Trattativa Stato Mafia: cadono in appello quasi tutte le condanne, non per Leoluca Bagarella e Antonino Cinà

La Corte d’assise d’appello di Palermo da il verdetto più inaspettato, politica e arma dei carabinieri assolti.

Tommaso Panza
Tommaso Panza
Salentino, classe 1993. Una laurea in mediazione linguistica. Fondazione Basso(Roma). Amante della lettura e del cinema, in particolare delle opere che raccontano spaccati di realtà. Deciso sin da piccolo a diventare un giornalista.
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Trattativa Stato Mafia. Arriva la sentenza d’appello. Dopo 8 anni di processo arriva il penultimo capitolo di uno dei procedimenti giudiziari più complicati della storia italiana. La Corte d’assise d’appello di Palermo, presieduta da Angelo Pellino, dopo essersi ritirata in camera di consiglio per 72 ore da il verdetto più eclatante.

La Corte d’assise d’appello di Palermo ha assolto al processo sulla cosiddetta trattativa Stato-Mafia gli ex ufficiali del Ros Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno e il senatore Marcello Dell’Utri, accusati di minaccia a Corpo politico dello Stato.

In primo grado erano stati tutti condannati a pene severissime. Dichiarate prescritte le accuse al pentito Giovanni Brusca. Pena ridotta al boss Leoluca Bagarella. Confermata la condanna del capomafia Antonino Cinà.

Trattativa Stato Mafia: le condanne in primo grado cadute in appello per Marcello Dell’Utri e gli ex vertici dei ROS

Trattativa Stato Mafia: le condanne in primo grado cadute in appello per Marcello Dell'Utri e gli ex vertici dei ROS

Con la sentenza di primo grado del processo “Trattativa Stato-Mafia”, il 20 aprile 2018, erano stati condannati a dodici anni di carcere gli ex vertici del Ros dei carabinieri, Mario Mori e Antonio Subranni. Lo stesso verdetto era toccato all’ex senatore di Forza Italia, nonché braccio destro di Silvio Berlusconi durante la sua prima ascesa politica, Marcello Dell’Utri. Dodici anni anche ad Antonino Cinà, medico fedelissimo di Totò Riina. Erano stati invece condannati a otto anni di detenzione l’ex capitano dei carabinieri Giuseppe De Donno, e a ventotto anni uno dei capi dell’ala stragista di cosa nostra e cognato di Totò Riina, Leoluca Bagarella.

Erano inoltre cadute in prescrizione le accuse nei confronti del collaboratore di giustizia Giovanni Brusca, mentre era stato assolto Nicola Mancino, accusato di falsa testimonianza: per l’ex ministro della Dc la procura non aveva fatto ricorso, quindi la sentenza è poi diventata definitiva.

Nel corso del processo di appello sono state dichiarate prescritte anche le accuse a Massimo Ciancimino, uno dei testimoni chiave del processo, condannato in primo grado a 8 anni per calunnia nei confronti di Gianni De Gennaro.


Non sono arrivati alla sentenza di primo grado, in quanto deceduti, i due imputati principali: Totò Riina e Bernardo Provenzano.

Tutti gli imputati condannati sono stati riconosciuti colpevoli del reato disciplinato dall’articolo 338 del codice penale: quello di violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario dello Stato.

Leggi anche: La Cassazione conferma il sequestro: i beni di Totò Riina passano allo Stato

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