Coronavirus e allevamento di animali: il legame è ufficiale

Catiuscia Ceccarelli
Catiuscia Ceccarelli
Catiuscia Ceccarelli, giornalista e imprenditrice, si occupa di personaggi, interviste, attualità e lifestyle. Segni particolari? Mamma di Matilde
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Il Covid- 19, noto ormai come coronavirus, è arrivato nella nostra società in maniera subdola verso la fine di dicembre, con polmoniti anomale che già facevano pensare a un virus così potente, nuovo e letale. Secondo uno studio realizzato dai ricercatori dell’Università Statale di Milano, il virus avrebbe iniziato a circolare probabilmente già da Ottobre 2019 in Cina, per la precisione a Wuhan, una delle più popolate città orientali, retta di scambi commerciali. Sotto accusa di molti, il mercato di Wuhan, presunto untore del male. Assembramento di persone e di animali, vivi e morti, di scambi commerciali e di contatti. Fatto sta che ormai da un paio di mesi, abbiamo a che fare con quella che l’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS) ha dichiarato essere un’emergenza internazionale di salute pubblica.

Cosa lega il Covid agli assembramenti di animali?

Esperti, economisti e divulgatori scientifici si stanno chiedendo se ci sia una relazione tra allevamenti intensivi e Covid, o cosa abbia in comune il pianeta globalizzato con gli assembramenti di animali. Lo scenario più probabile afferma che il serbatoio del patogeno sia una specie di pipistrello presente in Cina e che il coronavirus sia arrivato all’essere umano tramite il passaggio attraverso un ospite intermedio, il pangolino un piccolo mammifero simile a un formichiere che vive nelle zone tropicali dell’Asia meridionale, molto amato dai cinesi. Gli esperti dichiarano che questo virus, come il 70% delle malattie umane fino ad oggi conosciute, deriva da un’interazione fra animali, che siano essi selvatici o allevati, e l’uomo. Secondo il giornalista e divulgatore scientifico David Quammen, intervenuto nel programma di Rai Uno Che tempo che fa:

Stiamo invadendo e alterando gli ecosistemi con sempre più decisione, esponendoci a nuovi virus e offrendoci come ospiti alternativi. Siamo troppi e consumiamo le risorse in modo avido, e ciò ci rende una specie di buco nero che attira tutto, anche i virus. Dobbiamo ridurre velocemente le attività che impattano sull’ambiente, ridimensionare la popolazione e porre un freno alla domanda delle risorse.

Leggi anche: Nuova Zelanda, Covid sconfitto: “Ecco come abbiamo fermato il contagio”

Il Covid 19 è una patologia zoonotica

Il Covid 19 è tra le patologie zoonotiche, che cioè partono dall’animale e arrivano all’uomo attraverso un salto di specie del virus chiamato spillover. Negli ultimi 30 anni, la frequenza di questo tipo di patologia è estremamente aumentata. Ricordiamo la Sars del 2002, l’Ebola o la Mers nel 2012. Secondo l’opinione condivisa dagli esperti, anche gli allevamenti di animali utilizzati a scopo alimentare sono ambienti favorevoli allo sviluppo di epidemie. Da ricordare il morbo della mucca pazza (encefalopatia spongiforme bovina (BSE), scoperto in Gran Bretagna nel 1986 ed esploso negli anni ’90. Questa ha comportato decessi di centinaia di persone e migliaia di mucche, specie nel Regno Unito. Nel 2009, in Messico e negli Stati Uniti abbiamo assistito al diffondersi della suina e nel 2003 molte specie di uccelli, inclusi quelli allevati come polli e galline, contraggono l’influenza aviaria.

Covid figlio della globalizzazione

La deforestazione e l’urbanizzazione sono fattori che contribuiscono alla propagazione di malattie come il Covid 19. Gianluigi de Gennaro dell’Università di Bari, in uno studio condotto per l’Arpa, in collaborazione con l’Università di Bologna, ha affermato che:

Un elemento comune dei proliferare dei virus è lo sfruttamento eccessivo del pianeta, dovuto anche alla produzione industriale di carne e agli allevamenti.

Leggi anche: Tutti contro la Cina: Zero contagi ma molti attacchi   di Catiuscia Ceccarelli

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