Torino, la sindaca Appendino condannata nel processo Ream: “Ero in buona fede”

La sindaca di Torino è stata condannata in primo grado per falso ideologico in atto pubblico nell’ambito del cosiddetto processo Ream. Imputati anche l’assessore comunale al Bilancio, Sergio Rolando, e l’ex capo di Gabinetto, Paolo Giordano.

Elza Coculo
Elza Coculo
Elza Coculo, 30 anni, di adozione romana. Lettrice appassionata con formazione in Studi italiani. Laureata in Editoria e Scrittura. Redattrice per Il Digitale. Amo scrivere di attualità e cultura eco-sostenibile.
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Chiara Appendino, sindaca di Torino, è stata condannata in primo grado a sei mesi per falso ideologico in atto pubblico, con sospensione condizionale della pena, nell’ambito del cosiddetto processo Ream. Giudicati rei anche l’assessore comunale al Bilancio, Sergio Rolando, e l’ex capo di Gabinetto, Paolo Giordano, con condanna rispettivamente a sei e otto mesi. Appendino, Giordana e Rolando a febbraio avevano chiesto il rito abbreviato, mentre Paolo Lubbia, direttore finanziario del Comune di Torino, anche lui imputato, sarà giudicato con rito ordinario. I legali fanno sapere che ricorreranno in appello e in attesa di giudizio Appendino è legittimata a portare a termine il suo mandato da sindaca, come ha intenzione di fare. Ha dichiarato alla stampa

Come previsto dal codice etico mia autosospenderò dal Movimento 5 stelle, ma porterò a termine il mio mandato da sindaca.

Perché Chiara Appendino è stata condannata

La sindaca 5 Stelle, Chiara Appendino, è stata riconosciuta responsabile di una imputazione di falso ideologico, nell’ambito del cosiddetto processo Ream. Il processo si riferisce alla mancata dichiarazione in bilancio di un debito di 5 milioni di euro maturato dalla città di Torino nei confronti della società. Nel 2012 la Ream aveva acquistato i diritti di prelazione per il progetto di riqualificazione nell’area industriale ex-Westinghouse, che avrebbe dovuto portare alla realizzazione di un grande centro congressi. Tuttavia, nel 2013 la gara viene aggiudicata dalla Amteco & Maiora srl, che firma il contratto preliminare con il Comune. La caparra di 5 milioni versata da Ream doveva essere restituita alla società, ma i soldi non sono stati mai né versati né restituiti. Nel 2017 sono partite le indagini a seguito di un esposto presentato dal Pd e da una lista civica, seguito anche da una denuncia del Collegio dei revisori.

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Cos’è la vicenda Ream

La riqualificazione dell’area industriale ex-Westinghouse è una vicenda travagliata. Il progetto, nato durante l’amministrazione Fassino, è rimasto bloccato per anni tra ricorsi amministrativi, crac finanziari e, in ultimo, i processi penali che stanno coinvolgendo la giunta pentastellata.

La caparra di Ream non fu restituita alla società dalla giunta Fassino per via del ricorso al Tar da parte del concorrente escluso, la Nuova Coop. La somma “bloccata” quindi venne regolarmente registrata nel bilancio sotto la voce “debiti”. E così ancora nel 2014 e nel 2015. Nel 2016 Chiara Appendino diventa sindaco della città e deve far quadrare il bilancio. Si opta per posticipare la restituzione di quei 5 milioni e qui sorgono i problemi.

Il coinvolgimento di Appendino nel caso Ream

Appendino
La sindaca Chiara Appendino dopo la condanna al processo Ream.

Il 22 novembre il capo di gabinetto Giordana scrive una mail alla direzione finanze guidata da Anna Tornoni, chiedendo di non iscrivere nel bilancio i cinque milioni di euro. Si legge:

Per quanto riguarda il debito Ream lo escluderei al momento dal ragionamento, in quanto con questo soggetto sono aperti tavoli di confronto.

Qualche giorno dopo la sindaca manda alla direzione una lettera scrivendo: “Stante le trattative aperte con la Città, non è prevista la restituzione”. Il 6 dicembre il presidente della società Ream torna a chiedere la restituzione della caparra, elemento che per la procura dimostra l’assenza di trattative in corso. Inoltre, si legge sul Fatto Quotidiano, “il perfezionamento dell’aggiudicazione era avvenuto nell’autunno 2016 anche se il ricorso al Tar è terminato soltanto pochi giorni fa”. A quel punto, secondo il procuratore, la Città avrebbe dovuto rendere quei soldi, ma non lo ha fatto perché, secondo quanto sostenuto dai pm, l’Appendino, Rolando e Giordana avevano sostenuto falsamente di avere quelle trattative in corso.

La difesa della sindaca

La sindaca, accusata di falso ideologico in atto pubblico, ricorrerà in appello. Ha così commentato:

Come è evidente anche dalle carte processuali, non ho tratto alcun vantaggio personale, anzi: l’accusa, nella sostanza, è di aver ingiustamente ‘avvantaggiato’ il Comune. Non avrei mai avuto, dunque, il movente per commettere intenzionalmente il falso. Semplicemente, in un quadro normativo molto complesso e in una situazione definita dai periti ‘unicum’, ‘peculiare’ e ‘eccezionale’, abbiamo scelto di imputarla al 2018 perché ritenevamo fosse la scelta giusta da fare alla luce delle informazioni in nostro possesso e degli accordi intercorsi. Se è stato fatto questo errore, ribadisco che è stato fatto in assoluta buona fede e senza alcuna volontarietà di commettere il falso.

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Elza Coculo, 30 anni, di adozione romana. Lettrice appassionata con formazione in Studi italiani. Laureata in Editoria e Scrittura. Redattrice per Il Digitale. Amo scrivere di attualità e cultura eco-sostenibile.
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