Iran, in carcere da 2000 giorni il ricercatore Ahmadreza Djalali, la famiglia: “Sei ogni giorno nei nostri pensieri”

Esperto di medicina d’urgenza e ricercatore per l’Università del Piemonte orientale, dal 2016 Djalali si trova in carcere con l’accusa di spionaggio da parte del governo di Teheran.

Tommaso Panza
Tommaso Panza
Salentino, classe 1993. Una laurea in mediazione linguistica. Fondazione Basso(Roma). Amante della lettura e del cinema, in particolare delle opere che raccontano spaccati di realtà. Deciso sin da piccolo a diventare un giornalista.
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Ahmadreza Djalali, lo scienziato con doppio passaporto iraniano e svedese, ieri 17 ottobre 2021 ha trascorso il suo duemillesimo giorno in un carcere in Iran. Djalali è rinchiuso in carcere dal 2016.

L’inferno di Ahmadreza Djalali il ricercatore iraniano arrestato: se ne chiede la liberazione dal 2016

Ahmadreza Djalali, il ricercatore iraniano arrestato nel 2016, prima della sua detenzione cominciata cinque anni fa, era un esperto di medicina d’urgenza, nonché ricercatore per l’Università del Piemonte orientale.

La vicenda di Ahmadreza Djalali, il ricercatore iraniano arrestao nel 2016 a Teheran

Nel mese di aprile del 2016, mentre si trovava in Iran su invito dell’Università di Teheran e dell’Università di Shiraz, Ahmadreza Djalali è stato arrestato per ordine del Ministero dell’Intelligence e della Sicurezza, senza un valido mandato o un motivo di arresto. L’accusa è quella di “spionaggio e collaborazione con Israele”.

Dopo essere stato trattenuto in un luogo sconosciuto per un’intera settimana senza che si sapesse alcune notizia, Ahmadreza Djalali viene deportato nella sezione 209 della prigione di Evin, dove è rimasto in stato di arresto per sette mesi. Durante le telefonate fatte alla sua famiglia, il dottor Djalali ha detto di essere stato tenuto in isolamento per tre mesi, e in isolamento parziale nei mesi successivi.

Un anno e mezzo dopo la sua detenzione il 21 ottobre 2017 è stato condannato a morte con l’accusa di “corruzione sulla terra”. La condanna è stata emessa da un tribunale rivoluzionario di Teheran. Nel novembre 2017, il Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulla detenzione arbitraria, ha chiesto formalmente al governo iraniano di fornire informazioni dettagliate sulla sua detenzione, senza mai ricevere alcuna risposta in merito.

L’accusa che condanna Ahmadreza Djalali

Secondo l’accusa, Djalali avrebbe avuto diversi incontri col Mossad, l’agenzia di intelligence israeliana, fornendo loro informazioni sensibili su siti militari e nucleari italiani e su due scienziati iraniani poi assassinati.

Djalali ovviamente ha sempre respinto queste accuse, denunciando che sono state una rappresaglia per il suo rifiuto di collaborare coi servizi iraniani per identificare e raccogliere informazioni dagli stati dell’Unione europea: “Sono uno scienziato, non una spia”, ha scritto dal carcere nel 2017.

Djalali è ora detenuto nella prigione di Evin, in condizioni di salute sempre più precarie.  Da tempo la sua esecuzione viene periodicamente annunciata e poi rimandata.

La lettera dei figli

A peggiorare la situazione di Ahmadreza, si aggiunge l’impossibilità di parlare con la propria famiglia. Infatti, da quasi un anno e mezzo gli è impedito di contattare telefonicamente la moglie Vida e i due figli, attualmente residenti in Svezia.

Caro papà”, hanno scritto i bambini in una lettera sperando possa arrivare ad Ahmadreza“sono passati ormai 2000 giorni dal tuo ingiusto arresto e ognuno di questi 2000 giorni abbiamo desiderato il tuo ritorno.

Ogni compleanno, Natale e Capodanno, ci auguriamo che tu possa trascorrere il prossimo con noi. Il più giovane di noi aveva solo quattro anni quando sei stato arrestato e ogni anno chiede a Babbo Natale di riportarti come suo regalo di Natale. 2000 giorni di sofferenza e ingiustizia.

Non è passato giorno in cui tu non sia stato nei nostri pensieri.

Ci chiediamo perché un destino così ingiusto debba essere destinato a te, che non hai sbagliato e che per noi sei sempre stato un modello. Ma restiamo fiduciosi. Ammiriamo come hai sopportato un inferno simile per così tanto tempo.

Non smetteremo di lottare per la tua liberazione, per farti sentire ancora una volta una sensazione di libertà. Continuiamo a chiedere alle persone di unirsi alla nostra lotta per il tuo rilascio, per fare giustizia. Non ci fermeremo finché non tornerai a casa, con noi, con la tua famiglia e i tuoi amici, e di nuovo nella comunità scientifica, dove potrai continuare ad aiutare gli altri attraverso il tuo lavoro e la tua ricerca”.

Leggi anche: Iran, rinviata l’esecuzione di Ahmadreza Djalali

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