Musei dai conti in rosso, la vendita di opere d’arte è l’unica via per far quadrare i bilanci

I conti in rosso dei musei post pandemia devono essere bilanciati: la vendita di opere d'arte, o deacessioning, per molti è l'unica via di salvezza.

Asia Solfanelli
Asia Solfanelli
Intraprendente e instancabile penna, poliglotta, appassionata lettrice e avida viaggiatrice. Sviscerata amante del cinema. E ultimo, ma non per importanza, eterna studiosa, perché non si finisce mai d’imparare.
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La vendita di opere d’arte per non fallire sembra l’unica via di salvezza per molti musei: ecco come in America molti di quelli che sono epicentri culturali stanno cercando di salvarsi.

Per far quadrare i conti, in rosso a causa delle prolungate chiusure imposte dalla pandemia in corso, molte istituzioni culturali, soprattutto americane, hanno deciso di mettere all’asta alcuni pezzi delle proprie collezioni.

Il fenomeno noto come deacessioning, che consiste proprio nel mandare all’asta opere di particolare valore della collezione per risanare le casse vuote, è in realtà sempre esistito. Ma mentre nel passato la tendenza era di ricorrervi per comprare altre opere o per colmare lacune, oggi per alcuni musei sembra essere l’unico modo restare a galla.

Il fenomeno del deacessioning prende piede, ma è “un percorso scivoloso”

Anche se oggi sembra che tutto stia lentamente ripartendo, è difficile dimenticare l’anno passato, un anno in cui molte attività sono rimaste a porte chiuse, niente entrate, ma conti da pagare.

I musei sono tra queste. Il 2020 ha pesato e continuare a pesare in maniera gravosa su moltissime istituzioni culturali, per cui i sostegni statali senza il botteghino non bastano a ‘sostenere la baracca’.

Nell’esigenza di reinventarsi e trovare un modo per bilanciare le spese, molti musei americani hanno optato per vendere, vendere, vendere: con il fenomeno del deacessioning, una parola quasi sinistra, dissonante e difficile da pronunciare, si rompe un taboo.

Mentre in passato la vendita delle proprie opere da parte di un museo era condannata persino nel caso di doppioni o di opere minori che rimanevano in un angolo a prendere polvere, oggi l’idea di mettere all’asta un dipinto di Andy Warhol, di Monet o di Pollock non è più così assurda.

Non si tratta soltanto di organizzare mostre, retrospettive o particolari rassegne, ci sono gli stipendi da pagare e ci sono le bollette. Ed ecco che di fronte a deficit di milioni di dollari, l’Everson Museum di Syracuse nello stato di New York vende per 13 milioni di dollari il quadro Red Composition di Jackson Pollock o il Brooklyn Museum le opere del noto designer Carlo Mollino, di Monet, Matisse, Degas, Dubuffet, Lucas Cranach il Vecchio. E questi non sono che esempi.

Tuttavia, per Thomas P. Campbell, il direttore del Fine Arts Museums di San Francisco, la pratica della vendita di opere d’arte rischia di diventare “un percorso scivoloso”. Lo stesso chiosa:

Il deaccessioning sarà come un tiro di cocaina per un tossicodipendente.

Una scelta rapida, destinata poi a diventare dipendenza. Temo che le conseguenze possano essere altamente distruttive per il mondo dell’arte.

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Deaccessioning: la vendita di opere d’arte è “vendersi l’anima”

Deaccessioning: la vendita di opere d'arte è "vendersi l'anima".

In America sembra la che la vendita di opere d’arte stia prendendo sempre più piede. Come rimarcato da Thomas P. Campbell, il fenomeno del deaccessioning rischia di essere inarrestabile.

Se qualche anno fa quando il Berkshire Museum in Massachusetts mise all’asta delle opere per finanziare lavori di restauro, venne aspramente criticato e pubblicamente messo alla gogna, oggi quella pratica negli USA non è più soltanto una necessità, ma quasi una ‘virtù’.

Difatti, la nuova tendenza non sembra stia più rispondendo unicamente all’esigenza di risanare i bilanci post-pandemia, capolavori di noti artisti, Red Composition, sono stati messi al bando per acquistare opere di artiste donne, di colore e di artisti appartenenti a ‘minoranze’.

La questione si fa dunque controversa. Mettere al bando grandi capolavori supportando la linea dura e in alcuni casi, almeno in contesti come questo, estrema di movimenti come quelli femministi o dei Black Lives Matter, per molti significa solo una cosa: vendersi l’anima.

Molte istituzioni americane in vista di un rinnovamento stanno perdendo la loro essenza, il loro cuore, il loro valore: non è rinnegando il passato che si riconoscono le minoranze o che si crea un futuro minore o più giusto.

Contro la vendita di opere d’arte, contro il deaccessioning: non è svalutando i grandi capolavori che si avvalorano opere minori.

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Asia Solfanelli
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