Il grande burnout di Millennial e Gen Z e le nuove regole per il benessere a lavoro

Il 22% dei dipendenti a livelo globale è colpito da burnout, soprattutto i più giovani. Perché 8 su 10 sono pronti a lasciare il lavoro e come evitarlo.

Silvia Buffo
Silvia Buffo
Silvia Buffo, 1985, giornalista. Ha fondato e dirige Il Digitale. Formazione classica e filologica, un dottorato di ricerca in Letteratura italiana, sui legami tra scrittura e nuovi media. “La bellezza è promessa di felicità” è il suo motto, che ha delicatamente rubato a Stendhal.
spot_img

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha riconosciuto il burnout come una condizione medica associata a stress cronico sul lavoro non adeguatamente gestito, inserendolo nella Classificazione Internazionale delle Malattie. La sua diffusione rivela dati shock: a livello globale, la percentuale di dipendenti che sperimenta sintomi di burnout si attesta intorno al 20%.

Questo fenomeno colpisce in modo più significativo dipendenti di aziende più piccole, che non ricoprono posizioni manageriali e i lavoratori più giovani.

In particolare, l’80% di dipendenti appartenenti a Gen Z e Millennial sarebbe pronto a lasciare il lavoro, a causa di una cultura aziendale tossica. Spiega Francesca Verderio, Training & Development practice leader di Zeta Service:

Questi dati sottolineano la necessità di porre attenzione ai processi di ascolto dei propri dipendenti, monitorando costantemente il clima aziendale.

Cosa determina quindi burnout? A determinare questa condizione medica, associata allo stress cronico sul lavoro non adeguatamente gestito, ufficialmente riconosciuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità:

  • i conflitti interpersonali
  • la mancanza di chiarezza riguardo a compiti
  • responsabilità e obiettivi
  • la pressione legata alle tempistiche
  • confusione e scarsa produttività

Secondo un recente sondaggio condotto dal McKinsey Health Institute su 30.000 dipendenti in 30 paesi, il 22% dei lavoratori a livello globale sperimenta sintomi di burnout, sebbene esistano differenze sostanziali tra le nazioni. In particolare, i tassi più alti si evidenziano in India (59%), mentre i più bassi in Camerun (9%); anche l’Italia si colloca nella parte bassa della classifica, riportando solo il 16% dei sintomi di burnout, nonostante la percentuale di esaurimento delle forze e conseguente stanchezza fisica e mentale sia alta (43%).

A livello demografico, invece, i dipendenti di aziende più piccole, che non ricoprono posizioni manageriali e i lavoratori più giovani riferiscono sintomi di burnout più elevati.

Infatti, secondo quanto emerge da un altro recente sondaggio pubblicato su People Management, circa il 50% dei dipendenti appartenenti a Gen Z e Millennial si sente stressato sul posto di lavoro per la maggior parte del tempo, mentre circa l’80% sarebbe addirittura pronto a rassegnare le dimissioni a causa di una cultura aziendale tossica. Spiega Francesca Verderio di Zeta Service, azienda italiana specializzata nei servizi HR e payroll:

Moltissime aziende negli ultimi anni ci hanno segnalato una maggiore difficoltà a trattenere le risorse, c’è stato infatti un significativo aumento delle dimissioni in tanti settori diversi, che ha portato il tema della retention al centro del dibattito di HR e dirigenti:

in quest’ottica mettersi in ascolto delle proprie persone e quindi monitorare costantemente il clima aziendale diventa fondamentale.

Leggi anche: Lavori troppo? 5 modi per guarire dal burnout

Burnout, le grandi dimissioni dei giovani e la dispersione di nuove skill

Le frequenti dimissioni dei giovani rappresentano per il 60% dei talent manager uno dei più grandi ostacoli per l’introduzione di nuove skill e la crescita dell’impresa. Più in generale, come evidenziato da CNBC, il calo della soddisfazione lavorativa registrato dal 2020 ad oggi potrebbe impattare sull’economia globale con una perdita di circa 8,8 trilioni di dollari in termini di produttività.

In questo scenario, il sondaggio del McKinsey Health Institute ha evidenziato che un ambiente di lavoro positivo consente ai dipendenti di sperimentare un benessere maggiore e di essere più innovativi e performanti nello svolgimento delle proprie mansioni.

Tutto ciò trova conferma in un’altra indagine che l’Istituto ha condotto insieme a Business in the Community, secondo cui il valore economico del miglioramento del benessere dei dipendenti del Regno Unito, ad esempio, potrebbe oscillare tra 130 e 370 miliardi di sterline all’anno (6-17% del PIL), il che equivale a 4.000-12.000 sterline per dipendente. Il tema del monitoraggio del clima aziendale, secondo la Verderio si fa sempre più urgente:

Questi dati sottolineano la necessità, per le imprese, di monitorare costantemente il clima aziendale.

Conoscere le esigenze e le opinioni dei dipendenti è fondamentale per migliorare tutti gli aspetti della vita lavorativa.

Facilmente si scivola nel pensare che l’intenzione di abbandono del posto di lavoro sia legata a tematiche retributive o di carriera o dal competitor che corteggia i propri dipendenti con offerte “irrinunciabili”, quando in realtà si tratta di problematiche meno evidenti, rilevabili attraverso strumenti di ascolto più profondi.

Tra questi, l’analisi di clima è particolarmente immediato ed efficace, permettendoci di capire che cosa pensano le persone dell’azienda rispetto al luogo di lavoro e quindi, per esempio, il senso di appartenenza, il committment, quanto l’azienda si prenda cura delle proprie persone in termini di benessere psicologico e salute, il supporto offerto dal proprio team, l’equità o l’eticità dei comportamenti manageriali, piuttosto che le possibilità di formazione o di percorsi di carriera.

Quando un clima aziendale è positivo?

burnout

Il burnout è evitabile con nuove regole a partire dal monitoraggio del clima aziendale, che è positivo se correlato a fattori come:

  • il maggiore coinvolgimento nel lavoro
  • la migliore collaborazione tra dipendenti e quindi migliori performance
  • la crescita del senso di appartenenza all’organizzazione
  • una maggiore attrattività dei talenti
  • soddisfazione del cliente

Conclude Francesca Verderio:

L’analisi del clima aziendale dev’essere concepita come una sorta di monitoraggio costante e non solo come uno strumento da adottare nei momenti di difficoltà o crescita dell’organizzazione.

Inoltre è fondamentale affidarsi a una società esterna terza in quanto questa può garantire una lettura ragionata, equa e imparziale delle risposte: con Eleva People Value, sviluppato da Zeta Service Eleva in collaborazione con il Dipartimento di Psicologia de La Sapienza Università di Roma, la rilevazione viene realizzata sempre in presenza di uno psicologo, il che garantisce l’uso etico dello strumento, aiutando i dipendenti a sentirsi protetti nell’esprimere i propri pensieri.

Ugualmente, è altrettanto importante comunicare loro i risultati emersi nel modo corretto, sottolineando come questi siano un concreto punto di partenza per il miglioramento dell’impresa e della sua competitività sul mercato.

Leggi anche: Sei sicuro di sapere cosa succede al tuo corpo se non ami il tuo lavoro?

spot_img

Correlati

Medicina estetica inarrestabile sul mercato: pubblico il dossier dell’azienda leader Clinic Medical Beauty

Un nuovo concetto si fa strada nell'ambito della medicina estetica e chirurgia: si è...

La democrazia italiana ha il 7 in condotta

Secondo il Democracy Index, lo stato delle democrazie nel mondo non era così basso dal 2006 e l'Italia non è immune da questa crisi a causa di diversi fattori

Todde, la vittoria elettorale in Sardegna e i dettagli che non avremmo voluto sapere

La coalizione fra Movimento 5 Stelle e Partito Democratico ha portato per la prima...
Silvia Buffo
Silvia Buffo
Silvia Buffo, 1985, giornalista. Ha fondato e dirige Il Digitale. Formazione classica e filologica, un dottorato di ricerca in Letteratura italiana, sui legami tra scrittura e nuovi media. “La bellezza è promessa di felicità” è il suo motto, che ha delicatamente rubato a Stendhal.
spot_img