Rivivere borghi e città del Sud è più che mai necessario. Intervista ad Anna Laura Orrico

La riqualificazione delle città del Sud e dei borghi è un tema dibattuto da anni, ma oggi con la pandemia, lo smart working, la digitalizzazione del lavoro cambiano le abitudini degli italiani con un orientamento sempre più locale ed ecostostenibile. Ne parliamo con Anna Laura Orrico.

Silvia Buffo
Silvia Buffo
Silvia Buffo, 1985, giornalista. Ha fondato e dirige Il Digitale. Formazione classica e filologica, un dottorato di ricerca in Letteratura italiana, sui legami tra scrittura e nuovi media. “La bellezza è promessa di felicità” è il suo motto, che ha delicatamente rubato a Stendhal.
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Abbiamo intervistato Anna Laura Orrico Sottosegretario di Stato del Ministero per i beni e le attività culturali su temi legati alla valorizzazione del nostro territorio, il cui approccio è sempre più locale. Il Covid ha qualcosa di positivo in tal senso, sposta l’attenzione su obiettivi che grazie alla pandemia sembrano essere finalmente concretizzabili: la riqualificazione di città del Sud, dei borghi e delle piccole province. Oggi tornare a riviverli sembra essere sempre più necessario.

Grazie allo smart working si è infatti innescato un circolo virtuoso, che ci costringe a rivivere i nostri luoghi di origine, questo era un tema già ampiamente dibattuto, oggi però è realtà tangibile per le restrizioni del lockdown e delle diverse zone rosse, gialle e arancioni in cui l’Italia è divisa. In particolare la digitalizzazione di diverse professioni consente di poter lavorare, a patto che sia garantita una connessione internet ottimale, da qualsiasi luogo si voglia, ecco perché riqualificare le città del Sud in Italia è importante per un futuro sempre più green e modalità di lavoro eco-sostenibili, non solo per la valorizzazione del patrimonio artistico e culturale, ma per riappropriarsi dei luoghi nella quotidianità.

La pandemia preme sulla necessità di riqualificare i luoghi del Sud, ce lo spiega Anna Laura Orrico

Questo orientamento verso la valorizzazione del Mezzogiorno potrebbe avere un’influenza notevole anche sulle scelte di vita da parte dei cittadini italiani più giovani, incidendo su un ripopolamento di città che erano state abbandonate per un lavoro altrove o per ragioni di studio, ambito che con la didattica a distanza diviene, a sua volta, sempre più digitale. La pandemia accelera la necessità di riqualificare in particolare i luoghi del Sud, di questo e altri progetti abbiamo chiesto ad Anna Laura Orrico.

Leggi anche: Come la pandemia ha cambiato le nostre priorità e ci ha fatto riscoprire la campagna

L’intervista

Sottosegretario Orrico, può spiegare in cosa consistono i CIS e quale sia l’entità economica complessiva di questo intervento? Come e in che tempi sarà sviluppato?

Si tratta di un progetto di rigenerazione urbana e sociale di 4 centri storici di città chiave del Mezzogiorno, ossia Napoli, Cosenza, Taranto, Palermo, due delle quali sono anche oggetto di una protezione rafforzata, in quanto patrimonio dell’Umanità Unesco. Per ognuna delle città, sono stati stanziati 90 milioni di euro, che andranno spesi con progetti partecipati che mi hanno visto presiedere cabine di regia dove sedevano gli enti territoriali, ma anche associazioni e cittadini. Abbiamo cercato di portare avanti progetti nuovi nel merito e nel metodo, attraverso un processo dal basso.

Riguardo ai tempi, c’è un cronoprogramma di attuazione che implica che le obbligazioni giuridicamente vincolanti, cioè inizio dell’avvio della procedura di affidamento secodo quanto previsto dal Codice dei Contratti, deve avvenire entro il 31 dicembre del 2021.

È plausibile immaginare che in futuro l’iniziativa si estenderà anche ad altre città, oltre a Napoli, Cosenza, Taranto, Palermo?

Personalmente auspico che sia così e in tal senso stiamo lavorando, ma la volontà politica deve essere condivisa. Il Cis sicuramente è uno strumento importante perché garantisce quella possibilità di attuare una procedura di concertazione tra le amministrazioni pubbliche centrali e gli enti territoriali che spesso è utile per accelerare la finalizzazione dell’investimento

Come nasce l’idea della rigenerazione dei borghi attraverso l’iniziativa Borghi in Festival?

Mi occupo di borghi da prima di diventare Sottosegretaria. Ho sempre creduto che difendere il Sud significasse portare avanti una nuova forma di economia più inclusiva che agisse anche sugli squilibri territoriali e sulla convergenza delle aree interne. Un tema che non riguarda solo il Sud, a rischio spopolamento, ma anche l’arco appenninico e alpino, ad esempio.

Concentrare la popolazione in grossi centri urbani, incapaci di reggere certe pressioni antropiche, è una follia, sia per le città, sia per i piccoli comuni. Corrisponde a un tipo di economia insostenibile, irrispettosa delle vocazioni e dei luoghi, del gradiente umano, declinato, non a caso, come “capitale umano”, risorsa che ha valore nella misura che da essa può essere estratto valore. L’Uomo è un valore per sé, no per la capacità di produrre profitto.

Oggi abbiamo tanti meridionali che vivono in quartieri dormitorio nelle grandi città. Passano il tempo imbottigliati nel traffico per andare a lavorare, inquinando. Ci guadagnano solo i rentier, i proprietari di casa. Il south working emerso con la pandemia ci mostra che un’altra direzione è possibile.

È quella a cui ho sempre creduto io. Borghi in festival è proprio una iniziativa per valorizzare e premiare le buone pratiche di rigenerazione sociale. Il turismo non c’entra nulla. O, almeno, è una politica che lavora anche nella direzione del turismo sostenibile e di prossimità, ma il cui obiettivo principale è altro. Favorire un cambio di paradigma verso una economia circolare.

Spesso i borghi italiani sono stati dimenticati, abbandonati a partire dall’epoca dello sviluppo industriale nel secondo dopoguerra. Concretamente oggi come si andrà a incentivare l’economia di questi luoghi?

Disseminazioni di hub e centri di ricerca che facciano da moltiplicatore dei talenti dei giovani meridionali, che non vanno più a Milano con la valigia di cartone, ma con in tasca un dottorato. Costruzione di infrastrutture fisiche e digitali. Il nomade digitale deve essere in grado di lavorare in una ex tonnara in Sicilia: gli basta una buona connessione, e la consapevolezza che, se deve andare a Monaco o Milano, lo può fare senza rimetterci giorni di viaggio. Defiscalizzazioni per favorire la localizzazioni di attività legate all’economia della conoscenza.

In generale, favorire l’incontro tra competenze umanistiche e stem nell’ottica di generare nuove professionalità ancorate alle specificità dei territori ma capaci di dialogare con il mondo. Favorire dei processi circolari fra residenti e nomadi digitali, per costruire comunità competenti che siano in grado di ridisegnare il futuro dei territori, svincolandoli dalla presenza esogena.
Il nomade digitale è un seme globale che deve fare frutti locali.

Esistono centri storici di molti piccoli comuni che hanno bisogno di manutenzione, restauro e ristrutturazione. Qual è la sua linea e quella del Ministero in merito agli interventi che potrebbero fare da volano allo sviluppo?

Abbiamo lavorato e stiamo lavorando non solo con il nostro Ministero, ma anche con gli altri colleghi. Seguendo i processi di digitalizzazione proposti dalla ministra Pisano, ad esempio, o i progetti di Mise, Ministero dei Trasporti e Ministro per il Sud. Tanti soggetti fanno un pezzo: era necessario avere una regia su questi processi, ridurre all’unità la frammentazione.

La pandemia ci ha mostrato che lo smart working non solo è possibile ma necessario. La digitalizzazione di alcune professioni e mestieri potrà fare la differenza nella densità e frequentazione di borghi e piccole province?

Assolutamente. Quello che stiamo facendo è proprio sfruttare l’onda lunga del southworking sui borghi, per esempio. Sembrava una cosa casuale, ma casuale non era. Era da tanti anni che si lavorava in quella direzione. Serviva qualcosa che facesse scattare il cambio di paradigma e questa cosa è stata la pandemia.

La competenza concorrente, tra Stato e Regioni, per il governo del territorio e i beni culturali e ambientali è alla base della nostra costituzione. La strada che lei ha intrapreso politicamente è ciò che una parte d’Italia si augurava da tempo, anche dopo le sollecitazioni intellettuali di Renzo Piano, ma alla luce dei recenti scontri Governo-Regioni non teme che possano esserci ancora una volta delle incomprensioni su tali temi?

Noi lavoriamo bene con gli enti locali e regionali, ma è indubbio che il Titolo V non abbia funzionato, così come una certa idea di competizione fra territori, per la quale molti hanno smesso di fare squadra. Sicuramente auguro, per il futuro, non la centralizzazione, ma una maggiore coesione e condivisione.

Alla luce del suo progetto politico, che ruoli e prospettive si ricaveranno per i giovani? Dopo il Covid ci sarà meno fuga dai luoghi di provenienza? Forse questa pandemia ci incoraggia nella riqualificazione e fedeltà ai luoghi d’origine?

È quello che sembra stia succedendo proprio ora. Per renderla una situazione stabile, bisogna per l’appunto superare gli impedimenti di ordine materiale. C’è un movimento spontaneo di giovani a difesa del loro territorio, la politica deve metterli in condizioni di raggiungere certi risultati. Che saranno positivi non solo per loro, ma per l’Italia intera.

Leggi anche: Fuksas: “Torniamo a vivere nei paesini per un nuovo umanesimo post covid”

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