Terremoto L’Aquila: 309 dolorosi rintocchi per le vittime della catastrofe del 2009

A dodici anni dalla tragedia, il ricordo del terremoto che ha devastato L'Aquila risveglia un dolore insanabile, ma tiene unite e resilienti intere popolazioni.

Asia Solfanelli
Asia Solfanelli
Intraprendente e instancabile penna, poliglotta, appassionata lettrice e avida viaggiatrice. Sviscerata amante del cinema. E ultimo, ma non per importanza, eterna studiosa, perché non si finisce mai d’imparare.
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Terremoto L’aquila, 6 aprile 2009: 309 vittime, oltre 1.600 feriti e oltre 10 miliardi di euro di danni stimati.

Erano le 3.32, notte fonda, tra il 5 e il 6 aprile, le città e i paesini della zona compresa tra le frazioni di Roio Colle, Genzano di Sassa e Collefracido stavano dormendo, così come buona parte del Centro Italia poi destato dal suolo in tumulto.

La terra trema e la scossa magnitudo 5.9 devasta interi centri. Intere popolazioni si risvegliano tra macerie e polvere, urla e terrore. Le città cambiano volto tra edifici sbriciolati e abitazioni inagibili. Centinaia di migliaia di persone in cerca di un riparo all’aperto, in disperata ricerca dei propri cari, amici e parenti.

Una notte che se si potesse, si dimenticherebbe, ma il suo ricordo, che dopo dodici anni porta ancora con sé brividi e disperazione, è indelebile.

Davanti alla Chiesa di Santa Maria del Suffragio i vigili del fuoco accendono un braciere simbolico, da Piazza Duomo, cuore del centro storico ed esempio di una ricostruzione efficace, un fascio di luce si staglia e fende il cielo mentre 309 rintocchi delle campane suonano in memoria delle altrettante vittime.

Terremoto L’Aquila: 12 anni dopo la catastrofe

Terremoto L'Aquila: 12 anni dopo la catastrofe.

Antonietta Centofanti, del Comitato Vittime della Casa dello studente, ricorda la notte del terremoto in cui il nipote Davide ha perso la vita:

Quella notte del 6 aprile credo sia stata identica per tutti: restare a casa nonostante le scosse perché siamo stati rassicurati, molti sono stati colpiti nel sonno, proprio perché si sentivano tranquilli.

Ci avevano detto che la terra più ballava e più buttava fuori energia, che non sarebbe mai accaduto un evento catastrofico. Poi invece alle 3.32 è accaduto.

Oggi L’Aquila non è più la stessa. Mentre la ricostruzione privata è quasi ultimata, i lavori a molti edifici pubblici, scuole comprese, sono ancora bloccati. I sostegni e gli incentivi economici non bastano.

Il centro storico della città tarda ancora a rianimarsi, complice anche la pandemia che per il secondo anno consecutivo blocca persino le usuali celebrazioni, prima tra tutte la tradizionale fiaccolata per le vie del centro storico e nei luoghi più iconici della tragedia.

Quando nella notte tra il 5 e il 6 aprile 2021 i vigili accendono il braciere, Piazza Duomo è desolata, ci sono solo il sindaco, Pierluigi Biondi, il sindaco di Cugnoli (Pescara), Lanfranco Chiola, in rappresentanza dei Comuni del cratere, il prefetto Cinzia Torraco e l’arcivescovo, cardinale Giuseppe Petrocchi.

Ogni rintocco è un colpo al cuore. C’è commozione, tristezza, ma anche speranza.

Terremoto L’Aquila, il sindaco: “Dobbiamo fare ricorso alla nostra forza interiore di gente di montagna

Terremoto L’Aquila, il sindaco Pierluigi Biondi interviene al termine della Santa Messa nella chiesa del Suffragio in commemorazione della catastrofe e delle vite che ha portato via con se:

Ancora una volta, dopo il 6 aprile di 12 anni fa, oggi dobbiamo fare ricorso alla nostra forza interiore di gente di montagna.

Dobbiamo reimparare a vivere nella normalità. Il dolore non ferisce soltanto ma stimola le nostre risorse più profonde per affrontarlo e viverlo all’altezza di una dignità umana che la storia continua a riscattare tra le pieghe di avvenimenti carichi di orrori ma anche che successi e rinascita.

Sono due anni che questo rito del dolore, della speranza, è stato registrato dall’emergenza sanitaria da cerimonia corale a evento in solitudine.

Una pandemia che oggi, su esplicita richiesta dei familiari delle vittime del 6 aprile 2009, ha portato alla decisione di rinviare l’inaugurazione del Parco della Memoria a quando potrà di nuovo esserci un momento comunitario.

Gli aquilani sono forti e uniti.

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Terremoto L’Aquila: centinaia di vittime, ma i superstiti hanno il gene della “tenacia del ripartire”

Terremoto L'Aquila: centinaia di vittime, ma i superstiti hanno il gene della "tenacia del ripartire".

Durante l’omelia, il cardinale Giuseppe Petrocchi, arcivescovo metropolita dell’Aquila, nel corso della Santa Messa celebrata nel tardo pomeriggio in occasione del 12esimo anniversario del terremoto, decide di omaggiare la coesione del popolo aquilano e la sua resilienza: persone che proprio nell’unione hanno trovato la forza per affrontare quel dramma che ha cambiato per sempre le loro esistenze.

Quando un trauma, che deriva da una calamità generale, colpisce una ‘popolazione’ viene vissuto in modo frammentato: ciascuno lo porta per conto suo o per aggregati sparsi.

Invece, dove c’è Popolo, il dramma è condiviso: vissuto da tutti e da ciascuno in modo diverso, ma universale.

Si stabilisce così una ‘interdipendenza’, in cui il ‘mio’ diventa ‘nostro’, e viceversa.

Il cardinale prosegue:

Un altro fattore crea legami costitutivi è la determinazione collettiva nel reagire alle emergenze e la volontà perseverante di ricostruire.

L’Aquila, nella sua storia fondativa, non è partita in ‘tono minore’, per innalzarsi successivamente a registri ‘maggiori’: è subito arrivata ad eseguire uno ‘spartito alto’.

E aggiunge:

Sono persuaso che se venisse fatta un’analisi del DNA del Popolo aquilano si ritroverebbero – tra i cromosomi identitari – la ‘resilienza al sisma’: questi fattori ‘strutturali’ suscitano ‘anticorpi caratteriali’ che neutralizzano i virus della disgregazione sociale e sconfiggono la sindrome della disfatta.

Altro ‘gene’ identitario è la ‘tenacia del ripartire’, che si rende visibile nella spinta perseverante alla ricostruzione.

La resilienza degli aquilani

Terremoto L'Aquila: la resilienza degli aquilani.

Milioni di persone messe in ginocchio da una tragedia che era difficile prevedere così come da fronteggiare, ma anche milioni di persone che sono rialzate facendo il possibile per il risollevare anche il proprio centro abitativo.

Dimenticare è impossibile, ma oggi L’Aquila è un luogo di speranza, un luogo solcato da profonde ferite, non rimarginate ma sanate, un posto in cui non si smette di lottare e di credere in un futuro migliore.

Qui più che altrove il Covid gira il coltello nella piaga, lascia deserti luoghi che lo sono già da troppi anni, tristi città che già da troppo tempo sono in stato d’abbandono, ma non può abbattere gente che è geneticamente resistente.

Leggi anche: 40 anni dal Terremoto in Irpinia: non dimenticheremo mai quel 23 novembre 1980

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