Referendum giustizia: cosa accadrebbe se vincesse il sì

Il referendum giustizia fa riferimento alla legge Severino, voluta dalla ministra omonima sotto il Governo Monti. Vediamo cosa accadrebbe se si abrogasse questa legge.

Michela Sacchetti
Michela Sacchetti
Intuitiva, con un occhio attento alla realtà e alla sua evoluzione, attraverso una lente di irrinunciabile positività. Vede sempre nella difficoltà un’occasione preziosa per migliorarsi da cogliere con entusiasmo.
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Il quesito numero 1 del referendum giustizia richiede l’abrogazione del decreto legislativo 235/2012 che prevede l’incandidabilità e l’ineleggibilità in Parlamento e negli enti locali dei pregiudicati per reati gravi.

Si tratterebbe del decreto Severino, voluto dalla ministra della Giustizia del Governo Monti nel 2012, che rientra nel primo dei tre decreti previsti nella legge anticorruzione voluta dalla suddetta.

Non tutta la classe politica però è d’accordo per il sì. Se all’epoca tutto il centrodestra votò a favore ora la Lega promuove il referendum insieme ai radicali. Per la Meloni invece rappresenterebbe “un passo indietro nella lotta alla corruzione”. Mentre il segretario del Pd, Enrico Letta, modificherebbe solo alcuni aspetti della legge Severino ma non sembra favorevole al referendum.

Se vincesse il sì si aprirebbero le porte delle istituzioni ai pregiudicati e ai condannati definitivi per reati gravissimi, cancellando del tutto il decreto e riportando al giudice la decisione di sospendere o meno un soggetto dagli uffici pubblici.

Referendum giustizia: le categorie di pregiudicati e la decadenza della carica

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Il decreto che si vuole cancellare con il referendum giustizia prevede l’ineleggibilità alla Camera, Senato e Parlamento europeo per le seguenti categorie di pregiudicati:

  • condannati definitivi a più i due anni per associazione mafiosa
  • condannati definitivi a più di due anni per i delitti contro la pubblica amministrazione
  • condannati definitivi a più di due anni per qualsiasi reato con una pena massima non inferiore ai quattro anni

Se la condanna giunge durante l’incarico di Governo o il mandato parlamentare è prevista la decadenza della carica, che dura almeno sei anni a meno che non ci sia una riabilitazione penale.

Referendum giustizia: pene più severe per le cariche regionali e locali

Per consiglieri comunali, sindaci e governatori la disciplina prevede pene più severe che consistono nell’ineleggibilità e nella decadenza anche in caso di condanna definitiva superiore ai due anni per qualsiasi reato non colposo, indipendentemente da quale sia il massimo della pena.

La sospensione delle cariche regionali e locali è prevista anche in seguito a condanne in primo grado non definitive per uno dei seguenti reati: associazione mafiosa, traffico di stupefacenti, concussione, peculato, abuso d’ufficio e reati contro la pubblica amministrazione mentre per i reati non colposi la condanna deve essere confermata in appello e non inferiore ai due anni.

Leggi anche: Salario minimo, entro martedì l’approvazione dell’Ue: in Italia i politici sono in disaccordo

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