Torino, maestra d’asilo licenziata per video hard. Dirigente scolastica accusata di diffamazione

Dopo l’incubo iniziato due anni fa e il licenziamento, oggi per la maestra di Torino è stata fatta giustizia. Ma c’è ancora molta strada da fare.

Clarice Subiaco
Clarice Subiacohttps://medium.com/@ClariceSubiaco
Classe 1986, passato di studi umanistici e presente nel mondo dei dati. In mezzo, esperienze di lavoro come Digital PR, Content Strategist e Project Manager per startup e agenzie internazionali. Ama raccontare l'innovazione che ha un forte impatto sociale.
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È bastato un video girato via Whatsapp, per mandare in frantumi la vita di una maestra d’asilo del torinese. La pietra dello scandalo è stata un filmato che ritrae la giovane donna in un momento d’intimità con l’ormai ex fidanzato. Il video, che avrebbe dovuto rimanere privato, è stato invece diffuso dall’uomo su una chat con gli amici del calcetto.  

Un incubo iniziato nel 2018

Una relazione spensierata quella tra la giovane insegnante di 22 anni e l’uomo, iniziata nel 2018. Durante questo periodo i due si sono scambiati alcune foto erotiche, 18 per l’esattezza, e un video hard in un cui la donna è riconoscibile. Momenti di intimità che, una volta terminata la relazione, vengono diffusi dall’uomo all’interno di una chat di gruppo su Whatsapp. Da questo momento in poi, ha inizio l’incubo. Uno dei membri della chat mostra il video alla moglie, la quale riconosce la maestra di suo figlio e, invece di rimproverare il marito e mostrarsi solidale con la donna, decide di condividerlo in una chat con altre mamme. La mamma “spia” avrebbe poi chiesto d’incontrare la maestra minacciandola di mandare tutto alla dirigente scolastica se avesse denunciato il marito per la diffusione illegale del video: “Non dire nulla a nessuno o rivelo tutto alla dirigente dell’asilo”. Queste le parole riportate negli atti del processo.

Il processo

La maestra decide, però, di non cedere alle minacce e sporge querela. Nonostante ciò l’incubo non si ferma: le foto private continuano a circolare via chat anche ad opera di una collega di lavoro che inoltra le immagini ad alcune amiche. La giovane donna, disperata, decide allora di rivolgersi alla dirigente dell’asilo in cerca di aiuto: “tutti sanno che sono io”, si legge negli atti. A questo punto la dirigente, tutt’altro che mossa a compassione, convince la donna a prendere qualche giorno di ferie per poi spingerla a rassegnare le dimissioni. Infine, condivide con i genitori le ragioni dell’allontanamento dell’insegnante.

Un gesto umiliante, che si avvia, dopo due anni di sofferenze, verso l’epilogo, almeno dal punto di vista giuridico. L’ex fidanzato, dichiaratosi pentito, ha risarcito la donna e ottenuto il beneficio della messa alla prova, ovvero un anno di servizi sociali. La direttrice dell’asilo e la mamma “spiona” dovranno, invece, affrontare il dibattimento: la prima con l’accusa di aver obbligato la maestra al licenziamento e di averla diffamata, mentre la seconda per aver diffuso le immagini. Il marito di quest’ultima e la collega di lavoro della vittima, invece, hanno scelto riti alternativi. 

Revenge porn e victim blaming: due facce della stessa medaglia

Questo atto di revenge porn che ha visto protagonista la giovane maestra torinese, non può non richiamare alla memoria la storia di Tiziana Cantone, la ventinovenne campana che si è tolta la vita nel 2016 sotto il peso della vergogna per l’incontrollata diffusione in rete di un suo video hard. Sebbene si tratti di due fatti distinti e con diverso epilogo, ci sono due aspetti che accomunano le vicende. Da un lato vi sono le dinamiche di massa generate dalle chat e dai social network che trasformano video privati o di natura goliardica in vere e proprie spirali della vergogna fuori controllo; dall’altro vi è una colpevolizzazione delle vittime o victim blaming, per cui si tende a pensare che, in fondo, queste donne giovani, belle e libere, se la siano un po’ cercata. Oggi, a pochi giorni dalla Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne del 25 novembre, è importante fermarsi a riflettere su questi episodi. La diffusione di materiali privati senza consenso è una violenza, così come lo è la colpevolizzazione di una donna che, come tutti, ha il diritto di vivere la propria intimità liberamente. 

Leggi anche: “Alexa, dimmi cos’hai sentito”, Amazon testimonia contro la violenza domestica

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Classe 1986, passato di studi umanistici e presente nel mondo dei dati. In mezzo, esperienze di lavoro come Digital PR, Content Strategist e Project Manager per startup e agenzie internazionali. Ama raccontare l'innovazione che ha un forte impatto sociale.
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