento e questo Governo sono legittimi e democraticamente scelti dal Popolo. La democrazia però non è mai perfetta ma è l’unica forma di governo che permette, protegge e talvolta incoraggia, il contrasto a se stessa.

Se oggi siamo liberi lo dobbiamo alla Costituzione

E non esiste democrazia senza una Costituzione che la garantisce. Se oggi ci appare ovvio poter scrivere e leggere notizie di una stampa libera, senza autorizzazioni o censure, se è facile andare al bar con gli amici senza dover ingoiare l’olio di ricino e se possiamo esprimere pubblicamente un pensiero in contrasto con il governo, lo dobbiamo al modello democratico realizzato dalla Costituzione.

La situazione sociale oggi è profondamente diversa da quella di 100 anni fa, ma il ricordo è necessario perché una dittatura delle minoranze è sempre possibile. Kelsen ammetteva che “la protezione delle minoranze è la funzione essenziale delle libertà fondamentali” ma, al tempo stesso “la Democrazia, con le decisioni a maggioranza è la migliore approssimazione della libertà”.

La democrazia ha tanti limiti, ma è la migliore approssimazione della libertà e, se da un lato la Costituzione vieta espressamente un ritorno al fascismo con la XII disposizione transitoria e finale “È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”, dall’altro occorre che la democrazia sia costantemente vigile perché ogni insidia ha la libertà di provare a sovvertirla e non necessariamente una dittatura deve avere le sembianze del fascio littorio.

Imparare dal passato è la migliore strada percorribile, del resto proprio in questi giorni la senatrice a vita Liliana Segre si è espressa su quanto sia importante insistere sull’antifascismo, affinché la Shoah non sia tra cinquant’anni solo una riga sui libri di storia.

Ripercorriamo ora le tappe della Marcia su Roma per non dimenticare i processi ideologici potenzialmente lesivi della democrazia.

Leggi anche: Discorso di Liliana Segre in Senato: “Superare l’odio deve essere una responsabilità comune”

Marcia su Roma, come il consenso fascista dilaga tra le componenti dello Stato

Già dalle elezioni del 1919 si paventa un colpo di stato da parte del partito di Mussolini, il primo a rendersene conto è Francesco Saverio Nitti che, tra le altre cose, rimane sorpreso dal grande consenso che il fascismo riscuote tra i reduci della prima guerra mondiale e tra i militari. Per tutto l’anno 1922, nonostante le rassicurazioni pacifiste di Dino Grandi, fascista e collaboratore di Mussolini, i gruppi dell’estrema destra continuano a organizzarsi in squadre dividendosi nel paese in 4 zone, Nord-Occidentale, Nord-Orientale, Centro e Sud.

Le intenzioni doppiogiochiste di Mussolini

Lo stesso Mussolini nel suo discorso alla Camera dei Deputati il 19 luglio 1922 rivendica la legittimità, da parte fascista, di usare entrambe le opzioni, pur ammettendo, per ragioni di opportunità, di preferire la strada pacifista:

Il fascismo risolverà questo suo intimo tormento, dirà forse tra poco se vuole essere un partito legalitario, cioè un partito di Governo, o se vorrà invece essere un partito insurrezionale, nel qual caso non solo non potrà più far parte di una qualsiasi maggioranza di Governo.

E ancora, nella medesima occasione, aggiunge:

Io debbo, per debito di lealtà, dirvi che dei due casi che vi ho testé prospettati, preferisco il primo, e per ragioni nazionali e per ragioni umane.

Preferisco che il fascismo, che è una forza, o socialisti, che non dovete più ignorare, e non dovete nemmeno pensare di discutere, arrivi a partecipare alla vita dello Stato attraverso una saturazione legale, attraverso una preparazione alla conquista legale.

Ma è anche l’altra eventualità, che io dovevo, per obbligo di coscienza, prospettare perché ognuno di voi, nella crisi di domani, discutendo nei gruppi, preparando la soluzione della crisi, tenga conto di queste mie dichiarazioni che affido alla vostra meditazione e alla vostra coscienza.

Una parte dell’Italia non si arrende al fascismo

Durante tutta l’estate del 1922 scoppiano scontri tra fascisti e antifascisti in molte città, innanzitutto nel triangolo industriale, Genova, Milano, Torino, ma anche a Livorno e Parma, dove gli Arditi del Popolo capeggiati da Guido Picelli respingono gli squadristi. Il 24 ottobre si tiene a Napoli un congresso fascista, le stime parlano di 15 mila partecipanti, gli organizzatori di 40 mila. Fatto sta che Mussolini stesso raggiunge Napoli in treno da Milano, ma fa sosta a Roma per parlare con Antonio Salandra.

Negli ambienti parlamentari le dimissioni del Governo Facta sono considerate imminenti e i fascisti, che hanno da poco abbandonato la maggioranza, puntano a un nuovo esecutivo con 5 dicasteri. Mussolini detta a Salandra le sue condizioni per sostenere un nuovo governo. Proprio in questi giorni, il duce riceve il telegramma del famoso sociologo Vilfredo Pareto che auspica una rapida marcia su Roma:

Dite a Mussolini ora o mai più.

La libertà al bando: niente giornali in edicola

Il 24 ottobre il Presidente del Consiglio Facta telegrafa al Re sostenendo che la situazione nel paese sta normalizzandosi. Tuttavia la sera del 27 chiede al generale dell’esercito Emanuele Pugliese di organizzare la difesa di Roma. L’esercito blocca importanti snodi ferroviari e i fascisti non possono superare Orte, pur avanzando su altre strade. Il re informato da Facta alle 11 si rifiuta di autorizzare lo stato d’assedio e l’esercito, senza l’avallo del sovrano, rimuove i blocchi. I fascisti guidati da Italo Balbo, Michele Bianchi, Emilio del Bono e Cesare De Vecchi riescono così ad arrivare a Roma dove si verificano scontri, con morti e feriti, soprattutto nel quartiere San Lorenzo dove 7 persone perdono la vita.

Nel frattempo Mussolini attende l’esito a Milano, pronto a fuggire in Svizzera se il re avesse ordinato all’esercito di contrastare la marcia. Dal canto suo Vittorio Emanuele III, dopo essersi reso conto che Antonio Salandra non ha una maggioranza parlamentare per formare un governo, chiama, la sera del 29 ottobre, Mussolini a Roma affidandogli l’incarico di formare il governo: l’esponente di un partito di minoranza ottiene così l’incarico di formare e presiedere un governo del quale avrebbe poi occupato le cariche più numerose e importanti. Proprio quel giorno si impedisce a numerosi giornali di uscire in edicola.

Se a decidere è una minoranza allora è dittatura

È il primo passo di una dittatura che sarebbe terminata oltre un ventennio dopo. Il governo inizialmente non è monocolore e il sistema parlamentare non è monopartitico fino alle successive elezioni. Ma quando le minoranze impongono la loro volontà c’è una dittatura. Filippo Turati in un confronto diretto con Mussolini alla Camera dei Deputati, il 17 novembre 1922 pronuncia delle parole in proposito:

Voi eravate una trentina in questa Camera, voi eravate quaranta o cinquanta […] E voi pretendete diventare d’un tratto trecento.

L’inizio del Ventennio, l’Italia è divisa a metà

Per riprendere le parole di Turati, i 30 deputati hanno imposto la loro volontà a più di 300. È pur vero che, come a Turati stesso disse una voce proveniente dai banchi della destra, proprio in quella stessa seduta, una buona parte del paese è a favore del fascismo. Le forze armate hanno simpatie fasciste fin dal 1919, l’unica perplessità resta la simpatia nutrita dal fascismo per gli ambienti repubblicani.

È risaputo, infatti, che le forze armate sono lealiste nei confronti della monarchia. Quando Mussolini stesso chiarìsce la volontà di non sovvertire l’ordine monarchico la saldatura è compiuta. Ma non è solo questo. Una parte sostanziale del popolo italiano è ammaliata e si innamora del maestro elementare di Predappio.

Gli scontri tra fascisti da una parte e socialisti e Arditi del Popolo dall’altra, testimoniano questa spaccatura quasi a metà. In sostanza succede quello che accade quasi sempre in un Parlamento: i rappresentanti del popolo sono eletti ma non hanno vincolo di mandato, quindi cambiano opinione e la maggioranza parlamentare non sostiene più il governo.

Non solo. Una legislatura dura, oggi, 5 anni. Durante questo periodo il popolo può cambiare opinione. I problemi sorgono quando rappresentanti e rappresentati cambiano opinione con tempistiche e modalità differenti, talvolta perché i rappresentanti predicano diversamente da come razzolano.

Marcia su Roma un secolo dopo: i motivi del consenso estremista

Ma cosa permette a questa minoranza parlamentare di diventare maggioranza? Le cause sono molteplici anche se la congiuntura storica, in quel momento, tende a favore di Mussolini. Innanzitutto il biennio rosso ha spaventato la classe imprenditoriale italiana ed europea. La vittoria mutilata relativa alla prima guerra mondiale, ha generato risentimenti e malcontento nella popolazione.

La conflittualità accesa tra industriali e operai nel Nord e latifondisti e mezzadri nel Sud acuisce maggiormente le tensioni sociali. Da più parti si avverte il bisogno dell’uomo forte. E l’uomo forte con la sua astuzia e fortuna ha saputo insediarsi sul gradino più alto dell’esecutivo. Ma fare politica non vuol dire favorire una parte o un’altra, l’etimologia stessa della parola impone di risolvere i problemi generali di una comunità.

In questo caso la libertà è il primo dei beni fondamentali dell’uomo, che devono essere conquistati e condivisi. E la forma di governo democratica è uno di questi beni, tuttavia i totalitarismi si nutrono delle scelte oppressive sia nel piccolo sia nelle grandi comunità. La democrazia è un esercizio da praticare giorno per giorno. Non dimentichiamo la marcia su Roma.

Leggi anche: Un museo del fascismo a Roma? Ecco perché non ne abbiamo bisogno

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