La Cassazione conferma il sequestro: i beni di Totò Riina passano allo Stato

La famiglia aveva fatto ricorso per richiedere la restituzione dei beni, la Cassazione lo ha però respinto confermando il sequestro.

Tommaso Panza
Tommaso Panza
Salentino, classe 1993. Una laurea in mediazione linguistica. Fondazione Basso(Roma). Amante della lettura e del cinema, in particolare delle opere che raccontano spaccati di realtà. Deciso sin da piccolo a diventare un giornalista.
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Diventa definitiva la confisca di una serie di beni (conti correnti e quote societarie) riconducibili a Totò Riina, morto al 41 bis il 17 novembre del 2017, e intestati al genero, Tony Ciavarello, sposato con una delle figlie del boss, Maria Concetta, e che da anni vive in un paesino del Salento in Puglia.

Il ricorso del genero di Totò Riina respinto dalla Cassazione

Il ricorso del genero di Totò Riina respinto dalla Cassazione

La decisione della Cassazione sarebbe per alcune società intestate allo stesso Tony Ciavarello. Ciavarello è stato inoltre condannato a versare 3 mila euro alla Cassa delle ammende. Il sequestro riguardava un patrimonio più vasto, dal valore complessivo di un milione e mezzo di euro.

La sesta sezione della Cassazione (collegio presieduto da Massimo Ricciarelli) ha infatti dichiarato inammissibile il ricorso del genero di Riina e lo ha pure condannato a versare tremila euro alla Cassa delle ammende.

Passano quindi allo Stato, tra l’altro, le quote della “Clawstek srl”, con sede a San Pancrazio Salentino, in provincia di Brindisi, che opera nel settore delle riparazioni meccaniche. Insieme alla precedente azienda, resta confiscato l’intero capitale sociale della “Rigenertek srl” (in liquidazione), con sede nello stesso comune e che si occupava del commercio per corrispondenza di autoricambi, e anche il capitale sociale della “Ac Service srl”, con sede a Lecce, specializzata nel commercio all’ingrosso e al dettaglio di auto e relativi ricambi e accessori. Allo Stato inoltre va una villa a Mazara del Vallo, Trapani, intestata al prestanome Vito Calandrino nella quale in passato, Salvatore Riina avrebbe trascorso la latitanza con il proprio nucleo familiare nel periodo estivo

I beni sequestrati ammontavano a un valore complessivo di un milione e mezzo di euro, ed erano stati sottratti alla famiglia Riina al completo, a Totò (che nelle more del procedimento è però deceduto), alla moglie Ninetta Bagarella e ai figli Giuseppe Salvatore, Maria Concetta, Lucia e Giovanni Riina.

Nel suo ricorso in Cassazione, Ciavarello aveva contestato la differenza temporale tra l’espressione della pericolosità sociale di Totò Riina, che aveva portato alla confisca dei beni, in seguito all’arresto dopo oltre 23 anni di latitanza, rispetto a denaro e società acquisiti dopo diversi anni, considerando anche che i beni sarebbero stati acquisiti dai terzi (compreso Ciavarello) a più di vent’anni dalla carcerazione, mai interrotta, di Totò Riina.

La Cassazione, nella sentenza, ricorda che la misura di prevenzione per la pericolosità sociale di Riina risale addirittura al 7 luglio del 1969, ma che non è mai stata espiata, prima per la lunga latitanza del boss e poi per la sua detenzione, durata dal 1993 fino alla morte.

Per i giudici il ricorso di Ciavarello contro la decisione della Corte d’Appello, emessa l’anno scorso, è inammissibile perché con il decesso di Riina diversi “terzi interessati” sono diventati suoi eredi a tutti gli effetti. Spiega la Suprema Corte che il “terzo interessato” può contestare la confisca, ma dimostrando che il bene ritenuto riconducibile ad altri è in realtà di sua esclusiva proprietà. Diventano quindi “irrilevanti le eccezioni che riguardano esclusivamente la posizione del prosposto (Riina in questo caso, ndr) e, per esempio, la sussistenza della condizione di pericolosità”. Elementi che “solo gli eredi” potrebbero avere interesse a far valere.

I giudici sottolineano poi che la pericolosità di Riina è stata peraltro “attualizzata guardando non solo al ruolo, di vertice incontrastato, riferito al suddetto rispetto a un consorzio criminale tuttora attivo (aspetti che rendono evanescente il dato della carcerazione se rapportato alla figura criminale di Riina) ma anche ad indicatori fattuali concreti destinati ad implementare la perduranza di tale ruolo malgrado la detenzione protrattasi da più di un ventennio”.

Leggi anche: Si conclude il maxi processo ai Casamonica, il tribunale di Roma nella sentenza di primo grado: “Sono mafia”

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