Sartori, sopravvissuto 20 ore sotto la neve: “Ho indurito i muscoli per non far spezzare le gambe”

Lo scialpinista Carluccio Sartori, sopravvissuto 20 ore sotto la neve, ha ripercorso quei momenti difficili in cui non era certo che ce l'avrebbe fatta.

Michela Sacchetti
Michela Sacchetti
Intuitiva, con un occhio attento alla realtà e alla sua evoluzione, attraverso una lente di irrinunciabile positività. Vede sempre nella difficoltà un’occasione preziosa per migliorarsi da cogliere con entusiasmo.
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Carluccio Sartori, travolto da una valanga in Val Badia, in un’intervista rilasciata ad Ansa, ha raccontato come sia riuscito ad affrontare quei drammatici momenti e a sopravvivere 20 ore sotto la neve. Lo scialpinista, ora ricoverato nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale San Maurizio di Bolzano, ha dichiarato di aver indurito le gambe, per far in modo che non gli si spezzassero le gambe, e di aver evitato soffermarsi sulla possibilità che non sarebbe più tornato dalla sua famiglia, pensiero che avrebbe potuto ucciderlo:

Ricordo ogni istante, mi facevo forza e cercavo di non dormire. Ho creato un buco e mi sono salvato.

Sartori: le tecniche messe in pratica per la sopravvivenza

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Sartori è consapevole di aver avuto molta lucidità, dopo essere stato travolto dalla valanga, mettendo in pratica i consigli appresi dopo aver visto molti film di alpinisti di livello. “Sapevo, per esempio, che chi si addormenta in queste situazioni ha alte probabilità di morire. Sono rimasto sempre vigile, cosciente utilizzando tutti gli espedienti possibili. Mi sono lasciato andare solo quando finalmente mi hanno trovato”, ha raccontato lo scialpinista. Dopo aver iniziato a indurire i muscoli Sartori ha iniziato a lavorare per creare un varco nella neve. Ricorda così quei momenti:

Iniziando a lavorare ad arco con le dita sono riuscito a compattare la neve ai lati e bucare la superficie. Per diverse ore ho spostato la neve per mantenere stabile quel varco verso il cielo. Per tutte quelle ore l’ho osservato e ne ho preso aria ed ossigeno.

Per tutte quelle ore ho avuto paura che si potesse chiudere. Durante la fase di assestamento, infatti, gli strati compatti continuavano a muoversi. Lo avvertivo con lo zaino che mi tirava forte la spalla. Temevo che questi spostamenti potessero chiudere quel buco da cui dipendeva la mia vita.

Sartori: il varco che gli ha salvato la vita e gli ha permesso di vedere le stelle

Nella mente di Sartori sono impressi indelebili i ricordi di quella notte, dall’apertura del varco nella neve, che rappresenta il dues ex machina del racconto, all’arrivo dei soccorsi, momento in cui ha potuto finalmente lasciarsi andare. Ricorda così: “Quando ho aperto il buco ho gridato fortissimo aiuto ma non ho ricevuto risposta. Niente. Cercavo di raggiungere lo smartwatch con le mani e non riuscivo a muovermi e il comando vocale Siri non rispondeva. Appena ho visto il buio ho capito che non mi restava altra strada che resistere. Appena ho visto l’alba, invece pensavo che sarebbe durata ancora poco. Invece i minuti passavano e i soccorsi non arrivavano. Ecco, quello è stato quasi più duro. Mi continuavo a ripetere ossessivamente: adesso arrivano, adesso arrivano, adesso arrivano”.

Segno che la vicenda si sarebbe conclusa in modo positivo anche quel tocco romantico di riuscire a vedere le stelle:

Non so come ringraziarli. Il buco che sono riuscito ad aprirmi mi permetteva, di notte, di vedere solo il carro tra le stelle. Come una surreale, malevola e incredibile cornice.

Nei momenti di scoraggiamento pensavo che, se mi era stata data la possibilità di avere quel varco, di vederci le stelle e di avere la mano libera per tenerlo aperto, allora un motivo doveva esserci. C’era. Quella notte me la ricorderò ogni notte. Gettando lo sguardo al mio carro. Oltre la paura.

Leggi anche: Cos’è l’effetto igloo? E chi è lo scialpinista sopravvissuto sotto la neve per 24 ore

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