160 anni dall’Unità d’Italia: quale significato al tempo del Covid

Il 17 marzo 2021 ricorre il 160° anniversario dell’Unità d’Italia. È usanza consolidata e definita anche dalla legge festeggiare questa ricorrenza ogni 50 anni.

Domenico Di Sarno
Domenico Di Sarno
Informatico e politologo laureato con Lode. amante dei libri di ogni genere perché fortemente convinto che la cultura sia come il cibo, ne serve ogni giorno per nutrire la mente. Appassionato di storia e diritto costituzionale.
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Il 17 marzo 2021 ricorre il 160° anniversario dell’Unità d’Italia. È usanza consolidata e definita anche dalla legge festeggiare questa ricorrenza ogni 50 anni.

L’ultimo festeggiamento si tenne il 17 marzo del 2011, una data relativamente recente, che molti hanno ancora modo di ricordare.

I 160 anni dell’Unità d’Italia, perché il 17 marzo

Il Parlamento del Regno d’Italia si riunì per la prima volta il 17 febbraio del 1861, quindi un mese prima dell’attuale commemorazione, ma la legge di unificazione numero 4671 fu approvata il 26 febbraio dal Senato e i 14 marzo dalla Camera.

Il Re Vittorio Emanuele II firmò la legge, promulgandola, il 17 marzo 1861 iniziando così a fregiarsi del titolo di Re D’Italia.

La pubblicazione sull’allora Gazzetta Ufficiale del Regno D’Italia avvenne sul numero 68 del 18 marzo 1861.

I 160 anni dell’Unità d’Italia, le feste ufficiali ogni 50 anni

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La prima festa per l’Unità fu celebrata nel 1911 e si trattò dell’unica festa ancora in epoca monarchica.

Le città maggiormente coinvolte nei festeggiamenti furono Torino, la prima capitale del Regno d’Italia, Firenze che fu capitale durante il trasferimento a Roma e la stessa Roma che fu ufficialmente proclamata tale nel 1871. Per l’occasione fu inaugurato il monumento a Vittorio Emanuele, il Vittoriano, meglio conosciuto come altare della patria.

Nel 1961 i festeggiamenti per il centenario furono sobri e la città più coinvolta fu Torino, mentre le celebrazioni per il 150° anniversario furono quelle più sentite. Il Governo iniziò i preparativi già nel 2007. In questa occasione i festeggiamenti durarono tutto l’anno con un’enfasi nel giorno, per l’occasione festivo, del 17 marzo.

Fu molto importante la celebrazione dei luoghi, furono coinvolti comuni simbolo come ad esempio Quarto e Marsala, per la spedizione dei Mille, ma anche le grandi città come Torino, Milano, Roma, Firenze, Napoli e Genova. L’impatto mediatico e didattico fu grande.

Il mondo dell’editoria partecipò stampando volumi da distribuire nelle scuole oppure allegati ai quotidiani. Furono prodotte delle stampe di enciclopedie e ristampe di volumi storici e compact disk con le canzoni cantante dai migranti italiani di fine Ottocento e del primo Novecento.

Anche la numismatica fece la sua parte con l’emissione di monete celebrative. I festeggiamenti ebbero anche un logo ufficiale e persino il mondo dello sport contribuì alle celebrazioni.

Il dibattito sulla periodicità del festeggiamento fu educato ma aspro. Molti infatti, anche esponenti politici, proponevano di festeggiare la ricorrenza annualmente oppure ogni dieci anni.

I 160 anni dell’Unità d’Italia, il paese al momento dell’Unificazione

Il Paese stava diventando uno Stato ma era lungi dall’essere una nazione. Inizialmente si assistette ad una unificazione forzata. Fu estesa la legislazione piemontese a tutta la penisola, l’amministrazione del nuovo stato fu coniata sul modello di quella dello stato Sabaudo e furono eliminati i dazi doganali che erano previsti nel sud borbonico.

Il Primo Ministro Camillo Benso conte di Cavour si rese conto della necessità di intraprendere la strada dell’infrastrutturalizzazione e avviò la cosiddetta “Cura del Ferro”, per collegare tramite la ferrovia alcuni centri meridionali che erano del tutto isolati dal resto del Paese.

Ma uno Stato per diventare nazione ha bisogno di un popolo e di una identità comune e le caratteristiche accentratrici del governo dell’epoca non permisero di realizzare una unione che andasse al di là di quella geografica, almeno in un primo periodo.

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I 160 anni dell’Unità d’Italia, la ferita mai del tutto rimarginata Nord-Sud

Le principali differenze tra Nord e Sud del paese si vedevano sia sul piano finanziario che su quello produttivo. Nel Meridione le imprese erano pressoché assenti, il feudalesimo era stato abolito già in epoca borbonica ma il latifondo era la struttura economica preponderante e arricchiva, con delle rendite, i già ricchi proprietari terrieri.

Il costo dell’unificazione e delle infrastrutture fu distribuito, attraverso le tasse, su tutta la penisola in parti uguali senza tenere conto della capacità contributiva dei territori e senza pensare che chi poteva beneficiare degli interventi infrastrutturali era principalmente la borghesia industriale del Nord.

Infine, il debito pubblico del regno di Sardegna fu ereditato da tutta la penisola e distribuito sul Settentrione e sul Mezzogiorno. Il malcontento si diffuse in poco tempo e molti ex militari dell’esercito borbonico si organizzarono dando vita al fenomeno del brigantaggio e a spinte autonomiste.

Fu anche per questo, e per la presenza di organizzazioni criminali che funzionavano come strumenti di controllo sociale, che si accantonò l’idea di organizzare il Regno come stato federale.

I 160 anni dell’Unità d’Italia, il Nord più sviluppato

Viceversa il Nord era già industrializzato, il Governo sosteneva e continuava a investire sullo sviluppo dell’industria nell’area del triangolo industriale tra Genova, Torino e Milano. In questo modo l’industrializzazione settentrionale ebbe il vantaggio di trovarsi a produrre senza una concorrenza interna, avendo addirittura la possibilità di poter attingere al Mezzogiorno come serbatoio di manodopera a basso costo e come potenziale platea per i consumatori. Non è tutto.

Una classe dirigente meridionale disattenta e talvolta collusa, anziché rappresentare in Parlamento gli interessi del territorio, finiva per opporsi a tentativi di bonifica e di riforma agraria.

Un problema che si è protratto per parecchi decenni e che è noto come saldatura degli interessi del blocco agrario meridionale con quelli della borghesia industriale settentrionale.

I 160 anni dell’Unità d’Italia, perché non si stava meglio prima

I paragoni circa vantaggi e svantaggi per una delle due macroregioni si sprecano. Ancora oggi, a 160 anni dall’Unità d’Italia, c’è chi si chiede se davvero valesse la pena affrontare i costi di questa unificazione.

Il governo centrale ha cercato di supportare la costruzione di infrastrutture e processo di industrializzazione nel Sud con leggi speciali prima e con l’intervento straordinario poi. Le spese che sono parse ingenti e tutte a carico del Nord hanno dato origine, negli anni Settanta del Novecento, a una visione stereotipata che ha ribaltato la Questione meridionale nella cosiddetta questione settentrionale.

Anche nel Sud qualcuno rimpiange, a torto e senza cognizione di causa, l’epoca borbonica. Il governo dei Borbone era attento a Napoli ma aveva creato disparità nel Regno e aveva reso Napoli, come scriveva Pietro Colletta, la famosa “testa sul corpo gracile”.

La gran parte delle città del Regno erano costruite senza pianificazione e il legame tra la monarchia e gli ordini religiosi aveva permesso una urbanizzazione disordinata con strutture sacre che prendevano spazio in tutte le importanti città. In particolare, in tal senso possiamo ricordare Napoli e Lecce. Non solo.

I Borbone dovettero affrontare varie calamità naturali. I terremoti di Napoli del 1732 e di Brindisi del 1743 furono l’occasione per rivedere l’urbanistica con una parziale pianificazione e per mettere ordine in un tessuto urbano disordinato e caotico. Persino l’economia di alcune città della Puglia come Trani, Barletta, Gallipoli e Brindisi, fu lasciata a sé stessa perdendo competitività.

Mazzini sull’Unità d’Italia: “L’Italia sarà quel che il Mezzogiorno sarà”

Oggi, nel bene e nel male, l’Italia è una cosa sola ed è indivisibile, come recita all’articolo 5 la nostra Costituzione. Il divario tra Mezzogiorno e Settentrione è rimasto seppure appare meno marcato.

Occorre riflettere su quelle che sono state le parole di un meridionalista della corrente del secondo dopoguerra, nonché promotore della Cassa per il Mezzogiorno e del cosiddetto “Intervento Straordinario”, Pasquale Saraceno.

Saraceno formulò il concetto di “depressione permanente” per spiegare la necessità di intervenire nel Mezzogiorno non in funzione di quella area a sé stante, ma come una questione morale dello Stato Unitario. Lo stesso Mazzini ebbe a dire che “l’Italia sarà quel che il Mezzogiorno sarà”.

I problemi nel nostro Paese ci sono, sono grandi e non si possono negare.

Perché l’Unità d’Italia é un bene per tutti

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C’è una frattura nel Paese unito, frutto di una contrapposizione ideologica Nord-Sud, e di tanti dati raccontati parzialmente, di fenomeni non studiati e di popolazioni che gelose della propria vocazione territoriale, in modo più o meno volontario, evitano di approfondire notizie e di informarsi sulla realtà dei fatti.

Se tutti gli italiani avessero tempo e voglia di fermarsi, almeno un giorno ogni 10 anni, a leggere un riassunto della storia sociale del Bel Paese, probabilmente non ci sarebbe più contrapposizione immotivata tra Nord e Sud.

L’Italia ha condiviso in epoca moderna la dominazione spagnola, in epoca rinascimentale la pax Italica e prima ancora la dominazione romana. Le cose che uniscono la penisola sono più di quelle che la dividono, in fin dei conti è giusto che ognuno conservi l’identità dei propri territori.

Ancora di più è giusto attuare per bene l’articolo 5 della Costituzione, dando vita al decentramento amministrativo in modo da dare maggiore attenzione alle esigenze dei territori. Non è giusto rinnegare però quello che di buono ha portato l’Unità d’Italia.

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